Ogni settimana la newsletter di Palazzo Strozzi lancia una parola collegata alla mostra Donatello, il Rinascimento creando un originale glossario pensato per facilitare la comprensione dell’arte rinascimentale e approfondire alcuni termini specifici.
La Fondazione Palazzo Strozzi ha sviluppato il progetto Una parola a settimana in collaborazione con il Dipartimento SAGAS (Storia, Archeologia, Geografia, Arte, Spettacolo) dell’Università degli Studi di Firenze. Un’esperienza educativa dedicata a 12 studenti di Laurea Magistrale in Storia dell’Arte finalizzata alla creazione di un glossario dedicato alla mostra, sempre disponibile on-line, per tutti i visitatori di Palazzo Strozzi. Ogni voce è infatti legata ad alcune opere di Donatello esposte a Palazzo Strozzi e ne estende la comprensione dal punto di vista linguistico.
Durante un ciclo di incontri (ottobre 2021-febbraio 2022) gli studenti hanno approfondito le opere, agli artisti e i temi della mostra Donatello, il Rinascimento, hanno analizzato i materiali di comunicazione utilizzati nelle mostre di Palazzo Strozzi (pannelli di sala, didascalie, cronologie, testi per famiglie e adolescenti) e selezionato 12 parole su cui lavorare per rendere accessibili alcuni concetti o termini ricorrenti nell’arte di Donatello. Nella stesura del glossario si sono alternati momenti di scrittura in autonomia a revisioni collettive permettendo una comprensione più profonda del lavoro di redazione per i testi di una mostra.
Hanno partecipato al progetto: Silvia Arzuffi, Eleonora Caiani, Camilla Chini, Caterina Corsi, Cristina Cugliandolo, Silvia Faranna, Camilla Gasparini, Roberta Genualdo, Lorenzo Grimaldi, Marta Ranalli, Francesca Russo, Eleonora Taini.
Un ringraziamento al Dipartimento SAGAS e in particolare ai professori di Storia dell’arte moderna Cristiano Giometti e Gabriele Fattorini, per la disponibilità e la collaborazione.
In copertina: Donatello, Miracolo della mula, 1446-1449 circa, Padova, Basilica di Sant’Antonio, Altare del Santo. Foto di Nicola Bianchi /Archivio Fotografico Messaggero di sant’Antonio
Il termine “committenza” indica l’attività di chi richiede l’esecuzione di un lavoro. In ambito artistico identificare il committente permette di comprendere la contestualizzazione di un’opera, la cui realizzazione dipende dal gusto o dalle esigenze di chi dà l’incarico, che influiscono sull’iconografia, sullo stile e sui materiali utilizzati. Il rapporto tra committenti e artisti era in genere precisato in un contratto stilato per definire i tempi di esecuzione, le modalità di pagamento e le caratteristiche dell’opera.
Nei primi decenni del Quattrocento i cantieri fiorentini di Santa Maria del Fiore e Orsanmichele si arricchirono di nuove statue monumentali richieste da una committenza che aveva ingenti disponibilità economiche e grandi aspettative; in questi contesti, il giovane Donatello (1386 circa – 1466) sperimenta un nuovo linguaggio di cui diviene il massimo interprete.
Donatello lavora su incarico sia di una committenza pubblica che privata: a Firenze è coinvolto da alcune corporazioni, che per le loro edicole di Orsanmichele gli commissionano sia statue da inserire in tabernacoli già esistenti (il San Pietro dai Beccai, il San Marco da Rigattieri e Linaioli), sia figure ed edicole (il San Giorgio da Corazzai e Spadai). Contestualmente, le famiglie più importanti della città, tra cui i Medici, lo impegnano in una ricca produzione di opere destinate sia a luoghi sacri che a contesti domestici, di cui sono un esempio le numerose Madonne col Bambino.
Le commissioni provenienti da altre città d’Italia – tra cui Napoli, Roma, Prato, Siena e Padova – contribuiscono alla diffusione, oltre i confini di Firenze, del suo linguaggio, contraddistinto da un forte naturalismo e un’intensa caratterizzazione psicologica.
Silvia Faranna
Con “immagine devozionale” si fa riferimento a soggetti di arte sacra raffigurati mediante pittura o scultura, destinati al culto collettivo o privato. L’usanza di pregare davanti a un’immagine si sviluppa contestualmente alla nascita dei culti religiosi, ma nel mondo cristiano assume un carattere particolare con gli ordini mendicanti. In particolare, il domenicano Giovanni Dominici (1356-1419) introduce un nuovo concetto di educazione religiosa domestica, suggerendo di tenere in casa un altare per le orazioni giornaliere. Si intensifica così la realizzazione di immagini di piccole dimensioni in materiali poveri come legno o terracotta; la devozione domestica richiede una comunicazione diretta e più intima con il divino: si prediligono quindi immagini di Madonne, santi e busti di Cristo, capaci di instaurare un rapporto immediato, emotivo e consolatorio tra orante e immagine. La solennità delle icone mariane trecentesche inizia a fondersi con una naturalezza e una dolcezza di gesti che accrescono nel credente l’empatia nei confronti di quanto osserva.
Donatello (1386 circa – 1466) gioca un ruolo fondamentale nello sviluppo di questi modelli, come nella Madonna Pazzi (1420), in cui si ritrovano alcune delle caratteristiche tipiche delle immagini devozionali mariane, quali il modello dell’Eleusa (Madonna della tenerezza) e il mezzo busto delle figure, che permette una contemplazione ravvicinata e incoraggia il colloquio intimo. Queste figure di Madonna col Bambino, grazie alla loro riproducibilità seriale, divengono modelli iconografici utilizzati e diffusi da molti altri artisti, in scultura come in pittura.
Marta Ranalli
Il termine “coroplastica” indica la tecnica della lavorazione della terracotta, una pratica che viene impiegata sia in ambito artistico che per fabbricare oggetti di uso quotidiano.
La terracotta è un particolare tipo di ceramica (dal greco keramos, cioè argilla) che si realizza miscelando acqua e argilla fino a creare un composto che viene modellato e cotto ad alte temperature. Il tipico colore rossiccio del prodotto ultimato è dato dai minerali ferrosi contenuti nell’argilla che si ossidano con il calore.
La lavorazione prevede la modellazione dell’impasto, che può avvenire a mano libera, con l’aiuto di un tornio o utilizzando uno stampo; l’essicazione all’aria, per eliminare l’umidità; e infine la cottura, per rendere il materiale più resistente. La terracotta può poi essere dipinta o lavorata ulteriormente attraverso processi di smaltatura o vetrificazione.
Questa tecnica fu praticata fin dalla preistoria ed ebbe grande fortuna e diffusione nell’antichità, mentre nel Medioevo venne poco utilizzata in ambito figurativo, prediligendone l’uso per scopi edilizi e decorativi.
È Donatello (1386 circa – 1466), nei primi decenni del Quattrocento, a riportare in auge questa tecnica scultorea. Importanti esempi della sua attività come coroplasta sono le numerose Madonne col Bambino, oggetti di committenza a uso per lo più domestico che lo scultore realizza nell’arco di tutta la sua produzione. Alcune Madonne conservano ancora oggi tracce della policromia e delle dorature originali, come la Madonna col Bambino (1420 – 1423 circa) del Museo Bardini a Firenze, mentre in altri casi la colorazione è persa, come nella Madonna col Bambino (Madonna dei cherubini, 1440 – 1445 circa) del Bode-Museum di Berlino.
Silvia Arzuffi
Con stiacciato, variante toscana della parola “schiacciato”, si indica una tecnica scultorea introdotta da Donatello (1386 circa – 1466). Si tratta di un rilievo il cui spessore diminuisce in modo graduale dal primo piano, dove in genere sono le figure più aggettanti, ai successivi, in cui la figurazione, incavata di pochi millimetri, è poco più di un’incisione. Con questa tecnica Donatello traduce in pratica le teorie di Filippo Brunelleschi (1377-1446), riuscendo a riprodurre su una superficie piana l’effetto tridimensionale prospettico.
La più antica opera in cui compare lo stiacciato, nonché una delle prime in cui viene applicata la prospettiva, è la predella marmorea del San Giorgio (1415-1417) conservata al Museo Nazionale del Bargello. La principessa, san Giorgio e il drago aggettano volumetricamente grazie a uno sbalzo maggiore, mentre lo sfondo, la grotta e il loggiato sono definiti attraverso un’incisione che, realizzata secondo le regole prospettiche, fornisce l’illusione della profondità.
Negli anni successivi Donatello affina questa tecnica fino a raggiungere risultati eccezionali, come nel rilievo bronzeo del Convito di Erode (1423-1427) eseguito per il Fonte battesimale di Siena. Qui l’artista allestisce una scena tridimensionale in cui ogni piano prospettico mostra un momento diverso della storia del Battista: il bassorilievo in primo piano cattura il momento in cui la testa del santo viene portata a Erode, mentre Salomè danza al ritmo della musica del suonatore che si intravede nel loggiato inciso in secondo piano, infine, sotto alle arcate sullo sfondo, è raffigurata la scena in cui la testa del Battista viene presentata a Erodiade.
Sulla scia di Donatello, che utilizzò frequentemente questa tecnica nella sua produzione artistica, ricorsero spesso all’uso dello stiacciato anche altri scultori, come Desiderio da Settignano (1430 circa – 1464).
Caterina Corsi
Gli “spiritelli” sono piccoli fanciulli alati, di sesso maschile, rappresentati nudi, con sembianze tenere e paffute, riccioli spettinati, occhi irriverenti e talvolta sorrisi ammiccanti. Questo tema iconografico affonda le radici nell’arte antica e ritorna in auge durante il Rinascimento, proseguendo per tutto il Sei e Settecento, divenendo un soggetto ricorrente nelle raffigurazioni artistiche sia sacre che profane.
Realizzati in bronzo, in terracotta, in marmo o in legno policromo, questi putti sono colti in atteggiamenti vivaci mentre danzano, suonano, giocano o amoreggiano. Nei contesti sacri vengono raffigurati come messaggeri tra il Cielo e la Terra o come portacero, identificabili con gli angeli della tradizione cristiana. Durante il Quattrocento, oltre a una funzione decorativa, ne assumono anche una allegorica, tanto da essere considerati il simbolo di una forza invisibile e incontrollabile che anima il corpo umano.
Con artisti come Donatello (1386 circa – 1466), Luca della Robbia (1400-1482) gli spiritelli si diffondono rapidamente, divenendo uno dei temi che caratterizza il Rinascimento italiano. Donatello, in particolare, fu tra i primi artisti a inserirli nelle proprie opere già dalla fine degli anni Venti del Quattrocento, facendoli diventare i protagonisti indiscussi di alcuni dei suoi complessi scultorei più importanti quali il Pergamo di Prato (1428-1438) e la Cantoria del Duomo di Firenze (1433-1439).
Camilla Gasparini
Con il termine “pulpito” si indica una struttura architettonica simile a un palchetto rialzato, utilizzato dai predicatori durante le funzioni liturgiche per farsi udire dai fedeli. Il pulpito, detto anche pergamo, era generalmente destinato alle omelie, ma poteva essere riservato anche alla lettura delle sacre letture o all’ostensione delle reliquie.
Fin dall’antica Roma il pulpito veniva usato da chi parlava alle folle nelle orazioni pubbliche e nelle cerimonie. Con l’avvento del cristianesimo, e con l’evoluzione della liturgia, il pulpito diventa un elemento fondamentale nelle chiese, basiliche o cattedrali, assumendo forme e caratteristiche diverse a seconda dell’epoca. I pulpiti o i pergami, possono essere realizzati in marmo, legno o metallo e decorati con rilievi; ed essere collocati all’interno (addossati o staccati dalla parete) o all’esterno dell’edificio.
Donatello, in compagnia con Michelozzo, tra il 1428 e il 1438 progetta e realizza il Pergamo del Sacro Cingolo del Duomo di Prato: una struttura esterna a base circolare, collocata sullo spigolo tra la facciata e il muro laterale. Il Pergamo sporge sulla piazza dove ancora oggi si riuniscono i fedeli per assistere all’ostensione della venerata reliquia in occasione di festività, tra cui quella dell’8 settembre, Natività di Maria. La reliquia, detta anche “Sacra Cintola”, secondo la tradizione è la cintura che la Vergine al momento dell’Assunzione in cielo donò a san Tommaso come prova della sua ascesa.
Per Cosimo de’ Medici detto il Vecchio, suo mecenate e amico, Donatello fonde i rilievi per il Pulpito della Passione e il Pulpito della Resurrezione (1460-1466) per la chiesa di San Lorenzo a Firenze. Ormai quasi ottantenne l’artista necessita dell’aiuto degli assistenti Bertoldo di Giovanni e Bartolomeo Bellano per realizzare queste opere estreme, in cui emerge ancora, potentissima, la sua capacità espressiva.
Eleonora Taini
Il termine “polimaterico”, in ambito artistico, indica un’opera realizzata utilizzando materiali eterogenei. L’uso di materiali vari, diffuso sin dall’antichità, aveva scopo prevalentemente decorativo tanto in architettura quanto in scultura ancora nel Rinascimento.
Marmo, bronzo, legno, terracotta e stucco sono i materiali che Donatello (1386 circa – 1466) impiega per realizzare le sue opere; così come oro, rame, smalti, vetro e pietre preziose sono invece i principali scelti per le applicazioni decorative.
L’opera polimaterica è generalmente policroma, sia quando è composta di materiali di diversi colori, sia quando la sua superficie ha ricevuto un trattamento di policromatura, venendo cioè dipinta.
Donatello ha sperimentato tutti i materiali elencati, e nella sua produzione si trovano molti esempi di opere polimateriche e policrome. Ne sono esempio le numerose Madonne col Bambino, un tema trattato più volte dall’artista nei vari materiali (come il marmo, lo stucco o la terracotta) e tecniche (tutto tondo, stiacciato, altorilievo ecc.). La Madonna col Bambino (1410 – 1415 circa) conservata al Detroit Institute of Arts, così come la Madonna col Bambino (1420 – 1423 circa) del Museo Bardini, sono in terracotta e presentano ancora evidenti tracce di dipintura e doratura.
Anche una gran parte dei bronzi di Donatello conserva tracce di doratura, come gli Spiritelli portacero (1436 – 1438 circa) per la Cantoria di Luca della Robbia e il celebre David vittorioso (1435 – 1440 circa) oggi al Bargello.
Il San Ludovico di Tolosa (1418 – 1425 circa) oggi nel museo dell’Opera di Santa Croce è in bronzo dorato, mentre la mitria, con decorazioni geometriche in agemina d’argento, è impreziosita da smalti e cristalli di rocca.
Camilla Chini
Col termine “compagnia” nel XIV e XV secolo si indicava un contratto associativo stipulato fra due o più artisti, finalizzato alla realizzazione a più mani di opere d’arte commissionate da istituzioni religiose, laiche o da privati cittadini.
Tra un’opera d’arte eseguita in una bottega e una creata “in compagnia” c’è una sostanziale differenza: in una bottega gli allievi e i collaboratori si trovano in posizione subalterna rispetto al maestro e ne devono seguire lo stile; “in compagnia” la relazione tra gli artisti è paritaria. Tuttavia, se in alcune opere risulta evidente la parte spettante alle diverse mani, in altre l’individuazione risulta più complessa.
La compagnia può nascere per iniziativa degli artisti, oppure essere imposta dal committente, come nel caso dell’Opera del Duomo di Firenze che richiede una collaborazione tra Filippo Brunelleschi (1377-1446) e Lorenzo Ghiberti (1378-1455) nella fase iniziale della progettazione della cupola del Duomo.
Brunelleschi nel 1412 risulta «compagnio» di Donatello (1386 circa – 1466) nell’«arte dello intagliare». Il primo è l’ideatore delle tarsie marmoree del tabernacolo dell’Arte dei Beccai a Orsanmichele, per cui Donatello scolpisce il San Pietro: probabilmente Brunelleschi ha un ruolo predominante in quanto più anziano e affermato.
La compagnia più prolifica è sicuramente quella con Michelozzo (1396-1472), durata intorno ai quattordici anni, a partire dal 1424, durante i quali i due artisti eseguono opere come il Monumento funebre dell’antipapa Giovanni XXIII nel Battistero di San Giovanni a Firenze (1422 – 1428 circa), il Monumento funebre del cardinale Rinaldo Brancaccio (1426-1428 circa) nella Chiesa di Sant’Angelo a Nilo a Napoli e il Pergamo del Sacro Cingolo a Prato (1434-1438), in cui il progetto iniziale di Michelozzo è stravolto dalle innovative idee di Donatello.
Roberta Genualdo
In ambito artistico con “rilievo” si indica una composizione scultorea in marmo, bronzo o altri materiali plastici, i cui elementi emergono dal piano di fondo. Il termine deriva dal latino relevare, ossia sollevare, in questo caso riferendosi alle figure che si staccano dalla superficie. In base all’aggetto si parla di bassorilievo, quando gli elementi sono poco sporgenti, e di altorilievo quando aggetta più di metà dei volumi.
Donatello (1386 circa – 1466) ha eseguito bassorilievi come la Madonna Pazzi del 1422 circa, ma anche i rilievi del Pergamo del Sacro Cingolo a Prato degli anni ’30 del Quattrocento, nonché quelli della quasi coeva Cantoria per Santa Maria del Fiore.
In particolare, nei bassorilievi a carattere narrativo l’artista iniziò a ridurre ulteriormente il rilievo per ottenere anche in scultura gli effetti prospettici le cui regole erano state da poco codificate da Filippo Brunelleschi (1377-1446), in modo da trasmettere un’idea di piani spaziali diversi. Ne sono esempi insigni la predella marmorea del San Giorgio eseguito per Orsanmichele (1415-1417) e la formella bronzea con il Convito di Erode (1423-1427) per il Fonte battesimale senese.
Questa tecnica, che ricorre in molte sue opere, è definita nelle due edizioni delle Vite di Giorgio Vasari (1550 e 1568) con il termine “stiacciato”.
Nella sua produzione Donatello si spinse oltre il rilievo, senza abbandonarlo del tutto, come è evidente nelle due Madonne col Bambino in terracotta conservate a Berlino (1410-1415 circa) e al Museo Bardini (1420 – 1423 circa), eseguite come altorilievi scontornati e ambedue esposte in mostra. Nel primo Rinascimento viene recuperata anche l’idea classica di statua a tutto tondo, ovvero raffigurata in tutte le sue dimensioni e isolata da nicchie e pareti: Donatello approdò a questa ricerca con il David bronzeo (1435 – 1440 circa) eseguito per Palazzo Medici.
Eleonora Caiani
Con le parole latine Imago Pietatis si indica un’iconografia che raffigura Cristo morto, che ciò nonostante si erge dal sepolcro con le braccia incrociate. Le varianti che si sviluppano sono molte ed è possibile individuare alcune tipologie più diffuse in cui Cristo può essere solo o accompagnato dalla Vergine e da san Giovanni Evangelista, o ancora circondato da angeli che lo sostengono. In alcuni casi viene raffigurato mentre mostra le ferite e affiancato dagli strumenti della Passione (arma Christi). L’iconografia si diffuse grazie a un’icona presente nella Basilica di Santa Croce in Gerusalemme di Roma, realizzata intorno al 1300 da un ignoto artefice di cultura bizantina. Si tratta di un mosaico che rappresenta l’apparizione di Cristo a san Gregorio, avvenuta mentre celebrava la messa. Il Santo, infatti, vide apparire l’immagine di Cristo sofferente circondato dagli strumenti della passione e chiese di crearne un’immagine. La variante dell’Imago Pietatis con gli angeli che sostengono Cristo si deve a Donatello (1386 circa – 1466), che nel rilievo bronzeo per l’altare maggiore della Chiesa di Sant’Antonio a Padova (1449-1450), rappresenta Cristo con le braccia incrociate e il corpo esanime, mentre due angeli mostrano i volti addolorati e scostano le tende per svelarlo.
Questo modello donatelliano influenzò la produzione di altri artisti come Giovanni Bellini (Venezia, 1435 circa – 1516) Marco Zoppo (Cento, 1432/1433 circa – Venezia 1478) e Nicola di maestro Antonio (Ancona, documentato dal 1465 – ante 1511).
Francesca Russo
Con il termine “rinettatura” si intende l’insieme di operazioni volte a pulire, levigare e rifinire la superficie di un’opera in bronzo.
Nel primo Quattrocento tornò in auge, per la creazione di opere bronzee, la complessa tecnica della fusione a cera persa. Con questo metodo, già noto nel mondo Antico e il cui utilizzo non era mai cessato completamente, si otteneva una maggiore espressività e duttilità del modellato. Le sculture finali, cave al proprio interno, risultavano anche più economiche e leggere.
Il lavoro non terminava con il raffreddamento della fusione in bronzo, poiché l’opera necessitava di importanti rilavorazioni. Tramite appositi strumenti, come il cesello, si interveniva sulla superficie, eliminando i difetti, colmando le lacune e rifinendo i dettagli.
Il processo di rinettatura poteva impegnare gli artisti anche per diversi anni, come accadde per la Porta Nord del Battistero di Lorenzo Ghiberti (1403-1426).
I due Spiritelli portacero in bronzo (1436-1438 circa) che Donatello eseguì per la Cantoria (1431-1438) di Luca della Robbia, oggi al Musée Jacquemart-André di Parigi, presentano differenze proprio nella rinettatura: in una figura risulta eseguita con estrema precisione, rifinendo nel dettaglio ogni singola superficie, come farebbe un allievo per dimostrare le proprie capacità, nell’altra invece, interviene presumibilmente Donatello stesso.
Il maestro, infatti, consapevole della posizione che gli spiritelli avrebbero assunto, in alto e lontani da uno sguardo ravvicinato, non ritenne necessario rifinire quelle zone che l’occhio non avrebbe potuto apprezzare, valorizzando insieme le ombre che si generano dalle piccole increspature del bronzo. Donatello non perfezionava parti di opere che nessuno avrebbe visto: considerando la posizione elevata del David bronzeo oggi al Bargello (1435 – 1440 circa) omise la rinettatura delle parti che la ghirlanda sulla base avrebbe nascosto.
Lorenzo Grimaldi
La “bottega” è l’organismo alla base della vita artistica del Tre e Quattrocento, un ambiente in cui già da piccoli si viene avviati alla pratica come garzoni – oggi li chiameremmo apprendisti – impegnati in ogni genere di attività quali la pulizia degli ambienti e degli strumenti da lavoro, piccole commissioni, o posando come modelli. Successivamente i giovani si esercitano nel disegno, ma apprendono anche le diverse tecniche: l’eclettismo degli artisti rinascimentali è forse da ricercare proprio in questa educazione artistica. La bottega è inoltre organizzata così da poter fornire dai più semplici manufatti ai più straordinari capolavori.
Raggiunta una certa maturità e capacità tecnica, gli artisti si affrancano dal maestro avviando la propria attività, affrontando l’organizzazione di una nuova bottega e la relazione con i committenti.
La formazione da orafo di Donatello (1386 circa – 1466) nella bottega di Ghiberti (1404-1407), impegnata nella Porta nord del Battistero, lo influenzò profondamente come è evidente, tra l’altro, nella mitria del San Ludovico di Tolosa (1423-1425) e nel Convito di Erode (1423-1427), mentre la conoscenza specifica di materiali e tecniche (come la lavorazione del legno e della pietra) gli permise di realizzare opere come il Crocifisso di Santa Croce (1408 circa) la Maddalena penitente per il Battistero fiorentino (1440 – 1442 circa), o la Madonna Piot (1440), da cui emerge anche la sua ricerca continua unita al suo carattere da sperimentatore.
Cristina Cugliandolo