Cosa succederebbe se tu fossi felice?

Psicoterapeuta di orientamento gestaltico, Gianmarco Meucci è coinvolto nella mostra Tomás Saraceno. Aria per le letture delle Carte da Aracnomanzia, 33 carte create da Tomás Saraceno per entrare in contatto con se stessi tramite gli oracoli tessuti dai ragni. Ogni mercoledì dalle 18.00 alle 20.00 il dott. Meucci incontra online singole persone per una lettura delle Carte che diviene un appuntamento per scoprire noi stessi.

«La natura sembra preferire i rapporti agli individui, nulla si crea da sé.
Chiedetevi quante moltitudini racchiudete in voi».

Tomás Saraceno

Attraverso un’interpretazione intuitiva delle carte di Tomás Saraceno trasmutiamo la trappola della meccanicità del nostro comportamento abituale in una risorsa, intessendo, come fa il ragno con la ragnatela, nuove connessioni con la nostra natura più autentica e con il mondo che ci circonda. I ragni sono animali che comunicano con il mondo attraverso le trame delle loro ragnatele, ricordandoci come tutto è comunicazione, compreso il silenzio. Il ragno crea unendo gli elementi che lo circondano, mostrandoci come tutto è interdipendente.

In questo periodo di crisi ecologica, in cui la tecnologia finalmente sta rivelando prepotentemente a tutti l’inevitabilità delle interconnessioni, diventa vitale riconoscere la responsabilità delle proprie azioni per il futuro del nostro pianeta. La risonanza creata dalle immagini delle carte produce la poesia, ci mostra l’essenza, la sintesi di quel problema, di quel blocco, di quel dubbio, di quella domanda, di quella questione aperta che continua ad affiorare dal nostro passato e influisce sul nostro presente. La magia è nel movimento dallo spazio interno del pensare/sentire alla sua espressione esterna, dal non detto all’esplicito, offrendoci la possibilità di agire per cambiare il nostro punto di vista. Di magico c’è la connessione che si stabilisce tra chi fa la domanda e chi dà la risposta, tra chi dà e chi riceve, ed è questa la relazione che cura e genera il cambiamento.

Tomás Saraceno, Webs of At-tent(s)ion, 2020. Installation view of Aria, Palazzo Strozzi, Florence, 2020.
© Photography by Ela Bialkowska, OKNOstudio

Lo scopo delle letture è fornire spunti creativi alla propria esistenza, prendendo ispirazione dalle ragnatele dei ragni, splendidamente orchestrate nella mostra di Tomás Saraceno. Alla lettura segue un compito, un’azione da compiere nelle tre settimane successive per sciogliere il problema. Qui entra in gioco la psicoterapia della Gestalt, che porta alla luce un rapporto fondamentale in tutte le cose: il rapporto tra la figura e lo sfondo. Quando guardiamo un quadro è impossibile estrapolare quell’opera dal contesto in cui la guardiamo e, proprio per questo motivo, dove poniamo l’attenzione è l’aspetto più importante. Ciò cambia il senso di quello che guardiamo e così il suo significato.

Più che scoprire qualcosa di nuovo, in genere, gli esseri umani inventano l’altro con le proprie allucinazioni proiettate o anticipazioni catastrofiche: una realtà esistenziale, una realtà cioè assolutamente soggettiva. Usando le carte di Tomás Saraceno come mediatori interculturali, cioè come immagini cariche di significati, la persona che richiede un colloquio può liberamente fantasticare sull’oggettività della figura, e sui particolari del disegno che la colpiscono. Come terapeuta, pongo l’accento sui particolari perché è importante tenere la persona ancorata ai dettagli della carta per entrare nella dinamica funzionale di figura-sfondo e per comprendere compiutamente quale sia la storia del suo mondo.

Risulta evidente che, in qualsiasi tipo di relazione in cui ci apriamo all’altro, quando qualcuno parla dei suoi problemi, per esempio, sta raccontando la sua visione delle cose, la sua storia così come la vede lui e non l’oggettività della stessa. La definizione del suo Sé è una storia, la storia del modo di intendere se stesso. Egli manifesta la sua autopoiesi ovvero il modo di costruire se stesso nell’interazione con l’altro. Questa costruzione relazionale, mediata dall’Aracnomanzia di Saraceno, ci porta prima a interagire con l’effetto emozionale che produce la carta sulla persona e poi sul collegamento tra la proiezione e la realtà.

Tomás Saraceno, Arachnomancy Cards, 2020. Installation view of Aria, Palazzo Strozzi, Florence, 2020.
© Photography by Ela Bialkowska, OKNOstudio

La relazione che si instaura è di natura intersoggettiva e si costruisce all’interno di un rapporto dialogico, esprimendosi secondo una modalità che possiamo definire un circolo ermeneutico o virtuoso: “Io ti dò la mia interpretazione del mondo e tu mi dai la tua”. Entrambi siamo all’interno di una zona “sacra” in cui avviene un contatto dove si sceglie come realizzare i propri desideri. Il consultante si rappresenta come costrutto/metafora nella quale proietta il suo senso di identità attraverso la narrazione di sé all’interno di un continuo processo di cambiamento e mutazione nell’interazione con le carte e con chi le legge.

Il concetto di viabilità di Ernst von Glasersfeld definisce adeguata una metafora quando funziona, cioè quando realizza il proprio obiettivo ed è in grado di raggiungere il suo scopo. Se pertanto l’aspetto più importante di qualsiasi lavoro terapeutico è il suo risultato in termini di modifica del comportamento o quantomeno di miglioramento della qualità della vita, non importa, quindi, quale sia il metodo o approccio psicologico usato per risolvere un certo problema. Il metodo, come hanno sostenuto autori come Charles S. Peirce, è come una chiave per aprire una porta e la verità sta in ciò che funziona, appunto nella sua viabilità. Tale concetto di verità non va quindi più inteso in senso ontologico, ma piuttosto è funzionale nel suo utilizzo concreto.

Tomás Saraceno, Arachnomancy Cards, 2020. Installation view of Aria, Palazzo Strozzi, Florence, 2020.
© Photography by Studio Tomás Saraceno

Ciò che conta nel nostro caso è che la chiave, ovvero l’abilità o metodo terapeutico, apra la porta dei problemi del consultante piuttosto che essere semplicemente una “bella chiave”, o che in altre parole appartenga a un approccio piuttosto che a un altro. La lettura delle carte di Tomás Saraceno diviene una possibile strategia, uno spunto per co-costruire un’alleanza con il consultante. Ogni sessione inizia e si conclude con la domanda più importante per ognuno di noi: cosa è in mio potere per rendere la mia vita e il mio mondo un posto migliore? Tutto è sempre nei fili delle nostre mani. Ad maiora semper.

L’ABC di Tomás Saraceno

di Martino Margheri

Ogni mostra di Palazzo Strozzi è un microcosmo con caratteristiche diverse che permette di approfondire temi e momenti specifici della storia dell’arte, suggerendo sempre nuove opportunità di ricerca e coinvolgimento per progetti educativi e di formazione. Abbiamo riscoperto la storia della bottega di Andrea del Verrocchio con una mostra di impeccabile scientificità, ci siamo commossi davanti alle ri-performance di Marina Abramović in una retrospettiva che ha coinvolto un vastissimo pubblico, abbiamo approfondito il lavoro eclettico di Natalia Goncharova artista sacra e profana, santa e diavola, futurista e passatista. I contenuti delle mostre cambiano, e di conseguenza anche le attività che proponiamo, rimane però un obiettivo costante: sostenere la didattica formale attraverso opportunità di formazione, esperienze sul campo e progettualità condivise.

Da Pausa d’arte al progetto Glossario

Grazie al contributo di Unicoop Firenze e alla collaborazione con l’Università degli Studi di Firenze e l’Accademia di Belle Arti, dal 2017 la Fondazione Palazzo Strozzi ha avviato il progetto Pausa d’arte: un’esperienza di formazione indirizzata agli studenti universitari per favorire lo studio dell’arte e la sua comunicazione. Parallelamente il progetto ha offerto al pubblico di Palazzo Strozzi un’occasione di coinvolgimento attraverso cicli di visite condotte dagli studenti: incontri settimanali di 30 minuti per scoprire nuove connessioni tra le opere esposte.

A causa dell’attuale situazione sanitaria la Pausa d’arte, incentrata sulla mostra Tomás Saraceno. Aria, non ha potuto rispettare le modalità previste: la formazione degli studenti è stata avviata, ma non è stato possibile organizzare le visite come da programma. Il progetto ha assunto una nuova forma online: gli appuntamenti con gli studenti a Palazzo Strozzi sono diventati incontri virtuali settimanali e le esposizioni orali si sono trasformate in un lavoro di scrittura che ha dato vita al progetto Glossario.

Un lavoro di analisi sulle opere e sui testi del catalogo ha permesso di rintracciare alcuni concetti fondamentali e di individuare i vocaboli ricorrenti che necessitavano di un ulteriore approfondimento. Il lavoro di Tomás Saraceno vive infatti nell’interazione tra ricerca artistica e ricerca scientifica ed è facile incontrare nei suoi testi termini specifici come ballooning o connettoma. L’approfondimento e la spiegazione delle parole chiave più frequenti ha restituito con maggiore forza e chiarezza la portata del lavoro artistico di Saraceno.

UN ULTERIORE PASSAGGIO

Il progetto Glossario è stato seguito da un’ulteriore attività che si è integrata al corso di Storia dell’arte contemporanea del professor Giorgio Bacci, Dipartimento SAGAS, Università degli studi di Firenze. Il gruppo di nove studenti, con il supporto del Dipartimento Educazione della Fondazione Palazzo Strozzi, ha sviluppato una presentazione che non fosse un semplice racconto della mostra, ma che permettesse di connettere il lavoro di Tomás Saraceno con altre esperienze artistiche, con il pensiero di filosofi, scienziati e intellettuali. Tra le caratteristiche del lavoro di Saraceno c’è la capacità di mettere in comunicazione le arti visive con altri ambiti disciplinari: architettura, biologia, astronomia e progetti collaborativi. Con la presentazione abbiamo cercato di restituire la ricchezza del suo pensiero attraverso un percorso tra le opere presentate in mostra. Di seguito la registrazione della presentazione che si è tenuta in aula giovedì 4 giugno.

Il percorso che abbiamo fatto ci ha insegnato e rimodulare un progetto consolidato negli anni traendone nuovi stimoli e modalità di lavoro. Prossimamente torneremo a visitare le mostre in gruppo, a sviluppare progetti in presenza, ma tutto ciò che è accaduto in questo periodo non sarà perso, anzi, ci permetterà di osservare sotto una nuova luce l’importanza della condivisione dell’arte e di potenziare ulteriormente il nostro lavoro.

Il progetto Glossario e la presentazione sono il frutto del lavoro di Sara Gavagni, Federica Giglio, Gianpaolo Irtinni, Arianna Laguardia, Marta Lorenzi, Maria Palleschi, Vittoria Rossini, Federica Pascarella, Silvia Villafranca, studenti del corso di Storia dell’arte contemporanea, professor Giorgio Bacci (laurea magistrale in Storia dell’Arte) e del corso di Storia dell’Arte Contemporanea, professoressa Tiziana Serena (laurea triennale in DAMS e Scienze umanistiche per la comunicazione), Dipartimento SAGAS (Storia, Arte, Geografia, Antropologia, Spettacolo), Università degli Studi di Firenze.

We shall overcome

di Arturo Galansino

In programma a Palazzo Strozzi per la primavera 2021, la mostra American Art 1961-2001 racconterà, attraverso più di cento importanti opere provenienti dalle collezioni del Walker Art Center di Minneapolis, quarant’anni di storia americana, dalla guerra in Vietnam fino all’attacco alle Twin Towers.
In questa narrazione verrà dato ampio spazio ai temi della diversità e della lotta per i diritti: valori fondanti e, allo stesso tempo, profondamente contraddittori nella costruzione dell’identità culturale americana. E proprio le opere di alcuni degli artisti presenti in mostra ci appaiono in questi giorni in tutta la loro drammatica attualità.

Kerry James Marshall, “BY ANY MEANS NECESSARY”, 1998.
Minneapolis, Walker Art Center

Ripreso da numerosi video, il tragico evento dell’arresto che lo scorso 25 maggio, a Minneapolis, ha portato alla morte di George Floyd, afroamericano di 46 anni, ha dato il via a una serie di crescenti e sempre più violente proteste in tutte le grandi città americane. Le immagini, ormai virali, diffuse e condivise da tutti i media americani e internazionali, mostrano come siano inascoltate le grida di aiuto di Floyd, schiacciato a terra sul collo dal ginocchio di uno degli agenti fino a non riuscire più a respirare. Si tratta dell’ennesimo abuso di potere da parte della polizia nei confronti di un cittadino di colore, e quello che gli Stati Uniti stanno oggi vivendo riporta alla mente i fatti che si susseguirono a Los Angeles tra il 1991 e il 1992 a partire dalla diffusione del video del pestaggio da parte della polizia di un altro uomo di colore, Rodney King. Il processo agli agenti si era concluso con un verdetto di quasi totale assoluzione e per oltre un mese si sono susseguite numerose azioni di protesta, sanguinosi scontri e violenti saccheggi in tutta la città californiana. Questi fatti e i tanti casi di violenze razziste perpetrate dalle autorità, che nei primi anni Novanta iniziarono a essere documentati e condivisi anche dai principali media, crearono un ampio dibattito pubblico nella società americana, che trovò eco anche nel mondo dell’arte. 

Gary Simmons, Us and Them, 1991
Minneapolis, Walker Art Center

Durante gli anni Novanta impegno civico e sociale entrarono con forza al centro del dibattito artistico grazie a figure provenienti da comunità tradizionalmente emarginate, come quelle LGBTQ, afroamericana e nativa. È in questo contesto che artisti di colore come Glenn Ligon, Gary Simmons o Kara Walker si sono imposti nel panorama artistico americano dimostrando la capacità di poter unire storia dell’arte e attualità in un linguaggio di forte impatto e suggestione. 

Una ampia sezione della mostra American Art 1961-2001 metterà in luce queste figure che hanno dimostrato con le loro opere una forza espressiva senza precedenti, figlia di ingiustizie e tensioni che ancora oggi sono lontane da essere risolte. Uno dei principali interpreti di questo nuovo corso dell’arte americana è Kerry James Marshall, le cui opere saranno tra le protagoniste della mostra di Palazzo Strozzi. 

Kerry James Marshall, “WE SHALL OVERCOME”, 1998
Minneapolis, Walker Art Center

Artista afroamericano nato nel 1955 a Birmingham (Alabama) e cresciuto a Los Angeles, Marshall spazia dall’astrazione al fumetto, tra pittura, installazione, video e fotografia, e si è imposto negli anni Novanta come uno dei più importanti artisti in grado di raccontare la storia (e il presente) dell’identità nera negli Stati Uniti. Tra le sue opere che saranno esposte a Palazzo Strozzi, spiccano le celebri stampe che hanno per soggetto slogan storici del movimento per i diritti civili degli anni Cinquanta e Sessanta, alcuni pacifisti e identitari, altri militanti e di lotta: ‘Black is Beautiful’, ‘Black Power’, ‘We Shall Overcome’, ‘By Any Means Necessary’ e ‘Burn Baby Burn’. L’appropriazione di frasi provenienti da un contesto storico passato come quello della lotta al segregazionismo diviene strumento di attualizzazione di una battaglia mai in realtà vinta e conclusa. E quelle parole, ancora oggi, risuonano come attuali e vibranti nella loro perdurante irrisolutezza.

Kerry James Marshall, “BLACK POWER”, 1998
Minneapolis, Walker Art Center

Gli eventi di questi giorni testimoniano nella loro tragicità le profonde tensioni che animano ancora oggi l’America e, con essa, gran parte del mondo occidentale. Tutto ciò pone le istituzioni culturali di fronte alla possibilità di raccontare l’oggi attraverso l’arte contemporanea, prendere posizione e partecipare al dibattito pubblico. Da sempre Palazzo Strozzi si impegna a parlare ai propri pubblici dei temi più rilevanti e urgenti del nostro presente e mai come in questi ultimi mesi è risultato evidente che il ruolo di un’istituzione che voglia contare nel proprio tempo impone il dovere di assumersi questa responsabilità.

Verso la nostra fase due

di Arturo Galansino, Ludovica Sebregondi, Riccardo Lami e Matthias Favarato

Ottantaquattro: tanti sono i giorni da domenica 8 marzo, inizio del lockdown di Palazzo Strozzi, a lunedì 1° giugno, data della riapertura della mostra Tomás Saraceno. Aria. Inizia anche per Palazzo Strozzi una “fase due” nell’epoca del COVID-19, che parte anche da un bilancio e un ripensamento del nostro progetto online IN CONTATTO verso una sua nuova evoluzione.

IN CONTATTO è nato con immediatezza, spontaneità e un forte senso di urgenza, in un momento di totale incertezza su quello che sarebbe successo nelle settimane successive. Fin da subito abbiamo voluto reagire a questa crisi con un chiaro obiettivo: non perdere il rapporto con i nostri visitatori, con la volontà di sentirli vicini in un momento di profonda insicurezza per tutti noi, disorientati da una situazione nuova e sconosciuta. La mostra di Tomás Saraceno è stata un punto di partenza perfetto, quasi profetica nel suo riflettere sulla fragilità del nostro mondo. E il paragone con la tela di ragno a illustrare l’ambiente in cui siamo inseriti, fortemente collegato alle opere di Saraceno, è il più adeguato per definire la rete di relazioni che in questo periodo ci ha tenuto uniti. Una rete legata al mondo online, attorno a cui sono gravitate necessariamente tutte le nostre attività quotidiane tra cui anche soddisfare il nostro bisogno di cultura e bellezza.

Il videomessaggio di Tomás Saraceno

La nostra scelta per IN CONTATTO è stata quella di unire il sito e i canali social attraverso la creazione di contenuti nuovi e originali con cui rileggere, e non solo rievocare in chiave amarcord, alcuni momenti della storia di Palazzo Strozzi, riscoprendo un loro nuovo valore alla luce dell’attualità del presente. È così che abbiamo trattato temi mai così attuali come l’interconnessione, l’isolamento, il senso di Nazione e comunità, la famiglia, l’inclusività. Per rivolgerci a pubblici differenti, abbiamo dato spazio a punti di vista diversi, come dimostrano gli autori dei contributi – interni ed esterni alla Fondazione Palazzo Strozzi – con cui abbiamo voluto guardare non al passato ma sempre al presente e al futuro. Un impulso fondamentale è stato dato dai videomessaggi degli artisti che hanno voluto testimoniare la propria vicinanza a Palazzo Strozzi, in considerazione del loro forte legame con noi, ma anche all’Italia intera. Marina Abramović, Ai Weiwei, Jeff Koons e Tomás Saraceno hanno fatto sentire il loro sostegno, ottenendo un riscontro straordinario. Tra tutti emerge quello di Marina che ha ottenuto quasi un milione di visualizzazioni.

Il videomessaggio di Marina Abramović

Anche altri numeri possono aiutare a raccontare questo progetto. Sulla piattaforma IN CONTATTO abbiamo pubblicato ventiquattro contributi, letti da quasi 60.000 utenti unici. Sui canali social, tra Facebook e Instagram, abbiamo pubblicato oltre 100 post, raggiungendo oltre un milione e mezzo di persone e facendo crescere la nostra community online del 10% in solo due mesi. L’elevato tempo medio trascorso sulle pagine di IN CONTATTO rappresenta inoltre un dato estremamente interessante, dimostrando che le persone hanno preferito focalizzare la loro attenzione in una fruizione non superficiale, nonostante il momento di frenesia nel consumo dei contenuti online. La “top 5” degli articoli più letti è rappresentata da Siamo tutti sulla stessa barca, Abbracci spezzati, A tavola con Pontormo, Uomini, albicocchi e mucche, Il cielo in una stanza. Non si tratta di una semplice classifica, ma di un vero e proprio specchio della poliedricità del nostro approccio e della varietà di interessi dei nostri lettori. Una menzione speciale la merita il progetto educativo a distanza L’ARTE A CASA dedicato alle famiglie con bambini e ragazzi, che è stato visitato da quasi 6.000 utenti, molti dei quali ci hanno inviato anche i risultati delle varie attività. Inoltre abbiamo apprezzato l’affetto e la stima di chi, da tempo, segue le nostre iniziative: la newsletter è stato infatti lo strumento principale attraverso il quale IN CONTATTO è stato fruito, a dimostrazione della vicinanza del nostro pubblico anche in un momento di distanziamento fisico.

Una selezione degli articoli di IN CONTATTO dal nostro blog.

E adesso, con la riapertura della mostra dal 1° giugno, si apre una nuova fase di IN CONTATTO che diviene una rubrica in uscita ogni due settimane. Palazzo Strozzi, come ogni istituzione culturale che voglia parlare al proprio tempo, si impegna a trattare i temi più rilevanti del presente e ogni nostra mostra e attività diventano così occasioni per indagare il mondo in cui viviamo in chiave sempre contemporanea. Nelle prossime settimane continueremo a portare avanti il progetto IN CONTATTO ispirandoci a quelle che Saraceno definisce “visioni di futuro e di realtà”. Parleremo delle mostre, delle attività e della vita di Palazzo Strozzi con la volontà di mantenere uno spazio di riflessione parallelo, un luogo di contaminazione e condivisione di punti di vista diversi.

Distanziamento fisico, non sociale

di Irene Balzani

Oggi, lunedì 18 maggio 2020, si celebra la Giornata Internazionale dei Musei, quest’anno intitolata “Musei per l’uguaglianza: diversità e inclusione” con l’obiettivo di sottolineare l’importanza cruciale delle istituzioni culturali nel loro servizio alla società e al suo sviluppo. È in questa direzione che da sempre si muove il lavoro di Palazzo Strozzi, anche durante l’emergenza sanitaria di questo periodo che ha stravolto le nostre abitudini e il nostro stile di vita portando anche alla chiusura temporanea dei nostri spazi. E proprio in questi mesi, tra le nostre iniziative, abbiamo lavorato anche per cercare di raggiungere chi è maggiormente colpito dalla situazione attuale e che normalmente partecipa ai nostri progetti di accessibilità, in particolare attraverso una ridefinizione “a distanza” dei nostri progetti dedicati a persone con Alzheimer e con Parkinson. Queste iniziative sono state ripensate per impedire che la necessaria distanza fisica che dobbiamo tenere in questo periodo, non si traduca in isolamento, contro il rischio che il distanziamento di cui parliamo quotidianamente diventi esclusione sociale.

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A più voci, foto Giulia Del Vento

Fin dall’inizio del lockdown, per A più voci, il progetto dedicato e costruito insieme alle persone che vivono con l’Alzheimer e i loro carer, abbiamo coinvolto tutti i partecipanti, sia chi vive in famiglia sia chi abita in Residenze Sanitarie Assistenziali (RSA) o case di riposo. Come per le attività in presenza abbiamo lavorato con gli educatori geriatrici, insieme alle artiste che hanno collaborato negli anni a questo progetto. A tutti abbiamo fatto una proposta: continuare a ispirarsi all’arte e provare a stare in rete attraverso l’uso dell’email e con un gruppo WhatsApp appositamente creato. L’utilizzo di uno schermo, che si tratti di computer o smartphone può costituire una barriera per chi non ha confidenza con i mezzi tecnologici, per questo la scelta è avvenuta dopo riflessioni e confronti, per cercare di non escludere nessuno. I due canali sono stati usati per veicolare alcune proposte legate a progetti artistici. Il primo invito è stato quello di condividere ciò che si osserva dalla propria finestra, diventata, nei giorni di isolamento, il nostro occhio sul mondo. Il secondo è stato raccontarsi attraverso un angolo della propria casa. Il terzo, infine, rivelare i nostri “erbari domestici”. L’ispirazione in questo caso viene dai fiori della Dama dal mazzolino che avevamo avuto modo di ammirare nella mostra dedicata a Verrocchio, il maestro di Leonardo e dal laboratorio che aveva proposto in quell’occasione l’artista Caterina Sbrana.

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Verrocchio, il maestro di Leonardo. Exhibition view.
Foto Alessandro Moggi
Contributi dei partecipanti al progetto A più voci – alla finestra

Abbiamo ricevuto oltre quaranta contributi tra fotografie e testi come: “ho aperto un libro di scuola di mio nonno, classe 1876, ed è apparsa una piccolissima viola, che emozione”, “custodisco con cura il mio orto”, “la bellezza delle piccole cose è ciò che mi fa sentire forte”. Angoli di giardino, vasi sui balconi o fiori secchi tra le pagine dei libri sono state attentamente osservate per diventare esempi di quella che Gilles Clément definisce “arte involontaria”. Quest’arte, scrive l’autore del Manifesto del Terzo Paesaggio, “galleggia sulla superficie delle cose. È un’arte senza statuto, senza discorso, è disarmata, si espone in fretta e subito scompare. È un effimero e sottile stato dell’essere. Talvolta una luce. Prima di tutto, è uno sguardo”. Le immagini e le parole inviate sono poi diventate gli appunti di un erbario comune e condiviso in cui questa dimensione collettiva “ci fa sentire ancora più vicini, ancora meno soli”, scrive una delle partecipanti. Tutti questi contributi, raccolti durante il periodo di lockdown, sono convogliati in un racconto unico, scandito da diversi stimoli proposti di settimana in settimana.

Scarica: A più voci - alla finestra
Contributi dei partecipanti al progetto A più voci – alla finestra

Un’altra proposta “a distanza” è quella di Corpo libero, il progetto dedicato all’inclusione delle persone con il Parkinson che unisce arte, parola e danza. Oltre all’importanza di rimanere in rete in questo caso abbiamo riflettuto sull’esigenza di dare continuità alla pratica della danza che, come numerosi studi confermano, porta benefici soprattutto a chi vive con il morbo di Parkinson. Stimolati da quello che stava facendo il gruppo Dance Well di Bassano del Grappa, abbiamo iniziato a proporre attività da fare a casa, sempre lavorando insieme agli insegnanti di danza che fanno parte del progetto. Anche in questo caso il confronto con i partecipanti è essenziale: riunioni virtuali permettono di incontrarci, valutare nuove idee. Da questo dialogo è nata la volontà di provare a sperimentare partendo dalla mostra di Tomás Saraceno, che gran parte delle persone non ha ancora avuto la possibilità di visitare.

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Riunione dei partecipanti a Corpo libero a distanza

Tutti i giovedì alle 15.00 vengono inviate immagini di un lavoro dell’artista e due file audio collegati tra loro: uno relativo all’opera stessa e l’altro dedicato a una pratica motoria da mettere in atto, una sorta di esercizio fisico di dialogo con l’opera d’arte a distanza. Il progetto non mira a sostituire l’esperienza in mostra con l’arte, che rimane punto di partenza imprescindibile, ma stimola riflessioni e apre a nuove suggestioni. Riprese e amplificate negli esercizi, queste suggestioni sono utilizzate per potenziare il coordinamento e il ritmo. La pratica è pensata per essere svolta individualmente ma tutti nello stesso momento, così che abbia anche una dimensione collettiva.

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Corpo libero, foto Giulia Del Vento

A più voci e Corpo libero nella loro edizione “a distanza” sono due proposte nate come temporanee ma sono percorsi in divenire che potrebbero essere utilizzati anche in futuro per continuare a mantenere un legame con chi, per varie ragioni, non possono partecipare fisicamente alle attività di Palazzo Strozzi. Cruciale nell’identità stessa della nostra istituzione, l’accessibilità è un valore che deve rimane centrale dell’identità dei musei e delle istituzioni culturali. La crisi che stiamo attraversando può forse aiutarci a riflettere per trovare nuove soluzioni, modelli e possibili sviluppi per una sempre più ampia idea di inclusione alla cultura.

Il cortile delle meraviglie: tra spettacoli, scale e scivoli

di Ludovica Sebregondi

Pietra miliare del Rinascimento italiano, Palazzo Strozzi è tra i più eleganti e noti esempi architettonici di quei prestigiosi edifici cominciati a edificare nel Quattrocento, in cui un grande cortile circondato da colonne costituisce lo snodo nel quale convergono ingressi e scale. Certamente il cortile aveva funzioni di rappresentanza, ma rendeva anche la vita piacevole grazie alla frescura del terreno porticato, alle due ariose logge del primo piano e al loggiato dove si poteva usufruire del sole durante le stagioni fredde.

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Alfonso Parigi, Pubblica adunanza degli accademici della Crusca, tenuta nel giugno 1651 nel cortile di Palazzo Strozzi
Bucarest, Biblioteca dell’Accademia di Romania.

Il cortile di Palazzo Strozzi si deve a Simone del Pollaiolo detto il Cronaca, che dal 1490, poco dopo l’avvio della costruzione, e fino al 1504, ne fu supervisore e architetto esecutivo. Un ambiente perfetto, scenografico, che è stato usato anche come luogo teatrale, ad esempio per alcune adunanze dell’Accademia della Crusca nel Seicento, come quella che ebbe luogo alla presenza del granduca Ferdinando II de’ Medici, illustrata da un disegno a penna di Alfonso Parigi e descritta da Francesco Settimanni nel suo Diario:

Adì 10 giugno 1651. L’Accademia della Crusca di Firenze si radunò nel Cortile del Palazzo dei signori Strozzi al canto a’ Tornaquinci, dove il signor cavaliere Rucellai recitò una bellissima Orazione in lode di San Zanobi Vescovo di Firenze, quale fu eletto per Protettore di detta Accademia; e furono recitate molte belle Composizioni, e v’intervennero tutti li Serenissimi Principi con molta nobiltà.

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Il principe Piero Strozzi nel cortile del Palazzo sulla sua automobile Panhard-Levassor, 1900.
Foto dai pannelli del Museino di Palazzo Strozzi.

Ma col passare dei secoli e il sopraggiungere della modernità, a inizio Novecento il cortile fu usato per parcheggiare l’automobile di Piero Strozzi, la prima che si fosse vista a Firenze, una sei cavalli Panhard-Levassor del modello che aveva vinto la Parigi-Dieppe nel 1897. L’edificio è rimasto della famiglia fino al 1937, quando è stato venduto all’Istituto Nazionale delle Assicurazioni che lo affidò al Comune. In quello stesso anno iniziarono i lavori di restauro, conclusi nel 1940 quando in aprile venne inaugurata da Vittorio Emanuele III la nuova funzione dell’edificio con la grande Mostra del Cinquecento Toscano in Palazzo Strozzi. La Pietà di Palestrina, allora attribuita a Michelangelo e da poco acquistata per la Galleria dell’Accademia, venne collocata nel cortile e fu scelta a simbolo dell’avvenimento.

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Paola Pivi, Untitled Project, 2015, installazione per il cortile di Palazzo Strozzi.
Foto Martino Margheri

Lo stesso angolo visuale del disegno seicentesco è stato riproposto per la monumentale installazione Untitled Project di Paola Pivi nel 2015, una coloratissima scala gonfiabile di oltre venti metri di altezza, che ha portato all’estremo il confronto tra antico e contemporaneo. La scala era un oggetto svuotato di qualsiasi funzione pratica, sovradimensionato, instabile, temporaneo: un suggestivo e caleidoscopico elemento di rottura, in contrasto con il controllo prospettico e simmetrico dell’architettura rinascimentale, e in antitesi con i colori misurati della pietra serena e dell’intonaco del cortile. L’artista voleva provocare uno shock emozionale, un innesto surreale per rompere le comuni convenzioni dello spazio, dando luogo a nuovi e inaspettati significati.

Sembrava quasi che volesse anche ricordare quello che fu definito «il mostro», cioè «una scala a due rampe che dal centro del cortile rinascimentale si inerpica fino alla loggia del terzo piano», tagliandolo «brutalmente» a metà e ostruendone la percezione, inserita nell’estate del 1983 in previsione della tredicesima Biennale dell’Antiquariato (17 settembre-9 ottobre), quando venne presentata in catalogo come «una grossa sorpresa oltre che una novità». Contro la sua invadenza si levarono, tra le altre, le voci di personalità della cultura come Eugenio Garin, ma anche di riviste patinate quali “Casa Vogue”. La scala antincendio è stata eliminata, ma ha rappresentato per anni un vulnus in uno spazio perfetto, e l’opera di Paola Pivi potrebbe essere stata anche riferimento alle numerose strutture che hanno segnato, e deturpato, il profilo di molti edifici monumentali.

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Carsten Höller, The Florence Experiment Slides, 2018, Foto Attilio Maranzano

Nel 2018 Carsten Höller nell’installazione The Florence Experiment Slides ha utilizzato un altro materiale della modernità per i due monumentali scivoli di formato elicoidale che permettevano ai visitatori di scendere in una manciata di secondi i 20 metri dal loggiato del secondo piano al cortile. L’opera enfatizzava lo spazio architettonico accentuandone l’ascensionalità e proseguiva il dialogo tra antico e contemporaneo con l’uso di acciaio e policarbonato, per una struttura con un’inclinazione di 28°. Ciascuno scivolo era lungo circa 50 metri e pesava approssimativamente 3600 chili, per un totale complessivo di oltre 12 tonnellate, tenute insieme da 265 bulloni, altrettanti dadi e 522 rondelle. Numeri, per definire in modo freddo e rigoroso le strutture, ma – oltre all’innovativo esperimento scientifico collegato, pensato insieme al neurobiologo vegetale Stefano Mancuso – impressionava il groviglio dei bracci, capaci di evocare l’intrico del Laocoonte, ma anche di ricordare l’uso, mai cessato, di far dialogare facciate e cortili con strutture temporanee e contemporanee.

 

In copertina: Carsten Höller, The Florence Experiment Slides, 2018, Foto Attilio Maranzano

Dall’Antropocene all’Aerocene

Aerocene Flights

di Martino Margheri e Caterina Taurelli Salimbeni

Antropocene è una parola che negli ultimi anni è stata utilizzata come titolo di mostre, film e pubblicazioni, ma la sua prima apparizione risale agli anni Ottanta in ambito scientifico, senza destare grande interesse. Nel 2000 il premio Nobel per la chimica e grande studioso dell’atmosfera Paul Crutzen iniziò a usarla nei sui interventi accademici decretandone progressivamente il successo e la diffusione.
Lo scienziato affermava che i comportamenti umani stavano modificando l’atmosfera e la superficie terreste a tal punto che l’uomo poteva essere considerato un vero e proprio agente geologico. L’analisi del fenomeno richiedeva una definizione per identificare la nuova epoca geologica, il termine Antropocene nasce da qui.
Ormai entrato a pieno titolo nei dizionari, Antropocene significa infatti età recente con impronta umana; in maniera più estensiva indica l’era caratterizzata dall’impatto devastante della specie umana sul pianeta. Le cause sono rintracciate nel costante aumento di emissioni di idrocarburi e anidride carbonica nell’atmosfera e dallo sfruttamento incontrollato delle risorse naturali.
Ci sono varie teorie sull’inizio dell’Antropocene, ma la maggioranza della comunità scientifica concorda sulla data simbolica del 16 luglio 1945, che corrisponde al primo esperimento atomico ad Alamogordo in New Messico. Da quel momento l’aria ha subito un processo di contaminazione crescente di cui oggi osserviamo l’impatto sulla vita degli esseri viventi.

“Dobbiamo cambiare il nostro comportamento e smettere di usare l’acqua e l’atmosfera del pianeta come se fossero il secchio dell’immondizia”.
intervista a Paul Crutzen (TG2, 12/10/2006)

L’Antropocene non è una fatalità, l’abbiamo plasmato con le nostre scelte e azioni. La mostra Tomás Saraceno. Aria a Palazzo Strozzi parte da questa consapevolezza, dal ripensamento del nostro modo di agire, dalla capacità di osservare i fenomeni da un altro punto di vista e dalla possibilità di uscire dall’Antropocene sviluppando nuovi modelli di pensiero.
Buckminster Fuller, architetto e filosofo americano famoso per la sperimentazione con strutture geodetiche, che ha influenzato la riflessione e il lavoro di Saraceno, diceva che non è possibile cambiare le cose combattendo la realtà esistente: per cambiarle è necessario costruire un nuovo modello che renda la realtà obsoleta.

L’arte di Tomás Saraceno ha un carattere visionario e utopico, ma al contempo pratico e pragmatico come il pensiero di Buckminster Fuller. Superare l’Antropocene e ritrovare l’armonia con la Terra non è solo uno slancio filosofico, ma è un vero e proprio progetto che si articola in molte forme. Tra gli sviluppi più complessi c’è Aerocene: una comunità artistica interdisciplinare che lavora a nuove espressioni di sensibilità ecologica, con l’obiettivo di avviare una collaborazione etica con l’atmosfera e l’ambiente, per una nuova era libera da combustibili fossili.

Come Saraceno racconta (l’intervista è disponibile qui sotto):
“nessuno sembra riuscire a immaginare che il calore fornito dal Sole potrebbe permetterci di sollevarci da terra e farci volare nell’aria. Che cosa potremmo diventare grazie a una relazione diretta con il Sole e il vento, e quale società potremmo essere in grado di sviluppare se pensiamo a diversi modelli di mobilità?”

Tomás Saraceno x Aerocene, Aerocene Archive(s), 2020. Video, 1’48” (colore, stereo, HD 1080p, 16:9)
Un film di Aerocene Community, prodotto da Studio Tomás Saraceno in collaborazione con Art/Beats, Courtesy l’artista e Aerocene Foundation

Queste domande hanno trovato una risposta pratica nelle attività di Aerocene che organizza il lancio di sculture aerosolari in grado di librarsi in aria grazie al calore del Sole e alle radiazioni infrarosse della superficie della Terra. Niente motori, niente batterie, niente combustibili, niente sfruttamento delle risorse, solo l’energia del pianeta. Negli ultimi cinque anni l’impegno della comunità si è consolidato, sono stati realizzati lanci in tutto il mondo e sono state progettate sculture aerosolari con caratteristiche diverse: ci sono quelle pilotabili come aquiloni, quelle che possono viaggiare liberamente da una città all’altra seguendo le rotte dei venti e anche una versione in grado di sollevare una persona a un’altezza superiore ai 200 metri trasportarla per quasi due chilometri.
Uomini e donne hanno sempre sognato di volare, la comunità Aerocene sta riuscendo in questa impresa ricorrendo a forme di energia che promuovono la consapevolezza ambientale e preservano l’aria che tutti respiriamo.

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Lancio Aerocene Explorer. 7 agosto, 2017, Salinas Grandes, Jujuy, Argentina
Con il supporto di CCK Buenos Aires, Courtesy Aerocene Foundation e CCK Agency, Fotografia Studio Tomás Saraceno, 2017

Per raggiungere questi obiettivi nel 2015 Tomás Saraceno ha creato la Aerocene Foundation, che lavora a stretto contatto con una comunità internazionale di scienziati e attivisti. Già nel 2012 l’artista si era affidato ai ricercatori del MIT Center for Art, Science & Technology (CAST) per trovare risposta a una delle sue domande (apparentemente) utopiche: “è possibile compiere un volo intorno al pianeta Terra usando come unica risorsa energetica il Sole?”
Da questo incontro è nato l’Aerocene Float – Predictor uno strumento che analizza le correnti del vento e traccia delle vere e proprie rotte di volo. Recentemente è stata messa a punto una nuova risorsa per la comunità Aerocene, la Float Predictor App. L’applicazione, disponibile per iOS e Android, ha più funzionalità: permette di simulare i percorsi di volo virtuali delle sculture aerosolari senza emissioni di CO2, sfruttando dati meteorologici aperti; consente di visualizzare la capillarità della comunità Aerocene in tutto il mondo; permette di vedere le diverse tipologie di sculture aerosolari, dove hanno volato negli anni e i luoghi di maggiore concentrazione.
Il messaggio è chiaro: siamo una comunità numerosa, aperta alla collaborazione e intenzionata a cambiare le forme di mobilità e la relazione con il pianeta. La tecnologia ci offre l’opportunità di confrontarci e rendere più forti i nostri progetti in pieno spirito DIT (Do it Togehter).

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Aerocene App (2020) è stata sviluppata da Aerocene Foundation in collaborazione con Studio Tomás Saraceno.
Courtesy Aerocene Foundation

“Realizziamolo insieme” è stato anche il motore della collaborazione tra Fondazione Palazzo Strozzi e Manifattura Tabacchi. Manifattura infatti ha supportato la mostra dedicata a Tomás Saraceno accogliendo nei propri spazi una selezione di video, pubblicazioni, materiali e workshop per approfondire la filosofia dell’Aerocene.
La sostenibilità, la relazione tra uomo e natura, nonché la costruzione di comunità e di forme alternative di abitazione e di interazione sono temi fondamentali a cui Manifattura Tabacchi non solo è sensibile, ma ai quali affida la costruzione di forme sperimentali e innovative, tanto nella produzione quanto nella fruizione artistica. Il legame con il lavoro di Tomás Saraceno trova conferma non solo nelle tematiche, ma anche nella condivisione del processo, costituito dal superamento delle barriere, dal coinvolgimento del pubblico e dall’integrazione di diverse discipline, interne ed esterne all’arte.

Manifattura Tabacchi è una grande fabbrica realizzata negli anni ‘30 a ovest del  centro di Firenze: dismessa dal 2001 e ora oggetto di un ambizioso progetto di rigenerazione urbana che prevede di dar vita a un nuovo quartiere per la città animato da un centro per l’arte e la cultura contemporanea complementare al centro storico, aperto al territorio e connesso col mondo. Il progetto interdisciplinare dedicato all’arte, attualmente articolato in residenze d’artista, spazi indipendenti, festival e laboratori, è la cornice ideale in cui si colloca la collaborazione tra Manifattura Tabacchi e Fondazione Palazzo Strozzi.

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Veduta aerea di Manifattura Tabacchi. Foto Marco Zanta

Dal cortile della ciminiera, su cui affacciano i due edifici attivati per gli usi temporanei, si accede a uno spazio di studio, raccoglimento e osservazione, allestito e disegnato sotto l’occhio attento di Tomás Saraceno. A catturare subito l’attenzione è l’Aerocene Explorer Backpack: uno starter kit da indossare come uno zaino che contiene tutto il necessario per l’esperienza di volo di una scultura aerosolare.

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Aerocene Backpack, 2016-in corso. Veduta della mostra presso Manifattura Tabacchi. Foto Alessandro Fibbi

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Pubblicazioni Aerocene. Veduta della mostra presso Manifattura Tabacchi. Foto Alessandro Fibbi

Sulla parete è riprodotto il Manifesto di Aerocene che richiama “l’attenzione di chi ha a cuore l’atmosfera”; il testo afferma di vedere “lo spazio come un luogo di proprietà comune, fisico e immaginario, libero dal controllo delle grandi società e dalla sorveglianza dei governi. Aerocene promuove un accesso libero, non soggetto a misure di estrema sicurezza, all’atmosfera. È una proposta, una scena nell’aria, sull’aria, per l’aria e con l’aria”.
Dichiarazione politica ed etica, il Manifesto è il punto di partenza per tutti i progetti della comunità. Tra i materiali esposti a Manifattura Tabacchi è possibile consultare anche un’ampia selezione di pubblicazioni che raccontano la progettualità di Aerocene nelle sue molteplici declinazioni.
Il percorso di scoperta prosegue in una sala di proiezione dove è possibile immergersi nella selezione di video e documentari dedicati all’artista e immaginare di vivere le esperienze di volo scoperte nelle pubblicazioni.
Bambini, adulti, anziani, intere comunità: lo sguardo li segue mentre insieme fanno volare le sculture aerosolari nei luoghi più affascinanti della Terra. Immagini evocative che non possono fare a meno di ricordare la meraviglia del mondo in cui viviamo e la bellezza di prendersi cura non solo della natura, ma anche delle persone.

In data 13 maggio, ore 18.30 sulle pagine Facebook di Fondazione Palazzo Strozzi e Manifattura Tabacchi si terrà una conversazione tra l’artista Tomás Saraceno, Arturo Galansino (Direttore Generale, Fondazione Palazzo Strozzi), Stefano Mancuso (Direttore del Laboratorio internazionale di neurobiologia vegetale LINV) e Lisa Signorile (biologa e giornalista scientifica) incentrata su arte, natura e impegno collettivo per ripensare il nostro modo di vivere e interagire con il pianeta.

L’altra influenza spagnola

di Ludovica Sebregondi

La “grande influenza” che a seguito della Prima guerra mondiale, tra il 1918 e il ’20, con ricadute successive, provocò la morte di milioni di persone in tutto il mondo (la cifra è controversa, non diversamente dai dati della pandemia attuale), fu detta “spagnola” perché le prime notizie apparvero sulla stampa di Spagna, nazione rimasta neutrale durante il conflitto, e dunque sottoposta a una censura meno stringente.

Ma altre sono, per fortuna, le influenze reciproche provenienti e dirette alla penisola iberica: influssi che in ambito artistico sono stati fondamentali per la creazione dell’arte moderna. Sosteneva infatti la scrittrice americana Gertrude Stein, acuta amica di Picasso, che l’arte nel Novecento è stata fatta in Francia, ma da spagnoli. La mostra Picasso e la modernità spagnola (2014-2015), a cura di Eugenio Carmona, presentava questi straordinari intrecci e – attraverso ottantotto opere, (quarantacinque delle quali di Picasso) di trentasette artisti diversi – indagava non solo l’influenza di Picasso sull’arte moderna di Spagna, ma presentava soprattutto le novità più originali e significative che Picasso e i suoi conterranei hanno apportato al panorama artistico internazionale.

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Pablo Picasso, Ritratto di Dora Maar, 1939, Madrid, Collezione del Museo Reina Sofía

Picasso in Francia nel corso del Novecento ha definito i linguaggi attraverso i quali l’arte moderna si sarebbe sviluppata: inventa il Cubismo, in seguito dà un nuovo significato al collage e, alla fine della Prima guerra mondiale, ribalta quanto aveva fatto prima e si riconcilia con il classicismo, aderendo in qualche modo al cosiddetto “ritorno all’ordine”. Ma, in seguito, abbandona la dialettica tra Cubismo e classicismo e, intorno alla metà degli anni Venti, inizia una nuova fase, passando al contesto surrealista, al pari di Miró, ed è negli anni Trenta che Picasso viene consacrato come grande mito della modernità. Con il trasferimento del centro dell’arte moderna a New York e lo sviluppo dell’arte astratta, Picasso, anche se Guernica e Les Demoiselles d’Avignon esposte all’epoca a New York influenzano gli Espressionisti astratti, cessa di rappresentare “il paradigma”.

Dagli anni Cinquanta Picasso si converte in un mito vivente, assoluto, la sua opera cessa di attirare l’attenzione delle nuove leve e inizia a essere vista come il riflesso di tutto il suo grandioso percorso precedente.

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Sala della mostra Picasso e la modernità spagnola dedicata a Guernica. Opere dalla Collezione del Museo Reina Sofía di Madrid

Miró nasce a Barcellona nel 1893 e, come Picasso, è presto attirato dal fermento e dalle avanguardie artistiche di Parigi, città in cui si trasferisce nel 1920, rimanendo però sempre profondamente spagnolo. Nonostante l’incontro con Picasso, con i dadaisti nel 1920 e tre anni dopo con gli esponenti del Surrealismo, ha sempre creato un suo mondo “magico e dinamico”, divenendo l’artista più influente tra gli innovatori spagnoli, creatore di riferimento per le nuove generazioni. Dalí raccoglie stilisticamente l’eredità di Picasso ma la sviluppa in una chiave nuova, con una lettura psicologica che presto lo condurrà verso la poetica surrealista.

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Sala con, sulla parete destra, dal fondo, Siurana, il sentiero di Joan Miró (1917), Maschera di contadina di Julio González (1927-1929 circa), Arlecchino di Salvador Dalí (1927) e Natura morta (1926) di Manuel Ángeles Ortiz, un altro spagnolo trasferitosi a Parigi. Opere dalla Collezione del Museo Reina Sofía di Madrid. Foto Filippo Montaina

Se Picasso, Miró e Dalí sono la triade iberica sempre evocata, non sono da dimenticare Juan Gris (Madrid 1887-Boulogne-Billancourt 1927), che con Picasso fa parte del sistema creato dalle cosiddette avanguardie storiche, ma in seguito alla guerra si allontana dal malagueño che si indirizza verso un’arte figurativa di gusto classicista, mentre Gris resta fedele al Cubismo. Anche Julio González (Barcellona 1876-Arcueil 1942) nel 1900 è a Parigi con Picasso, Braque, Torres García, Gargallo, Brancusi, Max Jacob, ed è considerato l’inventore della moderna scultura in ferro che ha influenzato tutto il XX secolo.

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Dalí e Picasso in due fotogrammi del film Midnight in Paris di Woody Allen (2011)

Midnight in Paris di Woody Allen (2011) con le sue atmosfere oniriche e i fantasmi di un glorioso passato che si ridestano a mezzanotte, riporta negli Anni Venti, quando Parigi era ancora al centro della modernità, e gli innovatori vi confluivano da tutto il mondo. Nel film dagli Stati Uniti viene la letteratura (Hemingway e i due Fitzgerald) e la musica (Cole Porter), ma gli unici artisti figurativi rievocati a tutto tondo sono spagnoli: Dalí, oltre a Picasso, mentre Matisse appare di sfuggita. E per il cinema, ecco Luis Buñuel. Allen mette in scena un periodo magico, un “glorioso passato ormai perduto”, motivo ricorrente nel sentire umano, come attesta la locuzione di Orazio “laudator temporis acti”, per indicare la mai tramontata tendenza a lodare il tempo passato in contrasto con l’attualità. Certo, l’aggettivo “favolosi”, che accompagna spesso il decennio degli Anni Venti, impressiona per la straordinaria creatività di un periodo, tale anche per il fondamentale apporto spagnolo, non solo per i riferimenti alla letale pandemia.

Lasciamo che la ragnatela ci guidi

Per comprendere il mondo di Tomás Saraceno è necessario entrare in quello dei ragni e delle loro ragnatele. Grazie all’App Arachnomancy e alle letture individuali delle Arachnomancy Cards (Carte da Aracnomanzia) possiamo metterci in contatto con gli esseri non umani tanto cari all’artista, interagendo così, in modo virtuale, con la mostra Tomás Saraceno. Aria.

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Tomás Saraceno, Webs of At-tent(s)ion (detail), 2020. Installation view of Aria
Palazzo Strozzi, Florence, 2020
© Photography by Ela Bialkowska, OKNOstudio

Il fascino esercitato dagli aracnidi su Saraceno risale all’infanzia, quando nella sua casa in Italia percepiva la loro presenza, come esseri di eguale importanza. Questa presa di coscienza, di condivisione di un ambiente, porta l’artista a domandarsi «i ragni vivono a casa mia o io vivo a casa dei ragni?» E proprio come i ragni, che emettono vibrazioni attraverso la tela per connettersi con la realtà che li circonda, le opere di Saraceno agiscono come strumenti per percepire fenomeni che vanno al di là dei nostri sensi. È così che Saraceno ha trasformato Palazzo Strozzi in uno spazio di immaginazione e partecipazione per superare un’ideologia antropocentrica ed esaltare i valori di diversità, cooperazione e interconnessione. Siamo perciò tutti invitati a sintonizzarci con voci non umane che si uniscono alle nostre attraverso infinite reti di connessione e disconnessione, in una mostra che sfida il canone gerarchico dell’albero della vita, proponendo invece una rete della vita evidenziando gli intrecci tra specie e mondi.

L’esposizione di Palazzo Strozzi si snoda intorno alla serie delle Arachnomancy Cards, trentatré carte pensate dall’artista che diventano metafore dei legami tra tutto ciò che esiste in natura, vivente e non vivente. A Palazzo Strozzi ciascun ambiente della mostra è associato a una carta che diviene una sorta di araldo che collega tra loro i contenuti di ogni spazio, creando inaspettate connessioni tra elementi apparentemente lontani. Una ulteriore saletta è dedicata alla serie completa delle trentatré carte.

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Tomás Saraceno, Arachnomancy Cards, 2020. Installation view of Aria
Palazzo Strozzi, Florence, 2020
© Photography by Studio Tomás Saraceno

Nel contesto dell’attuale crisi ecologica, la cosiddetta Sesta Estinzione di Massa, invertebrati come gli aracnidi e gli insetti stanno scomparendo a ritmo accelerato con gravi conseguenze per l’ambiente e gli ecosistemi. Mentre gli invertebrati costituiscono oltre il 95 percento delle specie animali, in gran parte dei paesi sono assenti linee guida e regolamenti nazionali sui loro diritti non umani. È imperativo quindi sintonizzarci con le voci non umane che si uniscono alla nostra in reti infinite di connettività e disconnettività e riconoscere le loro voci che vibrano.

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Ragnatele a Palazzo Strozzi
© Photography by Ela Bialkowska, OKNOstudio

Due sono le modalità per poterci connettere con i ragni e consultare l’oracolo della loro ragnatela. Il primo strumento è l’App Arachnomancy (disponibile per iOS e Android), applicazione sviluppata dallo Studio Tomás Saraceno che permette di interrogare l’oracolo in qualsiasi luogo e momento, unendosi a un’iniziativa di mappatura contro l’estinzione e creando una rete di connessione tra reali ragnatele di tutto il mondo. Scaricata la App si deve fotografare una ragnatela (nelle case ce ne sono, anche se talvolta nascoste), partecipando all’esercizio collettivo di Mapping Against Extinction (“Mappatura contro l’estinzione”).

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Studio Tomás Saraceno, Arachnomancy App
© Studio Tomás Saraceno, 2019

Completando questa piccola missione è possibile sbloccare le singole carte, necessarie per consultare l’oracolo della tela del ragno, dedicandosi a forme di conoscenza che riecheggiano i metodi di divinazione praticati in diverse parti del mondo. Così presso il popolo Mambila del Camerun sono in uso carte divinatorie di foglie rigide o corteccia di rafia con ideogrammi ritagliati per la pratica del nggám, o divinazione del ragno: a un ragno che vive nel terreno sono poste delle domande, le cui risposte vengono comunicate attraverso lo spostamento di queste carte. Le capacità divinatorie del ragno derivano dal suo universo sensoriale: i sensi vibrazionali altamente sviluppati gli consentono infatti di entrare in sintonia con una sinfonia di tremori biotici e abiotici, un tipo di conoscenza che noi non siamo in grado di percepire. Ugualmente avviene con la vibrazione del cellulare. Sul sito Arachnophilia.net è possibile approfondire questi e altri temi indagati da Saraceno e dal suo studio.

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Carte divinatorie per la pratica del nggám, o divinazione del ragno

Un ulteriore modo per consultare l’oracolo è attraverso la lettura individuale delle Carte da Aracnomanzia. Ognuna delle trentatré carte porta con sé un bagaglio di significati, la cui interpretazione può aprire la visione sulla propria esperienza di vita. Il dottor Gianmarco Meucci, psicoterapeuta a orientamento gestaltico, terrà alcune letture della durata di quindici minuti, attraverso la piattaforma Zoom, giovedì 30 aprile dalle 18.00 alle 20.00 e sabato 2 maggio dalle 15.00 alle 17.00. La sessione è gratuita ed è prenotabile attraverso la piattaforma Eventbrite. I posti disponibili sono limitati. Si tratta di un’occasione unica per entrare in sintonia con la nostra realtà e con l’universo di cui facciamo parte.

Sessioni sold out

In copertina: Tomás Saraceno, Arachnomancy Cards, 2019 (dettaglio). 58a Esposizione Internazionale d’Arte – La Biennale di Venezia, Venezia, Italia. Courtesy the artist. © Studio Tomás Saraceno, 2019

Liberazioni

di Arturo Galansino

Sono passati settantacinque anni dal 25 aprile del 1945, quando il Comitato di Liberazione Nazionale del Nord Italia, da Milano chiamò all’insurrezione armata contro la Repubblica di Salò e i nazisti. La data viene commemorata in Italia come un momento fondante, un nuovo inizio della nostra storia, dopo gli orrori della guerra e del fascismo.

Nascita di una Nazione – la mostra curata da Luca Massimo Barbero a Palazzo Strozzi nel 2018 – raccontava questa rinascita attraverso gli occhi e le pratiche di artisti che, tra sperimentazione, militanza e impegno politico, reinventarono i concetti di identità, appartenenza e collettività in contrapposizione al cupo periodo precedente quel 25 aprile.

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Renato Guttuso, La battaglia di Ponte dell’Ammiraglio, 1951-1955. Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea.
Su concessione del Ministero dei Beni e le Attività Culturali e Ambientali e del Turismo. Renato Guttuso, by SIAE 2018

In mostra si accostavano gli anni del dopoguerra al Risorgimento: un momento di rinascita in cui si gettarono le basi del boom economico che avrebbe caratterizzato il decennio successivo. Ed è in questo contesto che si inquadrava il lavoro di Guttuso, figura chiave dell’ortodossia neorealista. Il dipinto rievoca in chiave contemporanea il Risorgimento, ma con toni e retorica da quadro di storia ottocentesco, raffigurando un’importante tappa verso l’unificazione del Paese: il vittorioso scontro che nel maggio del 1860 diede il via alla liberazione della Sicilia borbonica da parte delle truppe garibaldine. Lo scrittore e pittore antifascista Carlo Levi, introducendo la sala personale di Guttuso alla Biennale di Venezia del 1952 dove la prima versione dell’opera venne esposta, descriveva il dipinto come «esempio originale di realismo popolare: un realismo mitologizzante, celebrativo, attivo, diretto all’azione, tutto intriso di movimento e di speranza».

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Giulio Turcato, Comizio, 1950, Roma, Galleria d’Arte Moderna
© Roma Capitale – Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali. Foto Schiavinotto Roma. Giulio Turcato, by SIAE 2018

Ma l’immediato dopoguerra è anche un periodo in cui la popolazione italiana è per molti aspetti profondamente divisa, come dimostra il referendum istituzionale del 2 giugno 1946, che sancisce la fine della monarchia e la proclamazione della Repubblica Italiana. Una divisione non solo in campo politico ma anche in ambito artistico, con una frattura che a lungo separa in due fronti contrapposti – astrattisti e realisti – le forze più vive dell’arte nuova in Italia, anche all’interno della stessa sinistra italiana. In occasione della Prima mostra nazionale d’arte contemporanea a Palazzo di Re Enzo a Bologna nel 1948, esce su “Rinascita”, con il titolo Segnalazioni contro la pittura astratta una violenta condanna del leader del PCI Palmiro Togliatti che, sotto lo pseudonimo di Roderigo di Castiglia, si scaglia contro le sperimentazioni astratte, definite una «raccolta di cose mostruose», «di orrori e di scemenze». Frasi e accuse dedicate a dipinti come il Comizio di Turcato, esposto alla Biennale del 1950, che usa l’astrazione geometrica per rappresentare quel momento di lotta politica.

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Luciano Fabro, L’Italia, 1968, Lugano, MASI. Deposito da collezione privata.
Courtesy MASI, Lugano

L’identità nazionale nel Sessantotto –altro momento tanto determinante quanto divisivo nella storia del nostro Paese – è tema ricorrente dell’indagine di Luciano Fabro che nella sua iconica opera L’Italia utilizza una sagoma in ferro della penisola, con incollata una carta geografica e le isole sul retro, su cui è segnata la nuova Autostrada del Sole, che era stata inaugurata nel 1964.

“Presi forme familiari che servivano significati altrettanto familiari, le feci inciampare: l’Italia, ma appesa in modo abnorme” (Luciano Fabro, 1978)

L’insieme viene capovolto e appeso al soffitto, in un voluto richiamo a uno delle immagini più truci ed più emblematiche della fine del Fascismo: i cadaveri di Benito Mussolini e dei suoi fedelissimi appesi a testa in giù, in Piazzale Loreto a Milano nel 1945, per esporli al pubblico disprezzo secondo l’uso medievale di impiccare per i piedi i traditori della Patria.

A più di cinquant’anni dalla sua creazione, questa Italia capovolta, oltre a portare a una riflessione sulla sua storia recente e sul suo presente, oggi assume anche altri significati in un momento in cui la realtà stessa ci appare capovolta. Se la Liberazione ha un significato identitario, questa festa nazionale oggi ci deve invitare ad affrontare le nuove sfide che ci aspettano all’uscita di questa crisi e ad impegnarci a contribuire alla rinascita del nostro paese.