Voci che uniscono

di Irene Balzani e Nicoletta Salvi

La fruizione di un’opera d’arte sollecita facoltà sensoriali e aree motorie diverse: quando osserviamo un quadro, una scultura, un’installazione o un video non solo i nostri occhi ma tutto il nostro corpo è coinvolto e attivato. È su questo principio che si basa Corpo libero, progetto della Fondazione Palazzo Strozzi dedicato all’inclusione delle persone con Parkinson nato grazie al confronto con le esperienze di Dance Well della Città di Bassano del Grappa e del Centro Parkinson di Villa Margherita (Kos Care) di Vicenza, con il supporto del Fresco Parkinson Institute.

In occasione di ogni mostra è organizzato un calendario di appuntamenti condotti da educatori museali e insegnanti di danza che propongono la sperimentazione di varie forme di relazione con l’arte. La parola e il linguaggio corporeo diventano modalità per esplorare le opere esposte nelle sale di Palazzo Strozzi, che costituiscono il punto di partenza dell’esperienza.

Attraverso la danza si entra in relazione con le opere esposte e si crea un dialogo con gli altri partecipanti fatto di gesti e azioni. Ogni movimento è un modo per comunicare e un potente mezzo per costruire un gruppo che ogni volta si è fatto più unito fino a diventare una vera “collettività danzante”. Studi medici come quelli del dottor Daniele Volpe hanno dimostrato come la danza aiuti le persone con il morbo di Parkinson producendo un impatto positivo sul sistema neurologico e sulle prestazioni fisiche toccate dalla malattia. Il progetto Corpo libero parte da ciò sfruttando l’arte come strumento di espressione per lasciarsi andare, ognuno con le proprie fragilità. Sebbene con una prerogativa strettamente creativa e non terapeutica, Corpo libero, nelle parole di uno degli stessi partecipanti, diviene “un’eccezionale risposta di libertà a un corpo che tenderebbe sempre più a imprigionarmi”.

Corpo Libero, performance per la mostra Natalia Goncharova. Foto Giulia Del Vento

Abbiamo incontrato le sculture del Verrocchio, osservato i quadri di Natalia Goncharova, vissuto le performance di Marina Abramović. Questi incontri sono stati occasioni per ridurre l’isolamento che può essere conseguenza della malattia, nel confronto con gli altri partecipanti e con altri visitatori. Osservare e produrre gesti e azioni ha suggerito nuovi possibili modi di avvicinarsi all’arte. E anche per questo a conclusione di ogni esposizione è stata organizzata una performance pubblica nelle sale: azioni a coppie o collettive vivevano in stretto dialogo con le opere esposte, mentre la forza del gruppo aumentava nel sostenersi a vicenda fino quasi a respirare insieme come un unico organismo.

Con le restrizioni imposte dall’attuale emergenza sanitaria, Corpo libero ha dovuto trovare una nuova forma che permettesse di rimanere connessi gli uni agli altri e garantisse una continuità nella pratica della danza. Attraverso un gruppo WhatsApp appositamente creato, Corpi liberi – a casa, sono stati condivisi contenuti legati alla mostra di Tomás Saraceno, che ancora nessuno aveva avuto modo di vedere, e pratiche di danza. È stato scelto come formato l’audio, che, rispetto al video, apre a una maggiore libertà interpretativa da parte di chi ascolta.

Il distanziamento ha richiesto di trovare una modalità alternativa a un’esperienza che fino a quel momento era incentrata sul contatto, sulla presenza fisica e sulla dimensione corale, una nuova strada che possa mantenere salde le due anime del progetto: l’arte e la danza, da esperire ognuno nella propria casa. In questa nuova dimensione domestica, come ha detto Laura Scudella, una delle insegnanti di danza del gruppo Corpo libero, è stato fondamentale “percepire l’assenza dell’opera come un arricchimento della nostra sfera immaginativa e come un riconoscimento della possibilità di fraintendimento”.

Settimana dopo settimana la modalità audio è diventata più familiare e gli esercizi proposti hanno rotto simbolicamente l’isolamento cui tutti eravamo costretti. Partecipare insieme, anche se a distanza, ha aumentato il senso di appartenenza e ha unito il gruppo in modo nuovo.

Un incontro di Corpo Libero per la mostra Verrocchio, il maestro di Leonardo. Foto Giulia Del Vento

Il 17 settembre è stato possibile incontrarci di nuovo in presenza nel cortile di Palazzo Strozzi sotto l’installazione Thermodynamic Constellation di Tomás Saraceno. Ritrovarsi ha significato sperimentare un nuovo modo di stare insieme, pur mantenendoci a distanza: nascondere i sorrisi dietro alle mascherine, cercare negli sguardi le emozioni e quindi prestare ancora più attenzione ai gesti propri e altrui.

Il contatto fisico crea vicinanza e relazione ed è simbolo di rispetto e ascolto reciproco. Permettere ad altri di entrare nel proprio spazio significa affidarsi, secondo un processo graduale. Il Covid-19 ha bruscamente interrotto questo percorso e ha cambiato le nostre percezioni: toccarsi e stare vicini sono diventati qualcosa di potenzialmente pericoloso. Per questo motivo anche in presenza è stato necessario trasformare le modalità di interazione, evitando contatti ravvicinati ma continuando lo stesso a “toccare” gli altri in modo nuovo. Le installazioni di Saraceno ci hanno aiutato in questa delicata fase di transizione in quanto parlano, coinvolgono emotivamente, attivano reazioni profonde anche attraverso la distanza che intercorre con l’osservatore e secondo un’idea di interazione che non si basa sul contatto fisico: gli intrecci di sguardi negli specchi di Connectome; le Tillandsie di Flying Gardens che vivono appoggiate su altre piante senza danneggiarle, i grovigli di segni di luce e ombra delle tele dei ragni.

Oggi, 25 novembre 2020, celebriamo la giornata nazionale del Parkinson con la restituzione pubblica della nuova dimensione del progetto nata in occasione della mostra Tomás Saraceno. Aria. Riprendendo il formato che aveva caratterizzato i mesi del lockdown, è stato chiesto a ciascun partecipante di condividere la suggestione più evocativa, il ricordo più vivido, la sensazione più forte lasciata dall’arte di Tomás Saraceno attraverso una traccia audio. Come nelle ragnatele collettive della sala Webs of At-tent(s)ion, tutte le voci sono state unite in un’unica composizione, Ensemble. Questa condivisione vuole superare i confini della mostra e di Palazzo Strozzi, poiché è pensata per essere ascoltata, interpretata o trasformata in gesto e movimento da chiunque la senta. Ensemble non vuole solo raccontare un’esperienza vissuta ma desidera farne vivere una nuova, trasportando altre persone nei mondi esplorati dai partecipanti di Corpo libero.

Corpo Libero: together again, 17 settembre 2020, in occasione della mostra Tomás Saraceno. Aria. Foto Giulia Del Vento

Ensemble fa parte del palinsesto della giornata nazionale del Parkinson organizzata da Dance Well in diretta sulla pagina Facebook di Dance Well. Il programma in dettaglio è consultabile alla pagina dell’evento.

Le voci di Ensamble sono di: Fiora, Giorgio, Raniero, Marco, Lavinia, Cristina, Ginevra, Valentino, Nicoletta, Chiara, Irene, Ada, Azzurra, Laura, Fabio, Ilaria, Maho, Amina, Nicoletta, Enzo, Alessandro, Alessandro, Margherita, Laura.
Montaggio audio a cura di Carola Haupt
Musiche: Kai Engel, Ketsa, Blue Dot Sessions (released under CC BY-NC 4.0)

In copertina: Corpo Libero: together again, 17 settembre 2020, in occasione della mostra Tomás Saraceno. Aria. Foto Giulia Del Vento

Un pianeta in stato di allarme

In esclusiva per Palazzo Strozzi, il direttore artistico del Festival dei Popoli Alessandro Stellino condivide un approfondimento sulla sezione HABITAT dell’edizione 2020: una anticipazione al programma di quest’anno e uno stimolo di ulteriore riflessione su temi centrali della nostra contemporaneità.

Il cinema documentario si interroga da sempre sul rapporto tra l’essere umano e l’ambiente che lo circonda. Fin dalle origini, l’atto di filmare corrisponde con l’idea di plasmare un universo spaziale, definendo la dimensione del visibile e il campo dell’invisibile. In questo senso, il cineasta è quasi un geografo: l’inquadratura segna i limiti di uno spazio fisico all’interno del quale si muovono i corpi, si definiscono dimensioni e si misurano le distanze, ma soprattutto si registrano tutti quei movimenti non tangibili, la cui traccia sul paesaggio solo si può scorgere nel loro divenire: trasformazioni sociali, interazioni culturali, trasmissioni di conoscenze.

Juliette Guignard, Middle earth, 2020

Queste tensioni che pulsano ai bordi dell’immagine sono oggi materia di assoluta urgenza che condiziona le nostre esistenze. La sezione HABITAT del Festival dei Popoli si fa carico di restituire una prospettiva plurale su un pianeta in stato di allarme, offrendo un panorama più ampio possibile sui temi del vivere contemporaneo in relazione all’ecosistema, all’evoluzione tecnologica e alle trasformazioni in atto in ambito geo-politico. In un 2020 caratterizzato dalla pandemia e dalle sue ripercussioni su scala mondiale, appare sempre più necessario portare all’attenzione del pubblico una questione fondamentale come il rapporto dell’essere umano con l’ambiente naturale. Una problematica che tocca le nostre corde più profonde, giacché da essa dipendono la sopravvivenza del pianeta e delle specie che lo popolano. Lo illustra in maniera chiara e terribile un film come Icemeltland Park di Liliana Colombo, un viaggio lungo la Terra del Fuoco in cui un gruppo di turisti assiste dal vivo allo scioglimento dei ghiacciai, esultando ogni volta che un pezzo si stacca dalla parete. I cambiamenti irreversibili sul paesaggio provocati dall’innalzamento delle temperature globali si fanno una forma di spettacolo per un’umanità incurante di fronte allo spettro della propria estinzione.

I film che compongono la selezione tracciano un percorso in grado di restituire una prospettiva globale, offrendo voci e sguardi diversi sullo sfondo delle emergenze legate al cambiamento climatico. Da questi affiora un’urgenza comune: la necessità di prendere una posizione per far fronte alla disgregazione delle comunità. Un gesto che si può tradurre in un’azione individuale o può manifestarsi sotto forma di risposta collettiva, in un cammino che tuttavia non è esente da insidie e complicazioni, offrendo allo spettatore un interrogativo cruciale: che cosa si è disposti a sacrificare pur di rimanere coerenti con i propri ideali? Questo il quesito al centro di Journey to Utopia di Erlend E. Mo, protagonisti il regista stesso insieme alla moglie Ingeborg: afflitti dalle preoccupazioni relative ai cambiamenti climatici e al mondo che potrebbero lasciare in mano alle generazioni future, si trasferiscono dalla Norvegia alla Danimarca per abitare in un eco-villaggio autosufficiente che però non si dimostrerà luogo ideale per risolvere le problematiche della coppia.

Maciej Cuske, The Whale from Lorino, 2019

La lotta per la sopravvivenza, declinata in forme eterogenee, si spinge dalle città alle campagne, arrivando fino alle realtà più remote, dove la dimensione ancestrale convive con le complessità e le contraddizioni del contemporaneo. In The Whale From Lorino, ambientato in un remoto villaggio di pescatori nell’estremo nord-est della Siberia, si pratica ancora la caccia alle balene, che non è solo retaggio di una tradizione tribale ma un’indispensabile garanzia di sopravvivenza per la piccola comunità. La Terre du milieu ci porta nella Creuse francese, dove Camille ha deciso di lavorare la terra e crescere i tre figli, alla ricerca di una forma di vita differente basata su metodi di coltivazione lontani dagli standard agricoli che costringono i piccoli produttori locali a vivere di sussidi statali. Express Scopelitis racconta l’eroica storia di una imbarcazione e del suo capitano che, ormai da un trentennio, fa la spola all’interno dell’arcipelago delle Cicladi garantendo ad abitanti e turisti una mobilità e uno scambio che altrimenti sarebbe impossibile. The Perimeter of Kamsé è ambientato in un piccolo villaggio in Burkina Faso dove un gruppo di abitanti deciso a combattere la siccità e la mancanza di acqua porta avanti un progetto innovativo ed ecologico di irrigazione, per far rinascere il villaggio e spingere a tornare coloro che sono emigrati.

Olivier Zuchuat, The Perimeter of Kamsé, 2020

Evento speciale di HABITAT sarà l’omaggio a una comunità che ha fatto del cinema documentario il proprio ambiente naturale: The Grocer’s Son, the Mayor, the Village and the World… di Claire Simon, girato nel piccolo villaggio rurale di Lussas, sede degli storici États généraux du film documentaire, evento cinematografico che da oltre trent’anni anima il territorio dell’Ardèche trasformandolo in una vera e propria finestra sul mondo. Un inno sincero alla cultura come forma di resistenza, risorsa fondamentale per la sopravvivenza di ogni eco-sistema.

In copertina: Erlend Eirik Mo, Journey to Utopia, 2020

Festival dei Popoli – Festival Internazionale di Cinema Documentario
61esima edizione
15 – 22 novembre 2020
I film saranno visibili in streaming dall’Italia fino al 29 novembre
https://www.mymovies.it/ondemand/schermodellarte
Abbonamento standard € 9,90

Doc at Work – Future Campus 
Spazio dedicato ai migliori film realizzati dai nuovi talenti del cinema documentario provenienti da prestigiose scuole europee.
26 – 29 novembre 2020
I film saranno visibili in streaming dall’Italia fino al 1° dicembre
https://www.mymovies.it/live/piucompagnia/
Streaming gratuito

Il Festival dei Popoli, fondato nel 1959 da un gruppo di studiosi di scienze umane, antropologi, sociologi, etnologi e mass-mediologi, è il più importate festival di cinema documentario in Italia e il più antico in Europa.
Nel corso degli anni, il Festival dei Popoli ha ospitato grandi maestri del cinema come Jean Renoir, Jean-Luc Godard, John Cassavetes, Ken Loach, Nagisa Oshima, Lindsay Anderson, Aleksandr Sokurov, Jørgen Leth, Peter Mettler, Raymond Depardon, Sergei Loznitsa, Danielle Arbid, Roberto Minervini, Gianfranco Rosi.
http://www.festivaldeipopoli.org/

Sullo Schermo dell’arte e altre considerazioni in tempi incerti

Direttrice dello Schermo dell’arte – Festival di cinema e arte contemporanea, Silvia Lucchesi porta una riflessione sul festival di quest’anno, arrivato alla sua XIII edizione, che ha dovuto necessariamente reagire alla situazione attuale spostandosi in una nuova dimensione online.

Esterno giorno. Campagna. Bianco/nero. Primo piano di un uomo anziano. Un viandante, impermeabile stropicciato, sciarpa, borsa a tracolla, si muove vacillando in una strada secondaria alberata. Appoggiate al suolo delle tubazioni industriali, un impianto idrico a cielo aperto, deturpano il paesaggio. Appare la scritta 2020. L’inquadratura si sposta sui piedi dell’uomo. Sta camminando sopra a quei brutti lunghi cilindri metallici in equilibrio precario. Che ci fa quell’uomo in questa improbabile situazione, al limite dell’assurdo? Appare un titolo: A Metaphor. L’uomo sembra quasi divertirsi come quando da ragazzini si saltava, accorti, di pietra in pietra evitando di sfiorare le intersezioni tra queste. Chi non l’ha mai fatto? Alla fine l’uomo desiste e sorridendo verso la telecamera torna a camminare con i piedi per terra. È l’ironica sigla che l’artista britannica Kasia Fudakowski ha realizzato per l’edizione 2020 dello Schermo dell’arte.

Ringrazio gli amici di Palazzo Strozzi che mi hanno chiesto di scrivere un testo sullo Schermo dell’arte per la piattaforma In Contatto. Come l’uomo del video di Kasia, anche tutti noi viviamo oggi un presente incerto e irregolare. E chi come me lavora nel campo dell’arte non può sottrarsi dal riflettere sull’esperienza di questo annus horribilis. Così, desidero approfittare di questo spazio non solo per dare informazioni sul programma della XIII edizione del festival. Voglio qui condividere un’esperienza di lavoro straordinariamente nuova in cui la velocità di reazione alla situazione fluida e inaspettata che stiamo sperimentando in questi mesi convive con la riflessione sui contenuti e sulle pratiche dell’arte che rimangono l’elemento centrale della proposta culturale.

Lo schermo dell’arte lavora tutto l’anno su differenti progetti. Cinema e arte contemporanea. Ma è il festival di novembre il momento in cui la nostra attività ha la maggiore visibilità e intensità. È un momento atteso dal pubblico. Si vivono le opere degli artisti che dalla realtà che ci circonda traggono le ragioni stesse del loro fare, elaborando in una forma estetica le suggestioni del tempo in cui siamo immersi. È l’occasione in cui una comunità di artisti e professionisti che lavorano con le moving images si incontra e scambia pensieri e riflessioni su nuovi progetti. Un festival ha una prospettiva dinamica e diacronica, accoglie il tempo, il suo trasformarsi, il suo succedere. È un’esperienza complessa in cui si intrecciano aggregazione sociale e arricchimento personale.


Rudolf Herz, Szeemann and Lenin Crossing the Alps, 2019. Courtesy l’artista

Il DPCM del 4 novembre ha decretato ulteriori restrizioni. Proprio adesso, mentre sto scrivendo, arrivano a raffica sulla mia casella di posta elettronica le notizie di annullamento, sospensione, rinvio, chiusura di tante attività previste che avrebbero dovuto svolgersi in questo periodo in musei e centri d’arte. Teatri, sale da concerto, cinema avevano già chiuso i battenti. Che dispiacere. Quanta amarezza.

All’espressione resistere preferisco reagire perché più che sopportare una condizione avversa, Lo schermo dell’arte 2020 agisce rispondendo con scelte consapevoli. Per esempio, oltre ai film in streaming, il programma prevede l’ampia proposta di contenuti dei Festival Talks, eventi trasmessi live con conversazioni e tavole rotonde con artisti e curatori perché, in questo anno così difficile, confrontarsi e lavorare insieme è questione ancor più essenziale. O la scelta di non interrompere il progetto VISIO rivolto a promuovere e sostenere la giovane generazione di artisti, certamente l’anello più debole e meno tutelato del sistema dell’arte, i più colpiti dalla interruzione delle attività culturali ed espositive. La mostra ad esso correlata, dal titolo quanto mai attuale Resisting the Trouble. Moving Images in Time of Crisis, è allestita e pronta ad accogliere i visitatori, appena sarà possibile, alla Manifattura Tabacchi.

Valentina Furian, 55, 2019, 1’53’’. Video installazione a due canali. Courtesy l’artista

Ma ci sono altre parole a cui sto pensando in questi tempi di semi-isolamento. 

Fruizione: basata sull’esperienza insostituibile della condivisione sociale della cultura, si è adesso spostata in rete, strumento la cui modalità di visione, al di là di ogni demonizzazione, si è straordinariamente espansa nei mesi della chiusura permettendo di aumentare l’accessibilità ai contenuti dell’arte.

Libertà: perché oggi gli artisti, e noi tutti con loro, abbiamo bisogno di tempo e spazio per recuperare, procedere e immaginare un futuro.

Curiosità: che nessun lockdown potrà mai spegnere. Quella che ci ha spinto a guardare tantissimi film per arrivare a costruire una proposta con opere scelte tra la recente produzione internazionale: da una parte gli artisti in quanto autori dei film, dall’altra gli artisti come soggetto di osservazione da parte del cinema. Tra gli oltre 40 film disponibili in streaming sulla piattaforma Mymovies.it che trattano temi di attualità, dalla violenza domestica all’omofobia, dalle politiche post coloniali al nazionalismo, dall’impatto della tecnologia sul quotidiano all’ecologia, vi sono rimandi e assonanze che lo spettatore anch’esso curioso potrà scoprire costruendo il proprio percorso di visione e trovando risposte al proprio desiderio di contemporaneità.

In copertina: still da video © Kasia Fudakowski

Lo schermo dell’arte – Festival di cinema e arte contemporanea
XIII edizione
diretto da Silvia Lucchesi
10 – 14 novembre 2020
I film saranno visibili in streaming dall’Italia fino al 22 novembre
https://www.mymovies.it/ondemand/schermodellarte
abbonamento standard € 9,90

Festival Talks Live Events
in streaming
http://www.schermodellarte.org/live-events-2020/
e sui canali Facebook dello Schermo dell’arte e di Manifattura Tabacchi

Resisting the Trouble – Moving Images in Times of Crisis
mostra a cura di Leonardo Bigazzi
prodotta con NAM – Not A Museum
Firenze, Manifattura Tabacchi
L’apertura prevista il 9 novembre è posticipata a causa delle restrizioni previste dal DPCM del 5 novembre

Lo schermo dell’arte è un progetto nato a Firenze nel 2008 dedicato all’esplorazione, all’analisi e alla promozione delle relazioni tra arte contemporanea, moving images e cinema. Tra gli artisti internazionali ospiti delle passate edizioni: Hito Steyerl, Isaac Julien, Omer Fast, Simon Starling, Alfredo Jaar, The Otolith Group, Phil Collins, Melik Ohanian, Adrian Paci, Sarah Morris, Shirin Neshat, Runa Islam, Roee Rosen, Yael Bartana, Hassan Khan, Peter Greenaway, Jeremy Deller.

www.schermodellarte.org

Tomás Saraceno: Una speranza per il futuro

di Arturo Galansino

Si è conclusa domenica 1° novembre 2020 Tomás Saraceno. Aria, la grande mostra dedicata a uno dei più originali e visionari artisti contemporanei del mondo, che con la sua straordinaria creatività ha trasformato Palazzo Strozzi in un luogo di partecipazione e condivisione, con opere talvolta impercettibili a volte monumentali e di forte impatto, simboli di una visione aperta e interconnessa col mondo, diventate fin da subito immagini iconiche, se non profetiche, per una riflessione sul nostro presente.

Nonostante la sospensione forzata di 3 mesi a causa dell’emergenza Covid-19, la mostra ha raggiunto un totale di oltre 60.000 visitatori, ponendosi come uno degli eventi culturali più importanti di Italia, ma anche come una originale occasione di riflessione sul mondo all’epoca del Coronavirus. In un momento di profonda crisi dei concetti di condivisione e socialità, Palazzo Strozzi si è trasformato in uno spazio di immaginazione e un luogo di ripartenza per una nuova idea di partecipazione creando un’esperienza totalmente inedita per i nostri visitatori per parlare di presente e futuri possibili, di connessioni e isolamento, di partecipazione e meditazione: riflessioni più che mai attuali per portare avanti nuove visioni di futuro e di realtà.

Tomás Saraceno, Aerographies, 2020. Installation view of Aria, Palazzo Strozzi, Florence, 2020. © Photography by Studio Tomás Saraceno

Nuove attività e nuove modalità di visita

Dopo la sospensione tra marzo e maggio, la riapertura della mostra il 1° giugno è stata accompagnata da una revisione delle modalità di fruizione degli spazi: oltre alle misure legate alle normative vigenti, è stata aumentata la segnaletica nel palazzo e potenziato il sistema di prenotazione degli ingressi online, consentendo una gestione fluida degli accessi ed evitando assembramenti agli ingressi. Novità della riapertura sono stati l’audioguida della mostra, gratuita e direttamente utilizzabile dal proprio cellulare (oltre 18.000 utilizzi unici), e lo speciale Kit digitale dedicato alle famiglie (che ha visto la fruizione di oltre 1.200 famiglie). A tutto ciò si è affiancato un ampio programma di eventi e attività in presenza e online che hanno permesso il ritorno a una fruizione di partecipazione e condivisione: laboratori per le scuole, le famiglie e per tutto il pubblico, visite guidate condotte dagli studenti dell’Università di Firenze, letture delle Carte da Aracnomanzia (circa 130 letture effettuate) e le attività di accessibilità, tra cui spicca il progetto Corpo libero, dedicato all’inclusione delle persone con il Parkinson, che ha trovato la sua ripartenza dagli spazi del Cortile di Palazzo Strozzi.

Corpo libero: together again, 17 settembre 2020, Palazzo Strozzi, Firenze. Foto Giulia Del Vento

Molte attività in presenza legate alla mostra (visite guidate, laboratori, conferenze) sono state proposte in versione online, altre sono state appositamente progettate solo per la dimensione digitale, consentendo una continuità sui progetti e mantenendo costante un’offerta rivolta a differenti target di pubblici che caratterizza da sempre lo spirito audience oriented di Palazzo Strozzi. La dimensione digitale ha permesso in alcuni casi di raggiungere nuovi pubblici e ampliare significativamente la partecipazione. Gli appuntamenti online, conferenze e lecture trasmesse sui nostri canali social, hanno registrato una copertura media di 8.000 visualizzazioni per appuntamento e sono stati seguiti in diretta da circa 800 persone.

Il nostro pubblico

Inevitabile è fare una riflessione sull’impatto che la pandemia ha avuto sulle caratteristiche dei visitatori della mostra. Fondamentale è stato il grande coinvolgimento del pubblico locale che ha rappresentato oltre il 50% dei visitatori della mostra, un dato che prova come Palazzo Strozzi rappresenti un punto di riferimento imprescindibile per la vita culturale di Firenze e dei suoi cittadini. Da segnalare tuttavia è anche come Palazzo Strozzi abbia mantenuto, nonostante le difficoltà del momento, un ruolo primario nella valorizzazione del nostro territorio come meta per il pubblico nazionale e come leva per la creazione di valore economico. Sono stati infatti oltre 30.000 i visitatori non locali, di cui oltre 20.000 si sono recati a Firenze appositamente per visitare la mostra. In generale si conferma altissimo il gradimento espresso dai visitatori, con il 97% del pubblico che si dichiara soddisfatto dell’esperienza.

Di grande partecipazione inoltre sono stati due appuntamenti speciali tenutisi nell’ambito della mostra. Dall’11 al 13 settembre 2020 si sono svolti gli ARIA DAYS,evento realizzato in collaborazione con Manifattura Tabacchi e Aerocene Foundation che ha coinvolto oltre 1000 partecipanti, diventati veri e propri “piloti” delle grandi sculture aerosolari ideate da Tomás Saraceno. Dal 15 al 18 ottobre 2020 si è tenuta invece l’iniziativa Educare al Presente. Immaginare il futuro, realizzata in collaborazione con Publiacqua, che ha coinvolto oltre 900 visitatori della mostra in quattro speciali giornate dedicate a promuovere una nuova consapevolezza del rapporto tra uomo e ambiente attraverso l’arte e la creatività e a ripensare in modo originale e creativo l’uso dell’acqua.

Aerocene launches, 11-13 september 2020, Manifattura Tabacchi, Firenze, as part of exhibition Tomás Saraceno. Aria, Palazzo Strozzi, Firenze. Photo by Giancarlo Barzagli. Licensed under CC BY-SA 4.0

In copertina: Arturo Galansino © Photography by Ela Bialkowska, OKNOstudio

La cura delle piccole cose

di Fiorella Nicosia e Caterina Monasta

Cosa significa prendersi cura delle opere di un artista che sono state affidate alla quotidiana attenzione di chi lavora in un centro espositivo come Palazzo Strozzi? Si tratta di una manutenzione quotidiana che diventa quasi una partecipazione a un environment e una relazione diretta e privilegiata con l’arte, e, nel caso della mostra Tomás Saraceno. Aria, anche con altre discipline come la scienza, la tecnologia, l’architettura e la biologia. Sono piccoli gesti che quotidianamente ripetiamo nella nostra relazione con la mostra, per riparare, ricostruire, pulire e persino nutrire ogni singola opera.

Manutenzione di Sounding the Air, Caterina Monasta e Fiorella Nicosia.
Foto Matthias Favarato

Prendersi cura delle opere di Tomás significa sentirsi parte di esse, viverle piuttosto che osservarle, immergersi in un sistema di equilibrio che si instaura tra noi esseri umani e gli elementi naturali e fisici che le caratterizzano, come frequenze sonore, raggi laser, aria, polvere, gas, inchiostro, fili di ragnatele, organismi vegetali e piante, come le meravigliose tillandsie, e animaletti, quali la piccola araña che vive all’interno di Particular Matter(s).

Ciò che più di ogni altra cosa abbiamo imparato dalle idee di Tomás, applicate visivamente alle sue opere, è che il nostro mondo fisico è fatto di tanti piccoli organismi, di elementi microscopici e separati. Su piccola scala, per dirla con Carlo Rovelli, “tutto è granulare”, non c’è continuità ma granularità, in una rete di interazioni che è importantissima. Ogni opera della mostra, pertanto, è un mondo a sé, un sistema autonomo fatto di singoli elementi che riflettono la propria complessità nella materia, nella relazione con gli altri e nel loro funzionamento. Così ogni singolo elemento di ogni singola opera che compone la mostra ha necessità di essere curato per apparire poi come un tutto armonico e coerente.

Manutenzione di How to Entangle the Universe in a Spider/Web?, Fiorella Nicosia.
Foto Matthias Favarato
Manutenzione di How to Entangle the Universe in a Spider/Web?, Fiorella Nicosia.
Foto Matthias Favarato

Nella sala dedicata a How to Entangle the Universe in a Spider/Web?, la manutenzione avviene dal “dietro le quinte”, entrando in uno spazio nascosto al pubblico, attraverso una porta nera ricoperta di tessuto morbido: un piccolo ambiente in cui sono allestite le 3 spider frames. Queste architetture affascinanti e labirintiche, costruite da numerosi ragni, vengono illuminate da un raggio laser che si muove in senso orizzontale su un binario. Il movimento del laser di natura meccanica ed elettrica ha bisogno di essere talvolta da noi accompagnato, controllato, aiutato nel suo funzionamento. Per noi restare in quella saletta buia e segreta in compagnia di quelle ragnatele maestose e silenziose possiede un fascino particolare di quiete e intimità.

Manutenzione di Particular Matter(s), Fiorella Nicosia.
Foto Matthias Favarato
Tomás Saraceno, Particular Matter(s), 2020. Installation view of Aria, Palazzo Strozzi, Florence, 2020. © Photography by Studio Tomás Saraceno

Particular Matter(s) Jam Session è costituito da una lunga pedana in mezzo a vari elementi tecnologici come una lampada alogena, una videocamera, una cassa acustica e dei piccoli sensori, all’interno di una ragnatela, vive un piccolo ragno femmina, che abbiamo battezzato Arianna, e che rappresenta per noi la stabilità, la resistenza, la tenacia e la continuità. Questa “ragnetta” ha vissuto nella ragnatela – tessuta in precedenza nello studio di Tomás da altri ragni – dall’inaugurazione della mostra in febbraio, attraversando illesa persino due mesi e mezzo di chiusura della mostra per il lockdown. È rimasta lì, al buio, senza nemmeno l’acqua quotidiana che spruzziamo per idratarla. Si è adattata, non si è spostata se non di pochi centimetri per mangiare o muoversi. Non è così comune che un ragno viva tanto a lungo e da solo nella stessa ragnatela (che non è neanche la propria). Tomás l’aveva inserita in febbraio l’ultima domenica dell’allestimento, senza dirlo a nessuno, e lì è rimasta e c’è ancora. Arianna, l’araña.

Manutenzione di A Thermodynamic Imaginary, Fiorella Nicosia.
Foto Matthias Favarato
Manutenzione di A Thermodynamic Imaginary, Caterina Monasta.
Foto Matthias Favarato

Muoversi tra i proiettori e le sfere gonfiabili di A Thermodynamic Imaginary è come immergersi in un ambiente sospeso nel tempo e nello spazio, alla ricerca delle sculture in vetro e specchi da accudire e spolverare, così come in Connectome, l’altra installazione aerea della prima sala della mostra. Anche altre opere hanno necessità di essere “spolverate”, ma la nostra sensazione è sempre quella di togliere qualcosa di importante che per l’artista andrebbe valorizzato e reso visibile, ossia la polvere, oggetto di tante sue opere e speculazioni sull’Universo.

Manutenzione di Flying Gardens, Caterina Monasta e Fiorella Nicosia.
Foto Matthias Favarato
Manutenzione di Flying Gardens, Fiorella Nicosia.
Foto Matthias Favarato
Manutenzione di Flying Gardens, Caterina Monasta e Fiorella Nicosia.
Foto Matthias Favarato
Manutenzione di Flying Gardens, Caterina Monasta.
Foto Matthias Favarato

Ogni pianta dei Flying Gardens occupa uno spazio proprio all’interno di sfere di vetro composte in sculture “volanti”. Nella sala luminosissima nulla tocca il pavimento, se non i piedi delle persone che la attraversano. Per raggiungere le tillandsie da innaffiare – ogni due giorni con acqua rigorosamente potabile – dobbiamo sporgerci, salire su scale, sollevarci sulla punta dei piedi e ci sembra quasi di entrare in uno spazio vivo e magico, un giardino fluttuante e galleggiante, in una relazione anche fisica con ciascuna pianta che viene raccolta tra le mani per essere annaffiata.

Manutenzione di Aerographies, Caterina Monasta e Fiorella Nicosia.
Foto Matthias Favarato

Particolarmente affascinante è la sala finale della mostra: Aerographies. Anche qui le opere hanno una vita propria, soprattutto per il movimento dei palloncini gonfiati a elio che si spostano, volando sulla carta e lasciando tracce di penna e disegni aggrovigliati. I grandi fogli bianchi, di tre misure diverse, sono stati da noi tagliati, srotolati, arrotolati e sostituiti numerose volte durante la mostra, seguendo un rigoroso calendario che lo studio dell’artista ci ha fornito, al fine di archiviare ciascun disegno con un numero di inventario prestabilito.

Manutenzione di Aerographies.
Foto Matthias Favarato
Manutenzione di Aerographies, Caterina Monasta.
Foto Matthias Favarato

Le penne si consumano, i palloncini si sgonfiano, la polvere arriva sui fogli e sulle cornici sul pavimento, i pesi sulle penne vanno calibrati. È un lavoro costante e quotidiano che va fatto con cura, sempre pensando a far prevalere la leggerezza, il fascino, la poesia e il senso artistico profondo che quest’opera possiede per tutti.

Essere dietro le quinte di tutto ciò è davvero un privilegio.

Il cielo sopra Firenze

di Ludovica Sebregondi

Il primo collage per Aria, realizzato da Tomás Saraceno nell’estate del 2019 per l’esposizione di Strozzi, mostra Firenze vista da Monte alle Croci su cui si librano le tre grandi sfere dell’installazione Thermodynamic Constellation destinate al cortile rinascimentale del Palazzo. Fluttuano nell’aria serena, sospese sulla città, insieme ad altri prototipi di sculture aerosolari in grado di volare intorno al mondo, libere da confini e da combustibili fossili, libere di navigare attraverso i fiumi dell’atmosfera. Poi l’acqua alta su Venezia del mese di novembre ha cambiato la visione di Tomás, che per il collage definitivo si è ispirato – con il nero predominante, la diffusa sensazione di inquietudine, il grande ragno nella sua capsula d’aria – agli stravolgimenti causati dai cambiamenti climatici, dall’uso sconsiderato delle risorse naturali da parte dell’uomo. E, nei mesi della pandemia, è stata l’immagine che ha incarnato lo “spirito del tempo”.

Tomás Saraceno, Collage per Aria, 2019.
Courtesy l’artista. © Studio Tomás Saraceno, 2019
Tomás Saraceno, Collage per Aria, 2020.
Courtesy l’artista. © Studio Tomás Saraceno, 2020

Nel primo collage per Aria in alto a destra compare una delle “macchine del volo” di Leonardo, la Vite aerea (Manoscritto B, 1489, Parigi, Institut de France), sollevata da una vela a elica che si avvita nell’aria. Sono numerose le invenzioni leonardesche legate alla volontà di permettere all’uomo di elevarsi da terra: forse il tentativo più famoso è quello in cui coinvolse l’amico e collaboratore Zoroastro da Peretola, avvenuto sul Monte Ceceri, una collina alle porte di Firenze, presso Fiesole.

Parigi, Institut de France, Leonardo da Vinci, Manoscritto B di Francia, Ms B, f. 83v.
Foto Luc Viatour

Un esperimento non riuscito, di cui resta traccia nel Codice sul volo degli uccelli (1505 circa, Torino, Biblioteca Reale), che include schizzi e descrizioni di apparecchi e di principi aerodinamici relativi al volo meccanico, anticipando di circa quattro secoli l’invenzione dell’aeroplano. Scrive Leonardo, e le sue parole sono riportate su una stele in pietra posta sulla sommità del colle: “Piglierà il primo volo il grande uccello sopra del dosso del suo magno Cecero, empiendo l’universo di stupore, empiendo di sua fama tutte le scritture e gloria eterna al nido dove nacque”.

Stele a Monte Ceceri che ricorda l’esperimento di Leonardo e riporta le sue parole.

Altre sperimentazioni, coronate però da successo, si sono susseguite a Firenze, come quella del 1784, quando da un prato nei pressi di ponte alla Carraia Francesco Henrion ripeté, con un “globo aerostatico” pieno di aria riscaldata, quanto riuscito l’anno precedente vicino a Lione a Joseph ed Étienne Montgolfier con una macchina volante che si era sollevata da terra. Il tentativo fiorentino riuscì perfettamente, analogamente a quello compiuto poco dopo da un pallone realizzato da due gesuiti che giunse fino a Santa Sofia, in Romagna. Il primo uomo a volare su Firenze fu, nel 1795, Giovanni Battista Luder che sostituì il pilota designato – impaurito dall’impresa – ed ebbe l’ardire di salire sulla navicella in Piazza del Carmine. Ne scese tranquillamente alla Pieve di Remole, e per il suo gesto di coraggio fu premiato dal granduca con 24 zecchini d’oro e la promozione da semplice “trombaio”, l’idraulico a Firenze, a “fontaniere regio”.

L’articolo il Volo di una mongolfiera, apparso sulla “Gazzetta di Firenze” del 7 agosto 1826, dimostra come ancora dopo decenni un’ascensione venisse trasformata in spettacolo, con piazza Santa Maria Novella convertita in anfiteatro per accogliere gli astanti, tra cui il granduca e la sua famiglia. Francesco Orlandi, l’intrepido “aerobata”, dopo aver porto un sonetto e dei fiori al monarca, si sollevò sulla sua “macchina aerobatica”, un pallone a idrogeno e aria calda costituito da strisce di seta “a forma di fusi”, e dopo un’ora atterrò a circa 7 miglia dalla capitale.

Dettaglio della copertina del volume Firenze. Cinquanta fotografie dell’Ottocento tratte dagli Archivi Alinari, Firenze, 1981

Da fine Ottocento non mancano neppure testimonianze fotografiche, come quella della mongolfiera guidata dal “signor Jules” o “Juhles”, che si innalzò su Firenze il 19 maggio 1884 alla presenza di un folto pubblico arrampicato persino sui tetti. Un’immagine tanto iconica da essere stata scelta per la copertina di una mostra sugli Archivi Alinari.

E, recentemente, una donna, Leticia Marqués, pilota di mongolfiere, ha portato a Firenze, durante l’Aria Talk tenutosi al Cinema Odeon il 22 febbraio 2020, la testimonianza del suo ardito e coraggioso volo avvenuto il 28 gennaio 2020, nelle Salinas Grandes in Argentina nell’ambito del progetto di Tomás Saraceno Fly with AerocenePacha in cui – sollevata da un’enorme scultura aerosolare – ha stabilito sei record mondiali per altezza, distanza e durata di volo effettuato grazie solo al calore del sole e all’aria, senza l’uso di combustibili fossili, pannelli solari, elio o batterie al litio. Grande coraggio, quello dimostrato facendosi sollevare fino a un’altezza di 270 metri, per un’ora e 21 minuti, coprendo una distanza di 2,55 chilometri. Forse, in un utopico futuro, l’impresa di Saraceno e Leticia sarà vista come noi oggi rileggiamo le memorie dei primi pioneristici, e visionari, voli dei secoli scorsi.

Fly with Aerocene Pacha. A project by Tomás Saraceno for Aerocene. 21-28 January 2020, Salinas Grandes, Jujuy, Argentina. Human Solar Free Flight as part of Connect, BTS, curated by DaeHyung Lee. Courtesy the artist and Aerocene Foundation. Photography by Studio Tomás Saraceno, 2020. Licensed under CC BY-SA 4.0 by Aerocene Foundation
Aria Talk, Cinema Odeon, Firenze, 22 febbraio 2020. © Photography by Ela Bialkowska, OKNOstudio

In copertina: Tomás Saraceno, Around the world collage for Aria, 2020 Courtesy l’artista

Dall’arte alla scienza: i ragni nel mondo biologico

Ricercatrice della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, Malayka Picchi è stata coinvolta nella preparazione della mostra Tomás Saraceno. Aria come consulente per comprendere al meglio i ragni e le loro caratteristiche.

Sono rimasta affascinata, lo devo ammettere.
Io, abituata a osservare i ragni all’aperto o allo stereoscopio, ho avuto un immenso piacere nel vedere come queste piccole creature siano state delle muse ispiratrici per un grande artista come Saraceno. La seta finemente intrecciata, tesa e vibrante dei ragni come opera d’arte.
Da entomologa non avevo mai visto la ragnatela con gli occhi di un artista, o meglio – la natura tutta è arte, soprattutto il microcosmo – non avevo mai pensato a come un artista vede la ragnatela e come, volutamente e visionariamente, la spinge a essere qualcosa di più. Tanto reale quanto astratta. Saraceno è riuscito ad andare oltre la mera biologia funzionale della ragnatela. Ha creato qualcosa di unico: ha unito in modo profondo l’aracnologia con l’arte. Con l’arte, il linguaggio scientifico si colora, si abbellisce e raggiunge i cuori anche di coloro che sono terrorizzati dai ragni, svelando il loro reale fascino. Infatti, questi animali generano delle profonde scosse emotive nelle persone. Ignorati dai più, fonte di terrore per molti altri, ma esiste una minoranza che li osserva con occhi curiosi, in cerca di forme e comportamenti che lasciano incantati.
Quello dei ragni è un gruppo antico e vasto. Sono degli artropodi (e non insetti) che appartengono al grande mondo degli aracnidi, lo stesso mondo di cui fanno parte le zecche, gli scorpioni e altre svariate e bizzarre forme, meno conosciute perché difficili – se non impossibili – da incontrare in Italia. Nel mondo esistono più di 48mila specie e ogni giorno se ne scoprono di nuove; l’Italia si difende bene con le sue 1677 specie finora conosciute. Sono animali predatori (a eccezione della sola specie Bagheera kiplingi che integra la propria dieta con pinnule di acacia), in cima alla catena alimentare, che regolano la quantità di insetti. In poche parole, se non ci fossero i ragni saremo completamente invasi dagli insetti: un recente studio ha evidenziato che, nel mondo, annualmente, i ragni mangiano tra i 400 e gli 800 milioni di tonnellate di insetti. Tra questi anche quelli che potrebbero far fuori le nostre scorte di cibo. Sono degli utili alleati in agricoltura, sebbene l’utilizzo di sostanze di sintesi li riduca drasticamente come numero e come specie.

Tomás Saraceno, TREMOR, 2019-in corso, Courtesy l’artista, © Studio Tomás Saraceno
In basso, nella carta, le differenti fasi della costruzione di una ragnatela.

La caratteristica fondamentale dei ragni, che viene ripresa e reinterpretata da Saraceno, riguarda la capacità di generare e usano in modi differenti la seta: una proteina che concilia resistenza ed elasticità, che i ragni utilizzano per catturare le prede, costruire dei ripari o per proteggere la prole. In base alla funzione, possono regolare le qualità della seta secreta per la ragnatela. La spirale di cattura deve trattenere le prede, ma senza rompersi. Quindi dovrà essere capace di dissipare l’energia dell’urto, mentre la cornice e i fili di ancoraggio devono essere forti e resistenti tali da sorreggerne la struttura. La seta viene poi talvolta lavorata e increspata o arricchita di gocce di colla che aumentano la possibilità che la preda rimanga nella ragnatela.
La biodiversità nel mondo dei ragni riguarda anche la ragnatela, non solo per la qualità della seta, ma anche per le forme che questi modellano pazientemente. Ci sono quelli precisi e ordinati come gli Araneidae, che tessono ragnatele regolari e verticali, con il ragno che sovente si trova al centro ad attendere una vibrazione, uno stimolo che indichi la presenza di una preda incappata casualmente nella trappola. Oppure ci sono quelli più estrosi come i Theridiidae, che costruiscono ragnatele irregolari e su più direzioni. Poi, ci sono gli estremisti, come i ragni del genere Mastophora che utilizzano un solo filo di seta con una piccola goccia di colla per catturare al lazo le falene; o ancora i rappresentanti del genere Deinopis che, mentre con le zampe posteriori restano appesi a qualche sostegno, con la seta costruiscono tante cornicette quadrate, una dentro l’altra, che trattengono con le zampe anteriori e scagliano sulla preda quando questa incappa nella rete di fili di avvertimento, diligentemente costruita in prossimità del suolo.
Una biodiversità che permette ai ragni di colonizzare molti ambienti diversi con successo. Un esempio straordinario di adattamento riguarda il ragno palombaro, Argyroneta acquatica, che, come suggerisce il nome, si è adattato a vivere in acqua dolce. Riesce a passare la maggior parte della vita sott’acqua grazie alla capacità di trattenere un piccolo strato di aria sul proprio corpo e a ricaricarlo all’occorrenza.

Tomás Saraceno, Outer Space seems not so Unfamiliar, 2014, Courtesy l’artista

Invece, parlando di guinness dei primati, provate a immagine la più grande ragnatela esistente. Quando può essere grande? Caerostris darwinii, una specie del Madagascar, costruisce una ragnatela che ha un filo di ancoraggio di venticinque metri, con una spirale di cattura ampia ben tre metri quadrati. Questo “lenzuolo” di ragnatela le serve per intercettare gli insetti che sfarfallano dai grandi fiumi, costruendo sopra l’alveo la propria trappola.
Il mondo degli aracnidi è fatto così; sembrano esseri di poco conto, ma in realtà hanno mille peculiari sfumature piene di fascino.
Vi invito a scoprirlo questo mondo, così da vivere la mostra di Saraceno come farebbe un vero aracnofilo.

Tomás Saraceno, Webs of At-tent(s)ion, 2020. Installation view of Aria, Palazzo Strozzi, Florence, 2020. © Photography by Ela Bialkowska, OKNOstudio

In copertina: Tomás Saraceno, Particular Matter(s), 2020. Installation view of Aria, Palazzo Strozzi, Florence, 2020. © Photography by Studio Tomás Saraceno

Buio pesto e caduta massi

Professore Ordinario di Cosmologia alla Scuola Normale Superiore di Pisa e Joint Professor dell’Institute for the Physics and Mathematics of the Universe di Tokyo, Andrea Ferrara è stato coinvolto nella preparazione mostra Tomás Saraceno. Aria come consulente per approfondire e ampliare i riferimenti astrofici presenti nelle opere dell’artista.

Buio pesto, era. Inizia così il racconto del vecchio Qfwfq, un essere senza tempo nato con l’Universo, a cui Calvino fa raccontare la sua esperienza dell’origine e evoluzione del mondo nelle Cosmicomiche. In Sul far del giorno, Qfwfq ci narra la formazione del sistema solare. Prima c’era una nebula buia, fredda e rotante in cui si galleggiava tra particelle di gas e polvere (che davano un prurito fastidioso – aggiunge Qfwfq). Ma ad un certo punto la materia nella nebula comincia a condensarsi: si tocca!, urla il padre di Qfwfq. Un concetto del tutto nuovo, che marca la formazione dei primi detriti solidi. L’agglomerazione dei detriti per gravità procede in maniera rapida fino a formare entità rocciose più grandi. Infine, all’orizzonte appare una specie di ebollizione che altro non è che una sorgente di luce da un corpo incandescente, il Sole. La luce illumina la superficie terrestre gibbosa ed incrostata di ghiaccio sporco che evapora rabbiosamente in immensi geyser. Tutto il resto continuava a ruotare aggrumato in vari pezzi. Era nato il sistema solare.

Il cielo notturno con lo sciame meteoritico delle Perseidi. © ESA

La Natura ci permette ogni anno di avere un assaggio dell’esperienza che Qfwfq deve aver vissuto in quei tempi antichi, circa 4,5 miliardi di anni fa, quando si formò il sistema solare. Intorno al 10 agosto cade quella che comunemente è nota come la notte delle “stelle cadenti”, in cui nel cielo notturno possiamo intravedere le magnifiche scie di oggetti celesti che penetrano l’atmosfera terrestre. Questi oggetti sono degli sciami di detriti lasciati dalla formazione del sistema solare. La Terra incontra diversi sciami lungo la sua orbita nel corso dell’anno. Quello di agosto, detto sciame delle Perseidi, è senz’altro uno dei più famosi. Un altro sciame molto famoso è quello delle Leonidi, che si può osservare nelle notti di novembre. Questi sub-detriti, detti meteoriti, si sono staccati da altri corpi che popolano il sistema solare: le comete. Le Perseidi sono associate alla cometa Swift-Tuttle, passata nelle nostre vicinanze nel 1992; le Leonidi sono invece detriti della cometa Tempel-Tuttle. A questo punto dobbiamo però fare un po’ di ordine e capire l’intera storia della formazione di una stella, del suo sistema planetario e dei corpi minori che le girano intorno.

Immagine artistica della formazione del sistema solare in cui, oltre al Sole ed al disco protostellare, sono visibili i pianeti ed i corpi minori. © NASA

Le stelle si formano dal mezzo interstellare, un gas che in media ha una densità molto bassa (circa 1 atomo di idrogeno per cm3, quasi un vuoto perfetto rispetto all’aria che respiriamo!). Così come nell’atmosfera, a causa di vari processi fisici tuttavia si possono condensare delle nubi 100-1000 volte più dense. Queste immense nubi, di dimensioni pari a decine di anni luce, contengono 1 milione di volte la massa del Sole; pertanto la forza di gravità le costringe a collassare su sé stesse. Durante il collasso il gas cade rapidamente verso il centro ed aumenta la sua densità in maniera costante, arrivando a valori miliardi di volte più alti di quello iniziale.

È anche molto probabile che fin dall’inizio la nube ruoti su sé stessa. In questo caso il gas in collasso non cade direttamente verso il centro, ma forma un disco intorno alla condensazione centrale che rappresenta la protostella, la cui crescita è alimentata dal disco stesso. L’aumento di densità fa aumentare la temperatura della protostella fino a oltre un milione di gradi. A questo punto s’innescano le reazioni nucleari, principalmente la fusione di idrogeno in elio. L’energia sviluppata da questa reazione è esattamente quella necessaria a controbilanciare quella gravitazionale ed il collasso si arresta. La stella si è formata! Nel frattempo, il disco si è frammentato in una serie di sotto-strutture più piccole, che rappresentano i semi del sistema planetario della stella stessa. Il Sole contiene il 99,85% di tutta la materia nel sistema solare; i pianeti solo lo 0,135% della massa del sistema solare. Giove contiene più del doppio della massa di tutti gli altri pianeti messi insieme.

La cometa Neowise osservata dal Libano nel luglio 2020. © Maroun Habib (Moophz)

Tutto il materiale che non entra a far parte della stella o dei pianeti, rimane in orbita intorno alla stella stessa. Questi oggetti solidi, fatti di ghiaccio e roccia, sono i corpi minori del sistema solare. Tra i corpi minori, le comete sono senza dubbio gli oggetti più appariscenti. A luglio 2020 abbiamo appena assistito al passaggio di una di queste comete, Neowise. Le comete sono composte da un nucleo roccioso circondato da strati di ghiaccio misto a polvere. Avvicinandosi al Sole nel corso della loro orbita, il calore della radiazione fa vaporizzare il ghiaccio, liberando così i grani di polvere. Parte di questo materiale crea una specie di nube intorno alla cometa, la “chioma”, mentre la polvere viene spinta in una scia (la “coda”) che si può estendere per milioni di km. Ad ogni passaggio lo strato di ghiaccio diminuisce (di metri) e la cometa diventa meno luminosa fino a scomparire quando non ne rimane che il nucleo.

Ci sono due “magazzini” di comete nel sistema solare: la nube di Oort, una struttura sferica 50000 volte più distante della Terra dal Sole, e l’anello di Kuiper, posto oltre l’orbita di Nettuno. Quest’ultima struttura è stata scoperta solo meno di vent’anni fa ma ha attratto l’attenzione dei planetologi perché le comete al suo interno sembrano essere i corpi più antichi del sistema solare. A partire dalla sonda Giotto, che visitò Halley negli anni ’80 fino a Rosetta/Philae che è recentemente atterrata sulla cometa 67P/Churyumov–Gerasimenko, diverse missioni ci hanno fornito immagini ed analisi del materiale cometario. Grazie a questi dati verificheremo la fondatezza dell’ipotesi che l’acqua (e forse anche componenti della vita) sulla Terra sia stata portata dalle comete.

La superficie dell’asteroide Vesta ripresa dalla sonda Dawn della NASA. © NASA/JPL-Caltech/UCLA/MPS/DLR/IDA

Gli asteroidi sono invece corpi puramente rocciosi di considerevole diametro (centinaia di km) e di varia composizione. Ceres, l’asteroide più grande, scoperto nel 1801, è costituito di materiale carbonaceo; Vesta è basaltico; altri ancora sono metallici. Molti asteroidi si muovono su orbite comprese tra Marte e Giove ma alcuni si trovano nella zona dei pianeti interni e dunque possono costituire un serio pericolo per gli esseri viventi in caso di collisione con la Terra, come probabilmente è avvenuto con la scomparsa dei dinosauri.

I meteoriti, infine, sono piccoli “sassi” o particelle di polvere lasciate dalle scie delle comete che entrando nell’atmosfera si riscaldano per attrito, si illuminano in maniera fantasmagorica come “stelle cadenti”, e vaporizzano. Alcuni di essi sopravvivono a questo processo e raggiungono la superfice terrestre. Se identificati, grazie ad una attenta analisi chimica, ci aiutano a rispondere ai quesiti ancora aperti sulla nascita del sistema solare e degli altri sistemi planetari intorno alle stelle. Osservare le “stelle cadenti”, quindi, non solo rappresenta un’esperienza affascinante, ma anche un importante esperimento scientifico.

In copertina: Tomás Saraceno, Particular Matter(s) (dettaglio), 2020. Installation view of Aria, Palazzo Strozzi, Florence, 2020. © Photography by Ela Bialkowska, OKNOstudio

Tre scienziati, una pilota e un artista

Assistere a un dialogo tra un artista, due curatori, tre scienziati, una politologa, un giornalista e una pilota di mongolfiere può sembrare un evento assai raro e quasi inverosimile. Tuttavia, per celebrare l’apertura della sua mostra a Palazzo Strozzi, Tomás Saraceno è riuscito a far dialogare tra loro queste persone, unendo la propria arte alle più varie forme di sapere. Le sue opere sono per definizione poliedriche e polisemiche. Riferimenti al mondo dell’astronomia, della biologia e delle scienze sociali si uniscono a creare un punto di incontro tra scienze e arti: un intreccio profondo, capace di affascinare anche gli esperti più diversi, che trovano così un’occasione unica per dialogare.

L’Aria Talk, tenutosi al Cinema Odeon di Firenze il 22 febbraio scorso, è stato il grande evento di apertura della mostra Tomás Saraceno. Aria, che ha visto la partecipazione di Tomás Saraceno, Arturo Galansino (direttore generale, Fondazione Palazzo Strozzi), Melisa Argento (politologa e ricercatore), Stavros Katsanevas (direttore, Osservatorio europeo gravitazionale), Stefano Mancuso (direttore, LINV, Laboratorio internazionale di neurobiologia vegetale), Lisa Signorile (biologa e giornalista scientifica) e Marco Filoni (giornalista e ricercatore).

Più che una semplice conversazione aperta al pubblico è stata innanzitutto una vera e propria festa per celebrare i record stabiliti con il progetto Fly with Aerocene Pacha. Il 28 gennaio 2020 infatti, nelle Salinas Grandes di Jujuy, in Argentina, Saraceno e la comunità di Aerocene hanno fatto volare un’enorme scultura simile a una mongolfiera. Per la prima volta nella storia un essere umano ha volato nel cielo con il solo calore del sole e dell’aria che tutti respiriamo, senza l’uso di combustibili fossili, pannelli solari, batterie al litio o elio. La pilota Leticia Marqués è così riuscita a stabilire sei record mondiali nelle categorie generale e femminile per altezza, distanza e durata di volo completamente libero, certificato dalla Fédération Aéronautique Internationale (FAI). La grande avventura, parte del progetto CONNECT, BTS a cura di Daehyung Lee, è stata documentata da punti di vista molteplici, secondo la sensibilità di diversi registi, dando vita al documentario Fly with Aerocene Pacha (2020, 28’).

Il progetto Fly with Aerocene Pacha è, come la stessa arte di Saraceno, fortemente interdisciplinare. L’arte è il collante tra diverse scienze e metodologie che riescono a cooperare per un fine ultimo: immaginare un mondo migliore guidato da una nuova sensibilità nei confronti della natura, delle comunità e degli altri esseri viventi. Per questo motivo l’artista ha chiamato a sé un gruppo di scienziati e ricercatori per poter leggere, con gli occhi dell’arte, il mondo che ci circonda.

Il pensiero di Tomás Saraceno, come quello della politologa Melisa Argento, non poteva non andare alle comunità Kollas e Atacamas che vivono attorno alle saline di Jujuy, dove si è svolto il progetto Aerocene Pacha. Qui, infatti, l’estrazione massiva del litio sta distruggendo il territorio, compromettendo l’integrità di questo luogo. Secondo la testimonianza di Saraceno:

«Le popolazioni che vivono in questo posto hanno un altro modo di relazionarsi con la terra, hanno un’altra ritualità e hanno un’altra memoria. Quindi, quando parliamo degli umani bisogna stare molto attenti, perché ci sono comunità nel mondo che hanno modi diversi di relazionarsi con il territorio. Il lago salato è un luogo sacro per loro, è un luogo diverso e hanno una memoria sul posto che continuano ad ereditare da molto più di 500 anni, quando si crede che l’America sia stata scoperta da qualcuno – quindi con un discorso postcoloniale che deve entrare in quanto stiamo facendo. E dobbiamo tentare di mettere in relazione questa memoria con l’intelligenza e la memoria delle piante, con l’intelligenza e la memoria dei ragni, con l’intelligenza e la memoria del pianeta Terra in relazione al Cosmo. Quindi possiamo parlare dell’intelligenza, come diceva James Lovelock, di Gaia, di un organismo che anche si può organizzare e reagisce».

Le comunità umane non sono le uniche in pericolo. Gli aracnidi e gli insetti sono i primi a vivere la cosiddetta “sesta estinzione di massa”. La biologa Lisa Signorile ha preso più volte le difese dei ragni. Sono infatti esseri antichissimi, sopravvissuti a numerose avversità evolutive, come le precedenti cinque estinzioni di massa.

«Quelli che nel Devoniano, stiamo parlando di 380 milioni anni, sono saliti sulla terra non erano ancora effettivamente i nostri ragni, ma ci somigliavano tantissimo: riuscivano già a fare la tela tra le altre cose. Quindi stiamo parlando di animali che hanno vissuto 380 milioni anni sulla terraferma passando indenni attraverso cinque estinzioni di massa, come se niente fosse. I ragni moderni hanno qualcosa come 200/250 milioni di anni in realtà. La ragnatela più antica di cui abbiamo traccia in Ambra del Sussex dell’Inghilterra ha 110 milioni anni. Noi ciabattiamo questi animali senza nessun ritegno. Noi abbiamo qualche centinaio di migliaia di anni, loro hanno 200 milioni anni, quindi alla fine sul piatto della bilancia dovremmo un attimo pensare a chi siamo noi e chi sono loro».

Il neurobiologo Stefano Mancuso (direttore del LINV, Laboratorio internazionale di neurobiologia vegetale) ha sottolineato come noi esseri umani siamo, in fin dei conti, una specie come tante altre e siamo soggetti anche noi alle leggi della natura. Eppure, il nostro grande vantaggio evolutivo, il cervello, potrebbe rivelarsi uno svantaggio considerando i problemi ambientali che stiamo provocando con le nostre stesse mani.

«Quanto vivono le altre specie in media? In media una specie vive cinque milioni anni. A me basterebbe che l’umanità arrivasse alla media, la media è qualcosa che tutti si aspettano, e noi ne abbiamo 300 mila di anni; il che vuol dire che noi dovremo sopravvivere altri 4.700.000 anni per essere nella media, non meglio, nella media delle specie di questo pianeta. Quanti su questo pianeta davvero ritengono non che potremmo sopravvivere altri 4.700.000 anni, ma quanti ritengono che potremmo sopravvivere altri 10.000 anni? Vi ricordo che negli ultimi 10.000 anni tutto quello che noi consideriamo civiltà, dall’invenzione dell’agricoltura a oggi, è avvenuta negli ultimi, vogliamo essere larghi, 12.000 anni. Questo è il tempo in cui noi abbiamo fatto tutto quello che abbiamo fatto. Come potremmo mai pensare di sopravvivere per arrivare alla media delle specie? Eppure ci toccherebbe, ed è questo quello che dovremmo almeno raggiungere, altrimenti vorrebbe dire che il nostro grande cervello, che è la cosa che ci differenza degli altri esseri viventi, è uno svantaggio in termini evolutivi, non è un vantaggio come abbiamo sempre pensato ma è letteralmente uno svantaggio».

L’astrofisico Stavros Katsanevas (direttore, Osservatorio europeo gravitazionale) lavora ogni giorno con dimensioni ancora più grandi: quelle dell’Universo. La difficoltà nello spiegare elementi infinitamente più grandi di noi è evidente, ma in questo l’arte può aiutarci.

«Mi sono ricordato ancora una volta le cose che Heinz Wismann, filosofo, diceva. Ci sono modi simbolici: il mito, la scienza e l’arte, che è tra queste due. Perché l’arte fa capire la realtà (non il mitico) con un modo affettivo; fa capire dentro di te quello che succede. Il vero artista è chi fa capire il problema scientifico della realtà e lo fa sentire “dentro”. E questo è fantastico».

La registrazione integrale dell‘Aria Talk è disponibile su YouTube.

Guarda il video

In copertina: Aria Talk, Cinema Odeon, Firenze, 22 febbraio 2020. © Photography by Ela Bialkowska, OKNOstudio

Fai volare le tue idee

di Martino Margheri

Chi lavora nei musei e nelle istituzioni culturali conosce bene i lunghi tempi di programmazione e progettazione delle attività espositive. Che si tratti di un’esposizione di Old Masters, oppure della monografica di un grande artista contemporaneo, le riunioni preliminari avvengono anche quattro anni prima della data d’inizio. Per la mostra Tomás Saraceno. Aria le prime discussioni con l’artista e il suo studio sono iniziate nel 2017 e il sopralluogo di Saraceno a Palazzo Strozzi risale all’autunno del 2018.
Definiti i caratteri generali di un progetto, partono le discussioni che coinvolgono tutti i dipartimenti della nostra istituzione culturale. Lo scopo è usare al meglio la mostra in tutte le sue potenzialità, sviluppando attività e strategie che riguardano ogni aspetto del lavoro, dalla comunicazione alla promozione, fino ai progetti educativi.

Lavorare con Tomás Saraceno è stata una grande opportunità poiché nel suo studio sono presenti professionalità diverse: architetti, video maker, designer, allestitori che in maniera corale si interfacciano con l’artista e contribuiscono a dare forma alla sua visione. Nella varietà dei progetti realizzati da Saraceno e dall’Aerocene Foundation, fondato nel 2015, abbiamo individuato delle esperienze che ci avrebbero permesso di sperimentare formati educativi interessanti da indirizzare a studenti di comunicazione e progettazione proprio in occasione della mostra a Palazzo Strozzi.

Si è innescato così un dialogo con IED Firenze (Istituto Europeo di Design) che si è velocemente trasformato in un’importante partnership istituzionale e nel progetto dedicato al Museo Aero Solar con un gruppo selezionato di docenti e studenti. Il Museo Aero Solar è una grande scultura volante assemblata esclusivamente con sacchetti di plastica riutilizzati. Il progetto è nato nel 2007 da un’idea di Saraceno in conversazione con Alberto Pesavento, e da allora è stato realizzato in formati diversi in oltre ventuno Paesi. Il Museo Aero Solar incarna la visione di un futuro senza inquinamento attraverso la crescita di comunità create spontaneamente e geograficamente distanti che vi prendono parte.

Museo Aero Solar, fotografie Studio Tomás Saraceno, courtesy Aerocene Foundation

Con questi presupposti ci siamo dati come obiettivo il coinvolgimento dei visitatori di Palazzo Strozzi nella realizzazione di un grande progetto partecipativo per Firenze, che sarebbe iniziato con la raccolta di sacchetti di plastica e sarebbe poi terminato con un’esperienza di volo nel Parco delle Cascine. Ma come fare? Che strumenti mettere in campo? Quali accorgimenti tecnici per costruire una scultura volante?

Illustrazione tratta da Aerocene Journal

Inizialmente è stato importante analizzare l’identità e le caratteristiche del Museo Aero Solar nell’esperienza artistica di Tomás Saraceno. Una lecture introduttiva con gli studenti di IED ci ha permesso di affrontare l’aspetto concettuale e le necessità tecniche. La discussione ci ha portato velocemente al quesito più importante: come realizzare un Museo Aero Solar in città? Come comunicarlo? Come coinvolgere le persone nelle diverse fasi?
È partita una ricerca che ha portato allo sviluppo di una grafica unitaria declinata in cartoline, flyer e poster da distribuire nelle biblioteche, nelle scuole, nelle università e nelle accademie. La comunicazione doveva veicolare tre aspetti fondamentali: far conoscere il progetto, incentivare la raccolta di sacchetti di plastica e invitare al grande workshop finale di assemblaggio e volo.

Incontro con gli studenti IED Firenze per progettare il raccoglitore e sviluppare la comunicazione

Utilizzando la stessa immagine coordinata abbiamo lavorato al progetto di un grande raccoglitore che i visitatori della mostra avrebbero usato per lasciare i loro sacchetti di plastica usati. Mentre gli studenti lavoravano alla produzione di tutti questi materiali abbiamo sempre mantenuto un filo diretto con lo studio di Tomás Saraceno per rispettare le linee guida della loro comunicazione. Il workshop al Parco delle Cascine sarebbe stato il tassello finale e per arrivare preparati avevamo organizzato un test per assemblare i sacchetti secondo le indicazioni ricevute. Avevamo messo in piedi una fitta rete di attività concatenate tra loro, coordinate dal Dipartimento Educazione in stretta collaborazione con un attento gruppo di docenti e studenti IED.

Raccoglitore dei sacchetti per il Museo Aero Solar collocato in un ambiente di Palazzo Strozzi

Era appena partita la mostra, i primi sacchetti erano apparsi nel raccoglitore, quando Palazzo Strozzi ha chiuso insieme a tutti gli altri luoghi espositivi non solo italiani.
Addio al Museo Aero Solar? Sì, ma solo nel suo formato fisico.
Sono ripartiti gli incontri di progettazione condivisa e abbiamo elaborato una nuova strategia: abbiamo pensato che sarebbe stato interessante trasformare quel senso di appartenenza in un progetto online, adatto ai tempi di distanziamento sociale. Così come i visitatori di Palazzo Strozzi avrebbero contribuito con i loro sacchetti di plastica a formare una comunità, oggi ognuno può prendere parte al progetto con una riflessione o un’immagine attraverso questa pagina.
Tutto parte da qui: quali idee abbiamo per il futuro? Raccogliamo pensieri, discutiamone e facciamoli volare metaforicamente; dall’alto si ha un’altra prospettiva che permette di trovare nuove soluzioni al nostro modo di vivere.

Il progetto è stato possibile grazie alla collaborazione con IED Firenze, l’infaticabile lavoro di Alessandra Foschi coordinatrice del corso Comunicazione pubblicitaria, Cecilia Chiarantini coordinatrice del corso Interior Design, i consigli e l’esperienza dei docenti Marco Innocenti, Luca Parenti e Francesco Toselli e una grande squadra di lavoro formata dagli studenti Edoardo Bartoli, Fiamma Batini, Damiano Boragine, Sara Cabrini, Livia Ceccarelli, Lorenzo D’ Elia, Camilla Giachi, Serena Grazia, Eva Lazzeri, Davide Lichen Lu, Mariasole Monaci, Pietro Niccolini, Liliana Parlato, Alessio Pezzi, Davide Pisoni, Lisa Purini, Martina Oliva, Zössmayr Sebastian, Irene Spalletti, Taeko Shinjo, Eulalia Talamo, Luca Varricchio, Carlotta Zandon.

Vedi anche