A cura di Arturo Galansino
Introduzione
Palazzo Strozzi presenta Sex and Solitude, la prima mostra istituzionale in Italia dedicata a Tracey Emin, una delle più grandi artiste del panorama contemporaneo. Con oltre sessanta opere, tra lavori storici e nuove produzioni, l’esposizione offre un’immersione nell’universo profondamente autobiografico di Emin, in cui arte e vita si intrecciano in un’indagine intima su desiderio, dolore e memoria.
Il titolo richiama due poli centrali della ricerca dell’artista: da un lato, il corpo e la sessualità evocati attraverso immagini di intensa fisicità; dall’altro, la solitudine e la vulnerabilità, che permeano il suo lavoro e trovano espressione in una figurazione carica di tensione emotiva.
Il percorso espositivo, tematico, ripercorre la sua carriera dagli anni Novanta a oggi, con opere in pittura, disegno, scultura, video e installazione. Emin sperimenta materiali e tecniche eterogenee, dal ricamo al bronzo, dal neon alla tela, traducendo esperienze personali in metafore universali con un linguaggio crudo e diretto.
Il corpo, fragile e carnale, è da sempre al centro della sua indagine, sospeso tra desiderio e sofferenza, amore e perdita. In questa ricerca Emin si pone in dialogo diretto con la storia dell’arte, con maestri come Edvard Munch ed Egon Schiele, che hanno ispirato la sua visione emotiva e psicologica. Il suo lavoro si inserisce così in un confronto più ampio con la storia dell’arte, entrando in relazione anche con l’eredità rinascimentale di Firenze e con lo spazio stesso di Palazzo Strozzi.
«Ogni immagine è entrata prima nella mia mente, ha attraversato il mio cuore, il mio sangue, arrivando alla fine della mia mano. Tutto è passato attraverso di me».
Tracey Emin
Biografia
Tracey Emin è nata nel 1963 a Croydon, Londra, ed è cresciuta nella città costiera di Margate. Nell’arco della sua carriera ha sviluppato una pratica artistica che spazia tra disegno, pittura, arazzi, ricami, film, sculture in bronzo e opere al neon. L’artista trae ispirazione dalla propria vita, facendo riferimento a esperienze profondamente intime: dalla sua storia sessuale agli abusi subiti, dall’aborto alle relazioni affettive, fino, più recentemente, al cancro e alle sfide legate alla sua salute.
Nel 1999 ha attirato enorme attenzione mediatica quando è stata candidata al Turner Prize e ha esposto My Bed alla Tate Gallery di Londra. L’opera, realizzata l’anno precedente durante un periodo di forte instabilità emotiva, mostra il letto sfatto dell’artista circondato da oggetti personali e altri resti, come preservativi, biancheria macchiata di sangue, bottiglie di alcol vuote e mozziconi di sigaretta. Da quel momento la carriera di Emin ha conosciuto una crescita costante: nel 2007 ha rappresentato la Gran Bretagna alla 52. Biennale di Venezia e nel 2011 è stata nominata Professor of Drawing presso la Royal Academy, diventando la seconda donna a ricoprire questo ruolo nella storia dell’istituzione.
Oggi Emin è ampiamente riconosciuta a livello istituzionale. Recentemente ha inaugurato a Margate i Tracey Karima Emin (TKE) Studios, un progetto di residenze d’artista interamente sovvenzionato da lei, che include anche la Tracey Emin Artist Residency (TEAR), un programma gratuito di formazione pratica per artisti.
Nel 2024 è stata insignita del titolo di “Dame” nell’ambito delle onorificenze conferite in occasione del King’s Birthday Honours, come riconoscimento del suo contributo all’arte.

Facciata
Sex and Solitude
Un grande neon sulla facciata di Palazzo Strozzi accoglie i visitatori con un’intensa dichiarazione visiva: Sex and Solitude (Sesso e solitudine, 2025), un intervento site-specific creato per l’esposizione, che illumina l’architettura rinascimentale con il titolo della mostra in un azzurro vivido. Quest’opera introduce immediatamente nell’universo di Tracey Emin, in cui la scrittura diventa immagine e le parole acquistano una presenza fisica che ne amplifica l’impatto emotivo.
L’artista fa della propria grafia una firma riconoscibile, un tratto distintivo della sua pratica che fonde confessione e affermazione. Le sue opere testuali, dirette ed essenziali, evocano emozioni intime con un’immediatezza che coinvolge visceralmente il pubblico. L’uso del neon, così emblematico nel suo lavoro, affonda le radici nei ricordi d’infanzia a Margate, città di mare segnata dalla presenza costante di insegne luminose. Emin sfrutta la luce come amplificatore emotivo, trasformando la parola scritta in un segno pulsante.
«Il neon ha sempre avuto una connotazione un po’ squallida. Ma lo trovo anche sexy. È scintillante, pulsante, audace, vibrante. […]. Per me ha sempre avuto un fascino meraviglioso».
Cortile
I Followed You To the End
Lo spazio del cortile rinascimentale è dominato dalla scultura in bronzo I Followed You To the End (Ti ho seguito fino alla fine, 2024). A prima vista la forma appare astratta, con rilievi irregolari e cavità che evocano un paesaggio montuoso. Ma, muovendosi intorno, appare la parte inferiore di un corpo femminile con le gambe divaricate.
La superficie conserva le tracce della modellatura e della fusione, mantenendo una tensione tra la scala monumentale e la dimensione intima del soggetto. Collassata e mutila, l’opera sovverte l’impostazione eroica del bronzo celebrativo, offrendo una rappresentazione vulnerabile e potente che reinterpreta la tradizione della scultura storicamente impiegata per immortalare figure maschili erette e dominanti. Questo corpo femminile si manifesta in una forma frammentata e piegata, in netto contrasto con la rigidità della tradizione. La superficie ruvida, segnata dal gesto dell’artista, amplifica il dialogo tra forma ed emozione, trasformando il cortile di Palazzo Strozzi in uno spazio di forte impatto emotivo.
L’uso del bronzo è stato un passaggio essenziale nella ricerca di Emin. L’artista racconta di aver imparato la tecnica della fusione a cera persa in una fonderia a New York, consigliata da Louise Bourgeois, iniziando con piccole sculture prima di passare a opere monumentali.
Sala 1
Poems
Attingendo a ricordi ed esperienze, l’arte di Tracey Emin esplora le sfumature del sesso e del desiderio, trasformandole in una narrazione cruda ed evocativa che cattura le sensazioni più profonde.
Nei dipinti della sala, There was no Right way (Non c’era il modo giusto, 2022) ed Everything is moving nothing Feels Safe. You made me Feel like This (Tutto si muove, niente sembra sicuro. Mi hai fatto sentire così, 2018), amore e desiderio si intrecciano con un senso di vulnerabilità.
Alto quattro metri e mezzo, Love Poem for CF (Poesia d’amore per CF, 2007) è uno dei neon più grandi di Emin, in cui la passione sessuale si traduce in poesia.
Il suo messaggio di dolore amoroso si basa su versi scritti negli anni Novanta per l’ex fidanzato Carl Freedman. I neon di Emin combinano la sua linea distintiva, sia scritta che disegnata, e il suo talento nell’uso del linguaggio, che emerge sia nei titoli che nei testi. Emin trasforma la luce in emozione, utilizzando il neon in modo espressivo piuttosto che concettuale.
«Hai messo la tua mano / Sulla mia bocca / Ma il rumore comunque / Continua / Ogni parte del mio corpo / sta Urlando / Frantumata in un / Milione di pezzi / Ogni parte / Per Sempre / Appartiene a te».
Sala 2
Exorcism
Dopo un periodo traumatico all’inizio degli anni Novanta segnato dall’aborto, nel 1996 Tracey Emin è tornata alla pittura, abbandonata sei anni prima, con Exorcism of the last painting I ever made (Esorcismo dell’ultimo dipinto che abbia mai fatto). Per tre settimane e mezzo – il tempo tra un ciclo mestruale e l’altro – si è chiusa nuda in uno spazio di una galleria a Stoccolma, trasformandolo in uno studio temporaneo. Lavorando sotto lo sguardo del pubblico, Emin era, insieme, creatrice e soggetto della propria arte. I visitatori potevano infatti osservarla attraverso lenti grandangolari mentre realizzava dipinti e disegni ispirati ad artisti – tutti uomini – come Egon Schiele, Yves Klein, Edvard Munch e Pablo Picasso. Se il nudo femminile è stato tradizionalmente rappresentato da uomini, con le donne relegate al ruolo di muse passive negli studi d’artista, Emin sovverte questa convenzione, riappropriandosi della propria immagine.
La serie fotografica Naked Photos. The Life Model Goes Mad (Foto di nudo. La modella impazzisce) documenta questa esperienza, sovrapponendo la figura dell’artista e della modella. Gli strumenti e i materiali di Exorcism of the last painting I ever made, insieme ai lavori realizzati durante la performance, sono qui esposti nella forma originale, restituendo l’esperienza immersiva di una delle azioni più significative della carriera di Emin.
«Ho smesso di dipingere quando ero incinta. L’odore dei colori a olio e della trementina mi faceva sentire fisicamente male, e anche dopo l’aborto non riuscivo a dipingere. Era come se dovessi punirmi smettendo di fare la cosa che amavo di più».
«Odiavo il mio corpo; avevo paura del buio; avevo paura di addormentarmi. Stavo soffrendo per il senso di colpa e mi stavo punendo, così mi chiusi in una scatola e mi detti tre settimane e mezza per risolvere la situazione. E ci riuscii. Il mio unico rimpianto riguardo a questo progetto fu di non aver ripreso a dipingere da quel momento. Mi ci sono voluti altri cinque anni prima di ricominciare a dipingere».
Sala 3
Coming Down From Love
Le opere di Tracey Emin esplorano gli istinti e le emozioni più profonde dell’essere umano, muovendosi tra desiderio, amore, perdita e dolore. Il corpo è al centro della sua pratica, non solo come luogo di piacere e vulnerabilità, ma anche come custode di ferite e memorie. Lei stessa afferma: «Voglio che le persone provino qualcosa quando guardano il mio lavoro. Voglio che sentano sé stesse. Questo è ciò che conta di più».
Emin lavora istintivamente, spesso su più tele contemporaneamente, alternando momenti di grande velocità ad altri di estrema lentezza. Non pianifica mai l’immagine finale: la composizione si sviluppa durante l’esecuzione, con modifiche e cancellazioni che restano visibili sulla superficie della tela, come tracce di un processo intimo e in continua evoluzione.
Sempre figurativa, ma con tratti che sfiorano l’astrazione, Emin impiega gli acrilici con pennellate rapide e sicure, usando il colore come mezzo espressivo diretto e sensuale, capace di amplificare la forza emotiva delle sue immagini.
I temi affrontati sono altrettanto intensi: amore e desiderio, gioia e dolore, vita e morte. Titoli come Not Fuckable (Non scopabile, 2024) o I Wanted You To Fuck Me So Much I Couldn’t Paint Anymore (Volevo che mi scopassi così tanto da non riuscire più a dipingere, 2020) riflettono la crudezza e l’immediatezza della sua poetica. Coming Down From Love (Scendendo dall’amore, 2024) rivela invece il modo in cui l’arte di Emin intreccia intimità e malinconia, trasformando esperienze personali in un linguaggio universale.
Sala 4
Hurt Heart
L’amore è tema centrale nell’opera di Tracey Emin, esplorato in tutte le sue sfaccettature, tra desiderio, romanticismo e dolore. Alcuni lavori raffigurano esplicitamente atti di amore fisico, catturando l’energia viscerale del sesso, come nei calicò ricamati I don’t need to see you I can feel you! (Non ho bisogno di vederti, posso sentirti!, 2016) e No Distance (Nessuna distanza, 2016).
Un’analoga intensità permea le piccole sculture al centro della sala, del 2017, in bronzo con patina di nitrato d’argento: I wanted you more (Ti ho voluto ancora), e In my defence – I thought of only you (In mia difesa: ho pensato solo a te).
Il linguaggio è parte integrante della pratica di Emin, come in Hurt Heart (Cuore ferito, 2015), dove l’accostamento delle due parole sottolinea il legame tra amore e sofferenza.
Dichiaratamente femminista, Emin utilizza materiali che sono parte della sua narrazione e con calicò e trapunte, tradizionalmente legati alla manualità femminile, dà forma alle parole, unendo frammenti con cuciture irregolari e frasi a volte volutamente scorrette. Anche la tecnica sfida la tradizionale definizione di “arte”, a lungo dominio maschile.
Sala 5
Those who Suffer LOVE
Those who Suffer LOVE (Chi soffre AMA, 2009) è una scritta al neon che esprime una riflessione sull’amore e sulla sofferenza. Come spiega Emin, «l’amore raramente arriva con facilità e, quando ciò accade, di solito svanisce in fretta».
Le sue opere al neon non si limitano a esplorare l’amore tra persone, ma evocano condizioni universali: la grafia cattura pensieri e li trasforma in aforismi, elevando l’esperienza intima a una dimensione collettiva.
Lo stesso titolo Those who suffer love accomuna un film d’animazione (2009) composto da centocinquanta monotipi. La figura femminile protagonista si mostra a gambe divaricate, priva di volto e riconoscibilità, non assecondando il desiderio di altri, ma facendo emergere la propria indipendenza.
Motivo ricorrente nella sua arte, questo tipo di immagine trova pochi precedenti nella storia dell’arte, e sempre in opere di artisti uomini come Gustave Courbet o Egon Schiele. Riproponendo questa posa, Emin la sottrae allo sguardo maschile, caricandola di una forza espressiva cruda e immediata.
Those who suffer love non è solo una riflessione sull’autonomia e l’espressione del desiderio da parte delle donne, ma anche una critica su come la storia dell’arte e la società abbiano inquadrato e limitato la sessualità femminile.
Il disegno, intimo e personale, diventa dichiarazione pubblica, trasformando un momento privato in un’espressione condivisa che mette in primo piano temi come il senso del pudore, l’autodeterminazione e il desiderio.
Sala 6
A Different Time
Nel 2020, in un periodo segnato dall’isolamento imposto dalla pandemia di COVID-19, Tracey Emin ha creato nella sua casa di Londra una serie di piccoli dipinti, trasformando il proprio spazio domestico in un rifugio per la memoria, mentre si preparava a lasciarlo dopo vent’anni. Queste opere esplorano solitudine, lutto e trasformazione, evocando figure spettrali in interni essenziali, resi con una palette di blu e grigi.
My Mum’s Ashes – In The Ashes Room (Le ceneri di mia mamma – Nella stanza delle ceneri) riflette sulla perdita della madre, la cui presenza aleggia nell’ambiente attraverso l’urna che ne contiene le ceneri. La pittura diventa così uno spazio di confronto con il dolore, ma anche di riconciliazione con la memoria e il tempo.
La solitudine non è un vuoto, ma una condizione per introspezione e crescita. Thriving on Solitude (Prosperare nella solitudine) suggerisce proprio questo concetto di occasione di rinascita.
Alcuni dipinti sembrano prefigurare un’inquietudine. A Message From The Gods in Advance – December 2019 (Un messaggio dagli dèi in anticipo – dicembre 2019) contiene parole enigmatiche che sembrano una preghiera: «Ora te ne sei andato / Ti volevo / Te l’avevo quasi detto / Dovevo dirtelo / Ma perché avrei dovuto / Come avrei potuto». 5 Hours (5 ore) e 5 Hours Long – With you in my mind (Per 5 ore – Con te nella mia mente) evocano il tempo di una telefonata in vasca che Emin ha avuto con un uomo che amava profondamente in quel periodo.
Sala 7
I Do Not Expect
Tracey Emin affronta il tema della maternità in relazione alla propria esperienza, dichiarando: «Non sono una madre. Non sono mai stata una madre e non lo sarò mai. Ma lo sono con la mia arte». Tale affermazione introduce le opere di questa sala, incentrate sul passare del tempo, la solitudine e il desiderio irrisolto di maternità.
In I do not expect (Non mi aspetto, 2002), uno dei suoi celebri appliqué (tecnica tradizionale del ricamo e del patchwork), l’artista riflette proprio sulla maternità e sulla morte, intrecciando frammenti di pensieri, tra cui: «Non mi aspetto di essere madre, ma mi aspetto di morire sola / Non deve per forza essere così / Lei è uscita come una lampadina da 40 watt! / Il mio cervello è a pezzi! / Amore fino alla fine / La rivoglio indietro – quella ragazza di 17 anni».
L’appliqué, realizzato con tessuti colorati e floreali cuciti a mano, diventa un linguaggio visivo che unisce intimità e vulnerabilità, con una tecnica associata alla domesticità e al lavoro femminile, ma che viene sovvertita trasformandola in uno strumento di espressione personale. Lo stesso tono cromatico caratterizza You were still There (Eri ancora lì, 2018) e It was all too Much (Era tutto troppo, 2018), che evocano il passare del tempo sul corpo femminile e le implicazioni emotive dell’invecchiamento.
Sala 8
Take My Soul
La parola anima emerge nel lavoro di Tracey Emin con una frequenza e un’intensità rare nell’arte contemporanea. La sua ricerca si ispira a un immaginario spirituale non legato a credo formali, ma permeato da una sensibilità mistica. Priva di dogmi, la sua arte esplora l’aldilà e l’invisibile, evocando visioni che sfumano il confine tra mondo reale e dimensioni sconosciute.
L’iconografia cristiana è stata per Emin fonte d’ispirazione fin dai tempi della sua formazione al Royal College of Art, quando frequentava la National Gallery per studiare pale d’altare, icone e raffigurazioni religiose. Tra i temi ricorrenti, la crocifissione assume un ruolo centrale: simbolo universale di sofferenza, diventa nella sua opera una metafora della vulnerabilità umana, della perdita e della rinascita.
Al centro della sala sono esposte cinque sculture del 2013: blocchi rettangolari di bronzo, patinati di bianco, con figure in miniatura di creature selvatiche talora insieme a una donna, a evocare il legame di Tracey con la natura. Le superfici sono incise con frasi tracciate irregolarmente, come You have no idea how safe you make me feel (Non hai idea di quanto tu mi faccia sentire al sicuro).
Realizzati in una fonderia di Long Island dove aveva lavorato anche Louise Bourgeois, questi bronzi sembrano sovvertire la monumentalità della scultura tradizionale. Le superfici evocano una manualità quasi infantile, un gesto intimo che dialoga con il senso di fragilità e protezione trasmesso dalle parole. Emin descrive queste opere come lettere d’amore scolpite, in cui il corpo femminile si fonde con il mondo naturale. Il bianco, nella sua purezza, rafforza la dimensione spirituale, rendendo questi lavori manifestazioni di un dialogo interiore tra sofferenza e trascendenza.
Sala 9
All I want is you
Il desiderio è al centro di I Longed For You (Ti desideravo, 2019), un grande neon che trasforma un pensiero in una poesia visiva luminosa. Il titolo evoca un sentimento così intenso da sembrare insostenibile, «Ti desideravo. Ti volevo / L’unico luogo in cui mi raggiungevi / era nei miei sogni. / Troppo lontano perché potessi toccarti / con il tempo sei scomparso lentamente. / La Distanza del tuo Cuore».
All I want is you (Tutto quello che voglio sei tu, 2016), una delle prime sculture monumentali di Emin, realizzata dopo la morte della madre, affronta i temi della perdita, dell’amore e della forza femminile. L’opera rappresenta un’estensione del linguaggio artistico di Emin, riflettendo la sua capacità di tradurre idee bidimensionali nello spazio. Ogni superficie conserva le tracce delle sue mani e le sue impronte digitali, poiché il bronzo è fuso da uno stampo in argilla modellato direttamente dall’artista. Ne emerge una figura femminile potente, gravata dal peso di una massa simile a una pietra che, separata dal corpo, può essere interpretata come una memoria, qualcosa di perduto che, pur distante, rimane ancora connesso.
Anche in You Should have Saved me (Avresti dovuto salvarmi, 2023), un dipinto che richiama le litografie di Edvard Munch, l’artista continua a indagare l’intreccio tra solitudine e desiderio.
Sala 10
The End of the Day
La mostra si chiude con una selezione di opere realizzate nel 2022, dopo l’intervento chirurgico per il cancro nel 2020. Emin è tornata all’incisione, tecnica studiata al Maidstone College of Art, utilizzando il monotipo serigrafico. Questi grandi lavori esplorano il trauma dell’operazione e il processo di guarigione, con contrasti di bianchi e tonalità scure di blu, grigio e nero che evocano Goya e Manet e, nonostante i toni cupi, celebrano la vita e l’espressione di sè.
L’artista si confronta con il suo corpo trasformato, come in It Never Felt like This (Non mi sono mai sentita così). Ricreare la propria immagine diventa un atto di ribellione: nonostante i progressi del femminismo, il nudo femminile è ancora legato allo sguardo maschile. Emin lo sovverte senza compromessi. Le sue figure, intriganti, ma tese e contorte, esprimono dolore e libertà: una donna che si ritrae senza abbellimenti. In Like The moon, You Rolled across my back (Come la luna, sei rotolato sulla mia schiena), la luna – simbolo femminile – grava su Emin come il cielo su Atlante.
Negli ultimi anni Emin ha trascorso più tempo a Margate, scelta che si riflette in dipinti come The Sea came in, The Sea went out – It Left me (Il mare è venuto, il mare è andato – mi ha lasciato). La solitudine evocata dal titolo della mostra emerge anche nel suo processo creativo: ora lavora solo con una persona, il suo direttore creativo Harry Weller, realizzando opere più intime nel suo studio, sotto lo sguardo costante dei suoi due gatti, Teacup e Pancake.
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