«L’arte del mio paese è incomparabilmente più profonda di tutto ciò che conosce l’Occidente». Natalia Goncharova, 1913

«L’arte del mio paese è incomparabilmente più profonda di tutto ciò che conosce l’Occidente». Natalia Goncharova, 1913
«Ecco cosa ha dipinto un pazzo e quello che un altro pazzo ha acquistato». Sergei Shchukin a Léonid Pasternak parlando dei propri Gauguin
Si è chiusa a Palazzo Strozzi la mostra Marina Abramović. The Cleaner, la prima grande retrospettiva italiana dedicata a una delle personalità più celebri e controverse dell’arte contemporanea, che con le sue opere ha rivoluzionato l’idea di performance mettendo alla prova il proprio corpo, i suoi limiti e le sue potenzialità di espressione.
Curata da Arturo Galansino, Direttore Generale della Fondazione Palazzo Strozzi, in quattro mesi di programmazione, la mostra ha raggiunto la cifra record di 180.000 visitatori, riscuotendo allo stesso tempo un grandissimo successo di critica, che l’ha consacrata una delle mostre di arte contemporanea più visitate di sempre in Italia.
Per la prima volta una donna è stata protagonista assoluta di una mostra di Palazzo Strozzi: Marina Abramović ha raccolto la sfida utilizzando il palazzo rinascimentale come luogo espositivo unitario, unendo Piano Nobile, Strozzina e cortile, confrontandosi con un contesto unico e ricco di sollecitazioni. Come ha dichiarato Marina,
“essere la prima donna ad esporre a Palazzo Strozzi è stata per me un’immensa responsabilità. Sono lieta per la grande risposta del pubblico alla mostra, tanto da averla resa una delle più visitate nella storia di Palazzo Strozzi. Con l’Italia ho sempre avuto un rapporto speciale e essere di nuovo qui, dopo molti anni, con un evento così importante per la mia carriera mi gratifica molto.”
Una rassegna apprezzata dal pubblico per la qualità delle opere esposte e per l’attualità dei temi trattati che ha creato una straordinaria occasione di dibattito e di riflessione, attirando fin dalla sua apertura l’attenzione della stampa nazionale, internazionale e dei maggiori social networks.
Le attività legate alla mostra hanno registrato una grande partecipazione e le strategie di promozione differenziata ad hoc hanno dato risultati eccezionali non solo in termini di numero di visitatori ma anche sulle peculiarità e sul gradimento. Dall’analisi sui visitatori emerge che oltre il 70% del pubblico è femminile e oltre il 50% è under 30. Buona la partecipazione del pubblico locale, che si attesta al 34% del totale dei visitatori. Il 38% dei visitatori è rappresentato dal pubblico turista (italiano e straniero) e il 28% da un pubblico escursionista (a Firenze per una sola giornata).
Straordinario il dato dei circa 70.000 visitatori “esclusivi”, che hanno scelto di venire a Firenze principalmente per visitare la mostra a Palazzo Strozzi: un risultato che testimonia il ruolo di Palazzo Strozzi nella valorizzazione di Firenze e la Toscana attraendo pubblico nazionale e internazionale e creando con la cultura valore economico per il territorio.
Importante la presenza di nuovo pubblico: il 46% del totale dei visitatori (quasi 80.000 persone) ha visitato per la prima volta gli spazi espositivi di Palazzo Strozzi in occasione della mostra e l’85% di loro dichiara di voler tornare per le mostre future. Il 97% del pubblico si dichiara pienamente soddisfatto dell’esperienza.
Palazzo Strozzi è particolarmente attento alla comunicazione via social e in occasione della mostra 2.1 milioni di persone sono state raggiunte su Facebook e in media oltre 10mila persone sono state interessante da ogni nuovo post. I cinque video pubblicati sul social hanno ottenuto 600mila visualizzazioni e oltre 20mila sono state le reazioni (like, commenti, condivisioni). Stesso trend si registra su Instagram: oltre 1 milione di persone sono state raggiunte e circa 9mila ogni volta che veniva pubblicato un nuovo aggiornamento, collezionando un totale di 90mila like su tutti i contenuti. Durante il periodo della mostra, le visualizzazioni della pagina del sito www.palazzostrozzi.org relativa alla mostra Marina Abramović. The Cleaner sono state 750mila dato record rispetto alle mostre passate.
“Ospitare una simile retrospettiva qui a Palazzo Strozzi significa confermare, ancora una volta, la sua vocazione per il contemporaneo” dichiara Arturo Galansino, Direttore Generale della Fondazione Palazzo Strozzi. “L’ottimo risultato conferma la validità di un’offerta, che continua ad attirare pubblico e suscitare dibattito, tenendo fede al disegno della Fondazione, di portare a Firenze eventi culturali di qualità e di valenza internazionale. Marina Abramović attraverso la sua profonda ricerca artistica ha attraversato mezzo secolo sfidando i limiti, reinventando il rapporto con il pubblico, riconfigurando il concetto stesso di performance e entrando indelebilmente nell’immaginario collettivo»
La sala in Strozzina dedicata a Rhythm 0.
Foto di Alessandro MoggiEra il 1974 infatti quando Marina Abramović diede vita a una delle sue performance più discusse.
«Sul tavolo ci sono settantadue oggetti che possono essere usati a piacere su di me. Io sono l’oggetto. Durante la performance mi assumo la totale responsabilità. La performance e l’ultima del ciclo dei ritmi (Rhythm 10, Rhythm 5, Rhythm 2, Rhythm 4, Rhythm 0). Concludo la mia ricerca sul corpo conscio e inconscio.
Oggetti sul tavolo: pistola, proiettile, vernice blu, pettine, campana frusta, rossetto, coltellino svizzero, forchetta, profumo, cucchiaio, cotone, fiori, fiammiferi, rosa, candela, acqua, sciarpa, specchio, bicchiere, macchina fotografica Polaroid, piuma, catene, chiodi, ago, spilla da balia, forcina, spazzola, benda, vernice rossa, vernice bianca, forbici, penna, libro, cappello, fazzoletto, foglio di carta bianco, coltello da cucina, martello, sega, pezzo di legno, accetta, bastone, osso di agnello, quotidiano, pane, vino, miele, sale, zucchero, sapone, torta, tubo di metallo, bisturi, lancia di metallo, confezione di lamette da rasoio, piatto, calice, cerotto, alcol, medaglia, stola di pelliccia, paio di scarpe, sedia, lacci in pelle, gomitolo, cavo di metallo, zolfo, uva, olio d’oliva, rametto di rosmarino, miele»
Così descrive le sensazioni di quelle ore la stessa Marina Abramović nella sua autobiografia “Attraversare i muri”:
Fu lo Studio Morra di Napoli a invitarmi: “Vieni qui e fa’ quello che vuoi”. Era l’inizio del 1975. […] progettai una performance in cui sarebbe stato il pubblico ad agire. Io sarei stata solo l’oggetto, il ricettacolo. Mi sarei presentata alla galleria e sarei rimasta lì, in pantaloni neri e T-shirt nera, davanti a un tavolo contenente settantadue oggetti [..] Alle otto di sera si presentò una considerevole folla, che trovò sul tavolo queste istruzioni […] Durante questo intervallo di tempo mi assumo ogni responsabilità. Durata: 6 ore (dalle 20 alle 02) Studio Morra, Napoli, 1975. Se qualcuno voleva caricare la pistola e usarla, ero pronta alle conseguenze. Quello che dissi a me stessa fu: “Va bene, vediamo che cosa succede.” Per le prime tre ore non successe molto. Il pubblico era intimidito da me. Me ne stavo lì, con lo sguardo perso nel vuoto, senza guardare niente e nessuno in particolare; ogni tanto qualcuno mi porgeva la rosa, metteva lo scialle sulle mie spalle o mi dava un bacio. In seguito cominciarono a succedere delle cose, all’inizio lentamente e poi in fretta. Fu molto interessante; in genere, le visitatrici dicevano agli uomini che cosa farmi, piuttosto che farlo di persona (anche se più tardi, quando qualcuno mi punse con uno spillo, fu una donna ad asciugarmi le lacrime). Per lo più si trattava del normale pubblico del mondo dell’arte italiano, i mariti con le loro mogli. A ripensarci, penso che il motivo per cui non venni violentata fu che erano presenti le mogli. Quando si fece notte fonda, nella galleria cominciò ad avvertirsi una certa tensione sessuale. Non era da me che proveniva, ma dai visitatori. Eravamo nell’Italia meridionale, dove la chiesa cattolica esercitava una forte influenza, e nell’atteggiamento verso le donne c’era una spiccata dicotomia tra puttana e Madonna. Dopo tre ore, un uomo mi tagliò in due la maglietta e me la tolse. La gente mi costringeva ad assumere varie posizioni. Se mi facevano chinare la testa, la tenevo giù; se la tiravano su, restavo così. Ero una marionetta, completamente passiva. A seno nudo. Qualcuno mi mise in testa la bombetta. Qualcun altro prese il rossetto, scrisse “Io sono libero” sullo specchio e me lo mise in mano. Sempre con il rossetto qualcun altro mi scrisse “End” sulla fronte. Un altro mi scattò delle Polaroid e me le infilò in mano come carte da gioco. Le cose si fecero più audaci. Due tizi mi sollevarono di peso e mi portarono in giro. Mi misero sul tavolo, mi allargarono le gambe e conficcarono il coltello a poca distanza dal mio sesso. Qualcuno mi punse con gli spilli. Un altro mi versò lentamente in testa un bicchiere d’acqua. Qualcuno mi fece un taglio sul collo con il coltello e succhiò il sangue. Ho ancora la cicatrice. E poi c’era un uomo di statura molto bassa che mi stava appiccicato, ansimando. Mi faceva paura. Nessun altro e nessun’altra cosa me ne aveva fatta, ma lui sì. Dopo un po’ mise il proiettile nella pistola e me la mise nella mano destra. La puntò verso il mio collo e toccò il grilletto. Dal pubblico si levò un mormorio; qualcuno fermò il tizio e ci fu una baruffa. Alcuni visitatori volevano evidentemente proteggermi; altri volevano che la performance continuasse. Dato che eravamo nel Sud, la gente alzò la voce e gli animi si infiammarono. Il piccoletto venne cacciato fuori dalla galleria e la performance continuò. Di fatto, il pubblico divenne sempre più attivo, come in trance. Poi, alle due di notte, si fece avanti il gallerista e mi disse che erano passate le sei ore. Smisi di guardare nel vuoto e fissai il pubblico. “La performance è finita,” disse il gallerista. “Grazie.” Ero in uno stato pietoso: mezza nuda, sanguinante, con i capelli bagnati. A quel punto accadde una cosa strana: d’un tratto quelli che erano ancora lì ebbero paura di me. Mentre andavo verso di loro, uscirono di corsa dalla galleria. Il gallerista mi riportò al mio albergo e andai nella mia stanza, con un senso di solitudine che non avvertivo da un pezzo. Ero sfinita, ma la testa continuava a ronzarmi, facendomi rivedere immagini di quella serata. Quando mi avevano punto e tagliato il collo, non avevo sentito niente, ma ora pulsavo di dolore. E non riuscivo a liberarmi della paura ispirata dal piccoletto. Alla fine piombai in una specie di dormiveglia. La mattina mi guardai allo specchio, e un’intera ciocca di capelli mi era diventata grigia. In quel momento mi resi conto che il pubblico può ucciderti. Il giorno dopo, decine di persone che avevano partecipato all’evento telefonarono in galleria. Dicevano di essere terribilmente dispiaciute; non si erano rese conto di ciò che era successo mentre erano lì, non sapevano che cosa fosse successo a loro.
La mostra Marina Abramović. The Cleaner sarà a Palazzo Strozzi fino al 20 gennaio 2019. Fai il biglietto online e vieni in Strozzina per scoprire di più sulla storia, gli strumenti e le performance dell’artista serba.
La retrospettiva di Marina Abramović a Firenze Marina Abramović. The Cleaner comprende anche una serie di reperformance delle opere più famose dell’artista serba. Vediamo quindi il calendario delle attività che vengono eseguite a Palazzo Strozzi.
Tutti i giorni dalle 10.30 alle 19.30. Giovedì dalle 10.30 alle 21.30.
Tutti i giorni dalle 14.30 alle 19.30. Giovedì dalle 10.30 alle 15.30 e dalle 16.30 alle 21.30.
Tutti i giorni dalle 15.00 alle 16.00.
Reperformance che durerà 12 giorni: da martedì 4 dicembre a domenica 16 dicembre.
Per saperne di più visita la pagina del sito. Puoi anche fare il biglietto online e saltare la fila.
La risposta è sì, ma è necessario rispettare alcune importanti regole. Vediamole insieme:
Non in tutte le mostre di Palazzo Strozzi è possibile fotografare le opere esposte, talvolta i prestatori delle opere impongono questo divieto per motivi di copyright, talvolta la delicatezza di un’opera d’arte rende necessario questo divieto proprio perché la forte luce dei flash potrebbe compromettere lo stato di conservazione.
C’è anche un’altra ragione, spesso sottovalutata: visitare una mostra circondati da decine di fotografi appassionati può tramutare un’esperienza unica di incontro con l’arte in un maldestro tentativo di evitare macchine fotografiche e telefoni cellulari che spuntano da ogni parte.
Il lavoro dei performer richiede grande concentrazione e sforzo fisico, trovarsi una macchina fotografica sotto il naso influisce negativamente sulla loro performance.
Inoltre, così come è necessario tenersi alla giusta distanza da un quadro o una scultura, anche nel caso dei performer in mostra è necessario mantenere la giusta distanza per non disturbare lo svolgimento dell’azione e permettere agli altri visitatori di vedere ciò che sta accadendo.
Ultima nota: la performance art si caratterizza per la sua immaterialità, per la capacità di generare forti sensazioni e trasformarsi in un ricordo, diverso per ognuno di noi, da condividere verbalmente. Come dice Marina Abramović, dobbiamo riuscire a vivere il qui e l’ora con la consapevolezza che ciò che vediamo e proviamo è irripetibile e l’unicità risiede proprio nella transitorietà; immancabilmente ci perdiamo tutto questo se siamo occupati a inquadrare, mettere a fuoco e scattare.