Lavori in corso

“Cosa state facendo?” “E ora che i musei sono di nuovo chiusi su cosa lavorate?” “Che cosa fate tutti i giorni?” Queste sono solo alcune delle domande che ci sentiamo rivolgere in questo periodo. In realtà, ogni giorno, in presenza o da remoto, ognuno di noi a Palazzo Strozzi sta lavorando per portare avanti tanti progetti, alcuni destinati a compiersi nei prossimi mesi, altri che vedranno la luce negli anni a venire.

A un anno esatto dall’inizio della pandemia che ha cambiato il nostro mondo, come tutte le istituzioni culturali italiane ci ritroviamo nuovamente di fronte alla chiusura di mostre e musei, questa volta a intermittenza. Le conseguenze sul mondo dell’arte, e non solo, sono sotto gli occhi di tutti. Abbiamo dovuto adeguare i nostri programmi all’insegna della flessibilità, modificare la programmazione delle grandi mostre e delle attività quotidiane con i nostri visitatori, cambiare le modalità con cui interagiamo con ogni singola persona. L’abbiamo fatto negli ultimi dodici mesi con la riapertura della mostra Tomás Saraceno. Aria a giugno, sperimentando nuove forme di visita e di interazione con il nostro pubblico, e a dicembre con la grande installazione We Rise by Lifting Others di Marinella Senatore, che ci ha dato l’opportunità di ricreare un senso di comunità tra il fisico e il digitale. Abbiamo dato il meglio di noi, e continueremo a farlo.

Laboratorio famiglie durante la mostra Tomás Saraceno. Aria. Foto Giulia Del Vento.

Ogni giorno, tutto il nostro gruppo di lavoro è all’opera, da chi si occupa di comunicazione e promozione a chi elabora progetti educativi, da chi è impegnato sulle pubblicazioni e da chi gestisce gli spazi e gli allestimenti fino a chi sovrintende alla nostra amministrazione. Si lavora ai prossimi progetti espositivi e artistici, alle nuove modalità di dialogo con i nostri pubblici, all’analisi dell’anno che abbiamo da poco lasciato alle spalle. Sono attività che hanno da sempre caratterizzato il lavoro della nostra Fondazione, fin dalla sua nascita ormai quindici anni fa. Proprio in questo periodo stiamo dedicando ancora più attenzione ai piccoli dettagli, per poter offrire il meglio in un anno che si prospetta ancora difficile e ricco di sfide.

Le sale del piano nobile preparate per la mostra American Art 1961-2001. Foto Matthias Favarato.

Per questo 2021 stiamo lavorando – anzi, siamo in dirittura d’arrivo – nella preparazione di American Art 1961-2001. I lavori per l’allestimento delle sale sono già quasi terminati: i nostri spazi sono in attesa di accogliere le opere in arrivo dal Walker Art Center di Minneapolis e i futuri visitatori che potranno così scoprire una straordinaria selezione di opere che testimoniano la storia dell’arte americana, da Andy Warhol a Kara Walker. Insieme alla mostra, stiamo predisponendo un ricco public program, con appuntamenti fisici e online, che permetterà di far conoscere a fondo i grandi artisti esposti ma anche questi quarant’anni di storia. In parallelo, il nostro direttore Arturo Galansino e il curatore Joachim Pissarro continuano a lavorare alla grande mostra Jeff Koons. Shine, in calendario per il prossimo autunno.

Andy Warhol, Sixteen Jackies (det.), 1964, Collection Walker Art Center, Minneapolis© The Andy Warhol Foundation for the Visual Arts Inc.

La nostra attività, tuttavia, non si ferma qui. Ci sono molti altri progetti e fondamentali spazi del palazzo sono interessati da importanti interventi, come la nostra biglietteria, che sarà più accogliente e luminosa e allo stesso tempo adeguata alle nuove necessità dettate dalle regole di distanziamento. Ma stiamo lavorando anche per i prossimi anni. Per rispettare l’alternarsi a Palazzo Strozzi di mostre di arte moderna, contemporanea e di cosiddetti “old masters”, per la primavera del 2022 stiamo organizzando una straordinaria esposizione su uno dei più amati artisti del Rinascimento fiorentino. Infine, non mancano molti giorni a un grande appuntamento che vedrà protagonisti gli spazi pubblici del Palazzo: una sorpresa che sicuramente lascerà un segno per il forte significato e l’impatto visivo dell’intervento.

Ecco perché alla domanda “cosa state facendo?” rispondiamo: “stiamo lavorando per voi!”.

Le sale del piano nobile preparate per la mostra American Art 1961-2001. Foto Matthias Favarato.

In copertina: il cortile di Palazzo Strozzi. Foto Alessandro Moggi.

La forma del futuro

Ripensami tra 20 anni ripensami, Foto di Mouhamed Yaye Traore

di Alessio Bertini

Per molti il 2020 è stato un anno vissuto in sospensione. Sospensione del lavoro, delle scadenze, dei viaggi, delle relazioni. In attesa di ritrovare la quotidianità sottrattaci dalla pandemia facciamo i conti con uno sfasamento che influisce sulla nostra capacità di vivere il presente e immaginare il futuro.

Sebbene l’emergenza sanitaria abbia riguardato tutti indistintamente, giovani e giovanissimi hanno subito i suoi effetti proprio nel momento in cui l’individuo inizia a esplorare il mondo oltre lo spazio domestico. Sappiamo ancora poco delle ripercussioni che tutto ciò avrà sulla loro generazione.

È pensando a questo contesto che Palazzo Strozzi sta portando avanti – in collaborazione con enti e amministrazioni di tutto il territorio toscano – una serie di laboratori guidati da artisti e dedicati a ragazze e ragazzi tra gli 11 e i 17 anni. Questo programma, Artisti vagabondi, nasce all’interno di Vagabondi efficaci. Seminare cultura per crescere insieme­­­­­­, il progetto dedicato al contrasto della povertà educativa finanziato dall’impresa sociale Con i Bambini e che riunisce un ampio partenariato coordinato da Oxfam Italia.

Un momento di attività presso Officina Giovani a Prato. Foto di Mouhamed Yaye Traore
Un momento di attività presso Officina Giovani a Prato. Foto di Mouhamed Yaye Traore

Il progetto, avviato nel 2018, nasceva con l’ambizione di realizzare in tre anni centinaia di attività in tutta la Toscana, proponendo laboratori interdisciplinari di 12 o 20 ore da realizzare in ambito scolastico ed extrascolastico. La programmazione ha però dovuto fare i conti con l’epidemia di COVID-19, che non ha solo limitato lo svolgimento di attività in presenza, ma ha posto di fronte la necessità di interpretare diversamente gli obiettivi dell’azione, mettendo le risorse umane e finanziare al servizio di un contesto radicalmente mutato.

In un nuovo scenario segnato da paure, insofferenza, spaesamento e dal distanziamento sociale, Palazzo Strozzi ha creato una serie di occasioni per permettere ad adolescenti residenti in diverse aree della Toscana di incontrarsi e di riflettere su questo momento storico per darne una rappresentazione. Il tutto, nel rispetto delle norme sanitarie e nonostante le sfide organizzative che hanno comportato.

Grazie all’aiuto di artisti come Jacopo Natoli e Danilo Innocenti del collettivo Sgorbio, e di Cristina Pancini, abbiamo ideato dei laboratori articolati in varie giornate di attività per stimolare nei partecipanti una risposta attiva a un tempo avverso. Con Sgorbio abbiamo organizzato un centro estivo nella splendida cornice del Parco Vivo di Castiglion d’Orcia, dove l’esperienza è stata dedicata al rapporto con la natura, riscoperto e riconfigurato grazie a un approccio artistico.

Attività presso il Parco Vivo di Castiglion d’Orcia. Foto di Jacopo Natoli e Danilo Innocenti
Attività presso il Parco Vivo di Castiglion d’Orcia. Foto di Jacopo Natoli e Danilo Innocenti

Jacopo Natoli e Danilo Innocenti hanno dato vita, insieme a un gruppo di under 15, a una «situazione di autoapprendimento» resa secondo i due artisti «ancora più sorprendente dal fatto che, invece che in uno spazio votato all’educazione come l’aula scolastica, sia successo tutto in un bosco». Il risultato concreto di questa esperienza di conoscenza dell’ambiente – e di sé – è stata la produzione di strumenti musicali realizzati con materiali trovati tra alberi e cespugli. Si tratta di un obiettivo che possiamo leggere come il pretesto per attivare un processo ben più importante e cioè, come dice Jacopo, «il fatto che potessimo creare degli strumenti musicali nel bosco senza che nessuno, nemmeno chi conduceva l’attività, avesse un’esperienza in ciò. Facevamo tutti cose che non sapevamo fare».

Attività presso Officina Giovani a Prato. Foto di Mouhamed Yaye Traore
Attività presso Officina Giovani a Prato. Foto di Mouhamed Yaye Traore

La proposta di Cristina Pancini si è sviluppata nei mesi autunnali e invernali, prima a Prato, presso Officina Giovani, e poi a Figline Valdarno negli spazi del Centro diurno EOS. Ripensami tra 20 anni ripensami è un’attività dedicata alla possibilità di immaginare se stessi nel futuro: un immaginario che la pandemia ha decisamente complicato.

In entrambe le occasioni i partecipanti, tra i 12 e i 17 anni di età, hanno dato forma e voce a ciò che non si può vedere né conoscere: il mondo nell’anno 2040. La difficoltà e il valore di questo lavoro emergono dalle paroledell’artista sul progetto: «In questi giorni così precipitosamente violenti tremiamo, ma proviamo a ritrovarci: alcuni si sentono spaesati, molto spaventati; altri pensano che un pessimismo così diffuso sia esagerato, almeno quanto l’ottimismo di ieri; altri si arrabbiano; altri ancora preferiscono pensare ad altro… Tra tutte, emergono delicate e chiare alcune voci, quelle di chi sente forte il bisogno di prendersi cura del presente e si chiede: Come saremo tra qualche anno? Come vogliamo essere? Cosa possiamo fare?».

Queste domande sono state rivolte dall’artista a chi ha l’età giusta per immaginarsi protagonista di quel futuro: ragazze e ragazzi nei primi anni delle scuole superiori, provenienti da contesti territoriali e familiari diversi, talvolta anche difficili, ma accomunati dagli stessi interrogativi verso il tempo che verrà. Attraverso conversazioni con l’artista, esercizi di rappresentazione, piccole indagini sociali che hanno coinvolto i passanti, ogni partecipante è riuscito a visualizzare, scrivere e illustrare le paure e i desideri che collega al proprio futuro, partendo dalle difficoltà e dalle gioie che già conosce.

Uno degli elaborati esposti all’evento conclusivo dell’attività di Figline Valdarno. Foto di Alessio Bertini
Uno degli elaborati esposti all’evento conclusivo dell’attività di Figline Valdarno. Foto di Alessio Bertini

In alcuni casi sono emerse fragilità, dolori, insicurezze e piccole crepe nel percorso di crescita che sono difficili da raccontare con leggerezza. Non è semplice chiedere a una persona di aprirsi con onestà su questioni tanto delicate. Per questo motivo nella seconda edizione dell’attività a Figline i partecipanti hanno scritto i pensieri con inchiostro bianco su carta bianca: uno stratagemma utile per far percepire a chi legge la profondità di certi contenuti, la difficoltà con cui sono affiorati, la loro non gratuità. I documenti sono stati esposti al pubblico in occasione di un evento finale, un momento fondamentale per il funzionamento di tutta l’esperienza. Alcune ragazze del gruppo di Figline non si sono presentate, preferendo che fossero le parole scritte con il bianco e lette in controluce a parlare per loro. Tutti però hanno firmato un contratto che li impegna simbolicamente a ritrovarsi tra vent’anni per verificare insieme quante di quelle previsioni si saranno avverate. Nel frattempo, tutti i testi rimarranno sigillati in un’urna conservata nelle biblioteche e negli archivi della città in cui sono stati scritti. Fino al 2040.

Il contratto che lega i partecipanti del progetto. Foto di Alessio Bertini
Il contratto che lega i partecipanti del progetto. Foto di Alessio Bertini

Per la realizzazione di Manifesto Ergo Vivo a Castiglion d’Orcia si ringraziano il Teatro Povero di Monticchiello e Parco Vivo di Vivo d’Orcia.

Per la realizzazione di Ripensami tra 20 anni ripensami si ringraziano il Comune di Prato, il Teatro Povero di Monticchiello, il consorzio E.Co, la cooperativa L’inchiostro, gli educatori Marianna Di Rosa e Antonio Filippone che hanno condotto le attività insieme all’artista.

In copertina: Attività nel centro storico di Prato in occasione di Ripensami tra 20 anni ripensami. Foto di Mouhamed Yaye Traore

“Persone che attivano altre persone”

di Arturo Galansino

Dal 3 dicembre, grazie alla grande installazione di Marinella Senatore We Rise by Lifting Others, il cortile di Palazzo Strozzi torna a essere una piazza viva, un luogo di partecipazione e coinvolgimento. Durante questi giorni sono migliaia le persone che fotografano e condividono sui social network punti di vista, interpretazioni, visioni dell’opera di Marinella, alimentando una riappropriazione personale dello spazio di Palazzo Strozzi attraverso la fruizione di un’opera che ci propone, nel cortocircuito estetico con la forma della luminaria, frasi che richiamano all’empowerment individuale e collettivo.

Marinella pone alla base del suo lavoro le connessioni sociali che, innestate nel tessuto di una comunità, sono attivate con processi di partecipazione e di condivisione. Nel corso della sua carriera, i suoi progetti hanno coinvolto milioni di persone, da Venezia a Palermo, da New York a Johannesburg attraverso diverse modalità e dispositivi. A Firenze per Palazzo Strozzi, in un momento storico segnato dal distanziamento sociale, parte essenziale del progetto è stata la progettazione di workshop digitali che permettessero di unire le persone in una nuova idea di condivisione: non una trasposizione online di un’esperienza dal vivo, ma una forma nuova concepita appositamente per la dimensione digitale a distanza. Le frasi inneggianti all’idea di comunità e di sostegno reciproco dell’installazione del cortile sono un punto di partenza per i laboratori, pensati come un ulteriore livello di attivazione delle persone nel dibattito, nello scambio e nell’espressione di sé.

Marinella Senatore, The School of Narrative Dance, Johannesburg, 2019, Photo Stella Olivier. Courtesy the artist.

I workshop si concentrano sull’uso del corpo per una narrazione non verbale di idee, riflessioni e punti di vista: ogni persona diviene protagonista attiva ed è chiamata a seguire e interpretare le indicazioni coreografiche che nascono dal dialogo con l’artista e con le sue collaboratrici, le coreografe Elisa Zucchetti e Nandhan Molinaro, membri del collettivo berlinese ESPZ. Sono oltre 150 i partecipanti ai workshop, suddivisi in cinque gruppi di lavoro: studenti, educatori, utenti di centri diurni, detenuti, artisti e tante altre persone che negli ultimi anni hanno partecipato a varie iniziative di Palazzo Strozzi, che sono entrate a far parte della nostra comunità. A queste si aggiunge un sesto gruppo di soli quindici partecipanti, formato da ospiti di RSA, persone con Alzheimer in compagnia dei loro carer e familiari, persone che stanno vivendo con maggiori difficoltà i periodi di confinamento che hanno caratterizzato questo lungo 2020.

I partecipanti, tranne poche eccezioni, non hanno confidenza con la danza e questo tipo di workshop porta con sé una specifica sfida: utilizzare il corpo in movimento di fronte a uno schermo. Sono proposti piccoli esercizi di riscaldamento che si concentrano su azioni specifiche: respirare correttamente, liberare la mente, muovere una mano o un piede immaginando di avere una matita.

Gli esercizi permettono ai partecipanti di prendere confidenza con il movimento e con lo spazio. Il corpo diventa espressività, il mezzo per connettersi al proprio luogo fisico ma anche oltre lo schermo. Le coreografie nascono dall’interpretazione personale dei partecipanti di concetti e idee emerse dalla discussione con l’artista, e i singoli movimenti diventano espressione visiva e dinamica di un pensiero complesso.

Nella relazione tra partecipanti mediata dallo schermo del computer, e dalle tante “finestre” aperte su singoli mondi privati, l’immagine dei diversi partecipanti arriva così a restituire un’impressione di presenza quasi più forte, più libera e più efficace di quanto possa fare la sola dimensione verbale. I corpi incasellati nella griglia di Zoom danno forma a un movimento di insieme, fatto di assonanze e dissonanze, poetico e libero anche in virtù della sua spontaneità.

La libertà è un aspetto fondamentale dell’attività. «Forse è più semplice ballare davanti a un video che insieme a tanta gente, nel comfort della propria casa uno forse si sente più libero, più a suo agio», afferma infatti una delle partecipanti, Rossana. Ed è proprio la casa, la stessa in cui abbiamo passato la maggior parte del tempo in quest’ultimo anno, che dà un senso di sicurezza tale da permettere anche a chi non ha esperienza di proporsi liberamente in passi di danza di fronte a sconosciuti.

Gli esercizi coreografici permettono di dare sostanza a forme del pensiero che la sola parola non può permettere e riescono a creare comunità, adesione, aggregazione. Come afferma una partecipante, Lucia: «È stato un momento intenso. Mi sto regalando dei momenti per me, insieme a voi; è questa la cosa bella e importante. Anche se abbiamo un video, però vi sento, è come avervi qui. È incredibile come pensiamo tutti che il video e le cose digitali siano fredde e invece non lo sono». Nella dinamica coreografica ideata da Marinella fondamentale è infatti la dimensione del presente, del “qui e ora”, in cui le sue indicazioni ai partecipanti servono come stimoli e non come istruzioni, andando a favorire l’emancipazione affinché ciascuno di appropri delle indicazioni dell’artista in modo autonomo e libero.

Parole come quelle di Lucia testimoniano come un’esperienza possa includere persone con provenienza e abilità diverse per dare forma attraverso l’arte a quella comunità plurale e variegata che è al centro del lavoro dell’artista. Fine ultimo dell’attività non è infatti solo mettere in comunicazione persone diverse. Come sempre nel suo lavoro, Marinella attua un principio di “cura” delle persone e tra le persone, portando avanti una forma di arte partecipativa realmente aperta, entropica e permeabile, che di principio elude schemi aprioristici mirando all’ascolto e alla ricezione, sollecitando una attiva e libera creazione di relazioni e dinamiche umane e sociali. Le connessioni virtuali che si vengono a creare durante i workshop hanno uno spessore emotivo tangibile, forte, capace di attraversare la distanza imposta dallo schermo e le diverse capacità e possibilità di comunicazione di ognuno. Ed è in questo senso che persone con Alzheimer collegate da una RSA o dalla propria casa o detenute collegate dal carcere di Sollicciano diventano parte del progetto, protagonisti liberi, attivi, chiamati a un contributo individuale nella creazione di quest’opera collettiva.

Gli ultimi incontri del workshop sono previsti per la prima metà di gennaio. Si tratterà di un ultimo e fondamentale passaggio prima che l’artista possa dare forma a una restituzione che farà tesoro di tutte le attività svolte. Questa restituzione non sarà un punto di arrivo, bensì l’inizio di una ulteriore relazione con tutto il pubblico. Come dice la stessa Marinella Senatore: «Pensarsi comunità significa anche questo: persone che attivano altre persone. Pur non entrando in contatto direttamente, le istanze di ognuno di noi, nelle mani degli altri, filtrate da diverse memorie, autobiografie, desideri e pensieri, verranno portate a un risultato completamente diverso».

In copertina: Marinella Senatore, We Rise by Lifting Others, Installation view, Palazzo Strozzi, Florence, 2020. © Photography by Ela Bialkowska, OKNOstudio

Voci che uniscono

di Irene Balzani e Nicoletta Salvi

La fruizione di un’opera d’arte sollecita facoltà sensoriali e aree motorie diverse: quando osserviamo un quadro, una scultura, un’installazione o un video non solo i nostri occhi ma tutto il nostro corpo è coinvolto e attivato. È su questo principio che si basa Corpo libero, progetto della Fondazione Palazzo Strozzi dedicato all’inclusione delle persone con Parkinson nato grazie al confronto con le esperienze di Dance Well della Città di Bassano del Grappa e del Centro Parkinson di Villa Margherita (Kos Care) di Vicenza, con il supporto del Fresco Parkinson Institute.

In occasione di ogni mostra è organizzato un calendario di appuntamenti condotti da educatori museali e insegnanti di danza che propongono la sperimentazione di varie forme di relazione con l’arte. La parola e il linguaggio corporeo diventano modalità per esplorare le opere esposte nelle sale di Palazzo Strozzi, che costituiscono il punto di partenza dell’esperienza.

Attraverso la danza si entra in relazione con le opere esposte e si crea un dialogo con gli altri partecipanti fatto di gesti e azioni. Ogni movimento è un modo per comunicare e un potente mezzo per costruire un gruppo che ogni volta si è fatto più unito fino a diventare una vera “collettività danzante”. Studi medici come quelli del dottor Daniele Volpe hanno dimostrato come la danza aiuti le persone con il morbo di Parkinson producendo un impatto positivo sul sistema neurologico e sulle prestazioni fisiche toccate dalla malattia. Il progetto Corpo libero parte da ciò sfruttando l’arte come strumento di espressione per lasciarsi andare, ognuno con le proprie fragilità. Sebbene con una prerogativa strettamente creativa e non terapeutica, Corpo libero, nelle parole di uno degli stessi partecipanti, diviene “un’eccezionale risposta di libertà a un corpo che tenderebbe sempre più a imprigionarmi”.

Corpo Libero, performance per la mostra Natalia Goncharova. Foto Giulia Del Vento

Abbiamo incontrato le sculture del Verrocchio, osservato i quadri di Natalia Goncharova, vissuto le performance di Marina Abramović. Questi incontri sono stati occasioni per ridurre l’isolamento che può essere conseguenza della malattia, nel confronto con gli altri partecipanti e con altri visitatori. Osservare e produrre gesti e azioni ha suggerito nuovi possibili modi di avvicinarsi all’arte. E anche per questo a conclusione di ogni esposizione è stata organizzata una performance pubblica nelle sale: azioni a coppie o collettive vivevano in stretto dialogo con le opere esposte, mentre la forza del gruppo aumentava nel sostenersi a vicenda fino quasi a respirare insieme come un unico organismo.

Con le restrizioni imposte dall’attuale emergenza sanitaria, Corpo libero ha dovuto trovare una nuova forma che permettesse di rimanere connessi gli uni agli altri e garantisse una continuità nella pratica della danza. Attraverso un gruppo WhatsApp appositamente creato, Corpi liberi – a casa, sono stati condivisi contenuti legati alla mostra di Tomás Saraceno, che ancora nessuno aveva avuto modo di vedere, e pratiche di danza. È stato scelto come formato l’audio, che, rispetto al video, apre a una maggiore libertà interpretativa da parte di chi ascolta.

Il distanziamento ha richiesto di trovare una modalità alternativa a un’esperienza che fino a quel momento era incentrata sul contatto, sulla presenza fisica e sulla dimensione corale, una nuova strada che possa mantenere salde le due anime del progetto: l’arte e la danza, da esperire ognuno nella propria casa. In questa nuova dimensione domestica, come ha detto Laura Scudella, una delle insegnanti di danza del gruppo Corpo libero, è stato fondamentale “percepire l’assenza dell’opera come un arricchimento della nostra sfera immaginativa e come un riconoscimento della possibilità di fraintendimento”.

Settimana dopo settimana la modalità audio è diventata più familiare e gli esercizi proposti hanno rotto simbolicamente l’isolamento cui tutti eravamo costretti. Partecipare insieme, anche se a distanza, ha aumentato il senso di appartenenza e ha unito il gruppo in modo nuovo.

Un incontro di Corpo Libero per la mostra Verrocchio, il maestro di Leonardo. Foto Giulia Del Vento

Il 17 settembre è stato possibile incontrarci di nuovo in presenza nel cortile di Palazzo Strozzi sotto l’installazione Thermodynamic Constellation di Tomás Saraceno. Ritrovarsi ha significato sperimentare un nuovo modo di stare insieme, pur mantenendoci a distanza: nascondere i sorrisi dietro alle mascherine, cercare negli sguardi le emozioni e quindi prestare ancora più attenzione ai gesti propri e altrui.

Il contatto fisico crea vicinanza e relazione ed è simbolo di rispetto e ascolto reciproco. Permettere ad altri di entrare nel proprio spazio significa affidarsi, secondo un processo graduale. Il Covid-19 ha bruscamente interrotto questo percorso e ha cambiato le nostre percezioni: toccarsi e stare vicini sono diventati qualcosa di potenzialmente pericoloso. Per questo motivo anche in presenza è stato necessario trasformare le modalità di interazione, evitando contatti ravvicinati ma continuando lo stesso a “toccare” gli altri in modo nuovo. Le installazioni di Saraceno ci hanno aiutato in questa delicata fase di transizione in quanto parlano, coinvolgono emotivamente, attivano reazioni profonde anche attraverso la distanza che intercorre con l’osservatore e secondo un’idea di interazione che non si basa sul contatto fisico: gli intrecci di sguardi negli specchi di Connectome; le Tillandsie di Flying Gardens che vivono appoggiate su altre piante senza danneggiarle, i grovigli di segni di luce e ombra delle tele dei ragni.

Oggi, 25 novembre 2020, celebriamo la giornata nazionale del Parkinson con la restituzione pubblica della nuova dimensione del progetto nata in occasione della mostra Tomás Saraceno. Aria. Riprendendo il formato che aveva caratterizzato i mesi del lockdown, è stato chiesto a ciascun partecipante di condividere la suggestione più evocativa, il ricordo più vivido, la sensazione più forte lasciata dall’arte di Tomás Saraceno attraverso una traccia audio. Come nelle ragnatele collettive della sala Webs of At-tent(s)ion, tutte le voci sono state unite in un’unica composizione, Ensemble. Questa condivisione vuole superare i confini della mostra e di Palazzo Strozzi, poiché è pensata per essere ascoltata, interpretata o trasformata in gesto e movimento da chiunque la senta. Ensemble non vuole solo raccontare un’esperienza vissuta ma desidera farne vivere una nuova, trasportando altre persone nei mondi esplorati dai partecipanti di Corpo libero.

Corpo Libero: together again, 17 settembre 2020, in occasione della mostra Tomás Saraceno. Aria. Foto Giulia Del Vento

Ensemble fa parte del palinsesto della giornata nazionale del Parkinson organizzata da Dance Well in diretta sulla pagina Facebook di Dance Well. Il programma in dettaglio è consultabile alla pagina dell’evento.

Le voci di Ensamble sono di: Fiora, Giorgio, Raniero, Marco, Lavinia, Cristina, Ginevra, Valentino, Nicoletta, Chiara, Irene, Ada, Azzurra, Laura, Fabio, Ilaria, Maho, Amina, Nicoletta, Enzo, Alessandro, Alessandro, Margherita, Laura.
Montaggio audio a cura di Carola Haupt
Musiche: Kai Engel, Ketsa, Blue Dot Sessions (released under CC BY-NC 4.0)

In copertina: Corpo Libero: together again, 17 settembre 2020, in occasione della mostra Tomás Saraceno. Aria. Foto Giulia Del Vento

Un pianeta in stato di allarme

In esclusiva per Palazzo Strozzi, il direttore artistico del Festival dei Popoli Alessandro Stellino condivide un approfondimento sulla sezione HABITAT dell’edizione 2020: una anticipazione al programma di quest’anno e uno stimolo di ulteriore riflessione su temi centrali della nostra contemporaneità.

Il cinema documentario si interroga da sempre sul rapporto tra l’essere umano e l’ambiente che lo circonda. Fin dalle origini, l’atto di filmare corrisponde con l’idea di plasmare un universo spaziale, definendo la dimensione del visibile e il campo dell’invisibile. In questo senso, il cineasta è quasi un geografo: l’inquadratura segna i limiti di uno spazio fisico all’interno del quale si muovono i corpi, si definiscono dimensioni e si misurano le distanze, ma soprattutto si registrano tutti quei movimenti non tangibili, la cui traccia sul paesaggio solo si può scorgere nel loro divenire: trasformazioni sociali, interazioni culturali, trasmissioni di conoscenze.

Juliette Guignard, Middle earth, 2020

Queste tensioni che pulsano ai bordi dell’immagine sono oggi materia di assoluta urgenza che condiziona le nostre esistenze. La sezione HABITAT del Festival dei Popoli si fa carico di restituire una prospettiva plurale su un pianeta in stato di allarme, offrendo un panorama più ampio possibile sui temi del vivere contemporaneo in relazione all’ecosistema, all’evoluzione tecnologica e alle trasformazioni in atto in ambito geo-politico. In un 2020 caratterizzato dalla pandemia e dalle sue ripercussioni su scala mondiale, appare sempre più necessario portare all’attenzione del pubblico una questione fondamentale come il rapporto dell’essere umano con l’ambiente naturale. Una problematica che tocca le nostre corde più profonde, giacché da essa dipendono la sopravvivenza del pianeta e delle specie che lo popolano. Lo illustra in maniera chiara e terribile un film come Icemeltland Park di Liliana Colombo, un viaggio lungo la Terra del Fuoco in cui un gruppo di turisti assiste dal vivo allo scioglimento dei ghiacciai, esultando ogni volta che un pezzo si stacca dalla parete. I cambiamenti irreversibili sul paesaggio provocati dall’innalzamento delle temperature globali si fanno una forma di spettacolo per un’umanità incurante di fronte allo spettro della propria estinzione.

I film che compongono la selezione tracciano un percorso in grado di restituire una prospettiva globale, offrendo voci e sguardi diversi sullo sfondo delle emergenze legate al cambiamento climatico. Da questi affiora un’urgenza comune: la necessità di prendere una posizione per far fronte alla disgregazione delle comunità. Un gesto che si può tradurre in un’azione individuale o può manifestarsi sotto forma di risposta collettiva, in un cammino che tuttavia non è esente da insidie e complicazioni, offrendo allo spettatore un interrogativo cruciale: che cosa si è disposti a sacrificare pur di rimanere coerenti con i propri ideali? Questo il quesito al centro di Journey to Utopia di Erlend E. Mo, protagonisti il regista stesso insieme alla moglie Ingeborg: afflitti dalle preoccupazioni relative ai cambiamenti climatici e al mondo che potrebbero lasciare in mano alle generazioni future, si trasferiscono dalla Norvegia alla Danimarca per abitare in un eco-villaggio autosufficiente che però non si dimostrerà luogo ideale per risolvere le problematiche della coppia.

Maciej Cuske, The Whale from Lorino, 2019

La lotta per la sopravvivenza, declinata in forme eterogenee, si spinge dalle città alle campagne, arrivando fino alle realtà più remote, dove la dimensione ancestrale convive con le complessità e le contraddizioni del contemporaneo. In The Whale From Lorino, ambientato in un remoto villaggio di pescatori nell’estremo nord-est della Siberia, si pratica ancora la caccia alle balene, che non è solo retaggio di una tradizione tribale ma un’indispensabile garanzia di sopravvivenza per la piccola comunità. La Terre du milieu ci porta nella Creuse francese, dove Camille ha deciso di lavorare la terra e crescere i tre figli, alla ricerca di una forma di vita differente basata su metodi di coltivazione lontani dagli standard agricoli che costringono i piccoli produttori locali a vivere di sussidi statali. Express Scopelitis racconta l’eroica storia di una imbarcazione e del suo capitano che, ormai da un trentennio, fa la spola all’interno dell’arcipelago delle Cicladi garantendo ad abitanti e turisti una mobilità e uno scambio che altrimenti sarebbe impossibile. The Perimeter of Kamsé è ambientato in un piccolo villaggio in Burkina Faso dove un gruppo di abitanti deciso a combattere la siccità e la mancanza di acqua porta avanti un progetto innovativo ed ecologico di irrigazione, per far rinascere il villaggio e spingere a tornare coloro che sono emigrati.

Olivier Zuchuat, The Perimeter of Kamsé, 2020

Evento speciale di HABITAT sarà l’omaggio a una comunità che ha fatto del cinema documentario il proprio ambiente naturale: The Grocer’s Son, the Mayor, the Village and the World… di Claire Simon, girato nel piccolo villaggio rurale di Lussas, sede degli storici États généraux du film documentaire, evento cinematografico che da oltre trent’anni anima il territorio dell’Ardèche trasformandolo in una vera e propria finestra sul mondo. Un inno sincero alla cultura come forma di resistenza, risorsa fondamentale per la sopravvivenza di ogni eco-sistema.

In copertina: Erlend Eirik Mo, Journey to Utopia, 2020

Festival dei Popoli – Festival Internazionale di Cinema Documentario
61esima edizione
15 – 22 novembre 2020
I film saranno visibili in streaming dall’Italia fino al 29 novembre
https://www.mymovies.it/ondemand/schermodellarte
Abbonamento standard € 9,90

Doc at Work – Future Campus 
Spazio dedicato ai migliori film realizzati dai nuovi talenti del cinema documentario provenienti da prestigiose scuole europee.
26 – 29 novembre 2020
I film saranno visibili in streaming dall’Italia fino al 1° dicembre
https://www.mymovies.it/live/piucompagnia/
Streaming gratuito

Il Festival dei Popoli, fondato nel 1959 da un gruppo di studiosi di scienze umane, antropologi, sociologi, etnologi e mass-mediologi, è il più importate festival di cinema documentario in Italia e il più antico in Europa.
Nel corso degli anni, il Festival dei Popoli ha ospitato grandi maestri del cinema come Jean Renoir, Jean-Luc Godard, John Cassavetes, Ken Loach, Nagisa Oshima, Lindsay Anderson, Aleksandr Sokurov, Jørgen Leth, Peter Mettler, Raymond Depardon, Sergei Loznitsa, Danielle Arbid, Roberto Minervini, Gianfranco Rosi.
http://www.festivaldeipopoli.org/

Sullo Schermo dell’arte e altre considerazioni in tempi incerti

Direttrice dello Schermo dell’arte – Festival di cinema e arte contemporanea, Silvia Lucchesi porta una riflessione sul festival di quest’anno, arrivato alla sua XIII edizione, che ha dovuto necessariamente reagire alla situazione attuale spostandosi in una nuova dimensione online.

Esterno giorno. Campagna. Bianco/nero. Primo piano di un uomo anziano. Un viandante, impermeabile stropicciato, sciarpa, borsa a tracolla, si muove vacillando in una strada secondaria alberata. Appoggiate al suolo delle tubazioni industriali, un impianto idrico a cielo aperto, deturpano il paesaggio. Appare la scritta 2020. L’inquadratura si sposta sui piedi dell’uomo. Sta camminando sopra a quei brutti lunghi cilindri metallici in equilibrio precario. Che ci fa quell’uomo in questa improbabile situazione, al limite dell’assurdo? Appare un titolo: A Metaphor. L’uomo sembra quasi divertirsi come quando da ragazzini si saltava, accorti, di pietra in pietra evitando di sfiorare le intersezioni tra queste. Chi non l’ha mai fatto? Alla fine l’uomo desiste e sorridendo verso la telecamera torna a camminare con i piedi per terra. È l’ironica sigla che l’artista britannica Kasia Fudakowski ha realizzato per l’edizione 2020 dello Schermo dell’arte.

Ringrazio gli amici di Palazzo Strozzi che mi hanno chiesto di scrivere un testo sullo Schermo dell’arte per la piattaforma In Contatto. Come l’uomo del video di Kasia, anche tutti noi viviamo oggi un presente incerto e irregolare. E chi come me lavora nel campo dell’arte non può sottrarsi dal riflettere sull’esperienza di questo annus horribilis. Così, desidero approfittare di questo spazio non solo per dare informazioni sul programma della XIII edizione del festival. Voglio qui condividere un’esperienza di lavoro straordinariamente nuova in cui la velocità di reazione alla situazione fluida e inaspettata che stiamo sperimentando in questi mesi convive con la riflessione sui contenuti e sulle pratiche dell’arte che rimangono l’elemento centrale della proposta culturale.

Lo schermo dell’arte lavora tutto l’anno su differenti progetti. Cinema e arte contemporanea. Ma è il festival di novembre il momento in cui la nostra attività ha la maggiore visibilità e intensità. È un momento atteso dal pubblico. Si vivono le opere degli artisti che dalla realtà che ci circonda traggono le ragioni stesse del loro fare, elaborando in una forma estetica le suggestioni del tempo in cui siamo immersi. È l’occasione in cui una comunità di artisti e professionisti che lavorano con le moving images si incontra e scambia pensieri e riflessioni su nuovi progetti. Un festival ha una prospettiva dinamica e diacronica, accoglie il tempo, il suo trasformarsi, il suo succedere. È un’esperienza complessa in cui si intrecciano aggregazione sociale e arricchimento personale.


Rudolf Herz, Szeemann and Lenin Crossing the Alps, 2019. Courtesy l’artista

Il DPCM del 4 novembre ha decretato ulteriori restrizioni. Proprio adesso, mentre sto scrivendo, arrivano a raffica sulla mia casella di posta elettronica le notizie di annullamento, sospensione, rinvio, chiusura di tante attività previste che avrebbero dovuto svolgersi in questo periodo in musei e centri d’arte. Teatri, sale da concerto, cinema avevano già chiuso i battenti. Che dispiacere. Quanta amarezza.

All’espressione resistere preferisco reagire perché più che sopportare una condizione avversa, Lo schermo dell’arte 2020 agisce rispondendo con scelte consapevoli. Per esempio, oltre ai film in streaming, il programma prevede l’ampia proposta di contenuti dei Festival Talks, eventi trasmessi live con conversazioni e tavole rotonde con artisti e curatori perché, in questo anno così difficile, confrontarsi e lavorare insieme è questione ancor più essenziale. O la scelta di non interrompere il progetto VISIO rivolto a promuovere e sostenere la giovane generazione di artisti, certamente l’anello più debole e meno tutelato del sistema dell’arte, i più colpiti dalla interruzione delle attività culturali ed espositive. La mostra ad esso correlata, dal titolo quanto mai attuale Resisting the Trouble. Moving Images in Time of Crisis, è allestita e pronta ad accogliere i visitatori, appena sarà possibile, alla Manifattura Tabacchi.

Valentina Furian, 55, 2019, 1’53’’. Video installazione a due canali. Courtesy l’artista

Ma ci sono altre parole a cui sto pensando in questi tempi di semi-isolamento. 

Fruizione: basata sull’esperienza insostituibile della condivisione sociale della cultura, si è adesso spostata in rete, strumento la cui modalità di visione, al di là di ogni demonizzazione, si è straordinariamente espansa nei mesi della chiusura permettendo di aumentare l’accessibilità ai contenuti dell’arte.

Libertà: perché oggi gli artisti, e noi tutti con loro, abbiamo bisogno di tempo e spazio per recuperare, procedere e immaginare un futuro.

Curiosità: che nessun lockdown potrà mai spegnere. Quella che ci ha spinto a guardare tantissimi film per arrivare a costruire una proposta con opere scelte tra la recente produzione internazionale: da una parte gli artisti in quanto autori dei film, dall’altra gli artisti come soggetto di osservazione da parte del cinema. Tra gli oltre 40 film disponibili in streaming sulla piattaforma Mymovies.it che trattano temi di attualità, dalla violenza domestica all’omofobia, dalle politiche post coloniali al nazionalismo, dall’impatto della tecnologia sul quotidiano all’ecologia, vi sono rimandi e assonanze che lo spettatore anch’esso curioso potrà scoprire costruendo il proprio percorso di visione e trovando risposte al proprio desiderio di contemporaneità.

In copertina: still da video © Kasia Fudakowski

Lo schermo dell’arte – Festival di cinema e arte contemporanea
XIII edizione
diretto da Silvia Lucchesi
10 – 14 novembre 2020
I film saranno visibili in streaming dall’Italia fino al 22 novembre
https://www.mymovies.it/ondemand/schermodellarte
abbonamento standard € 9,90

Festival Talks Live Events
in streaming
http://www.schermodellarte.org/live-events-2020/
e sui canali Facebook dello Schermo dell’arte e di Manifattura Tabacchi

Resisting the Trouble – Moving Images in Times of Crisis
mostra a cura di Leonardo Bigazzi
prodotta con NAM – Not A Museum
Firenze, Manifattura Tabacchi
L’apertura prevista il 9 novembre è posticipata a causa delle restrizioni previste dal DPCM del 5 novembre

Lo schermo dell’arte è un progetto nato a Firenze nel 2008 dedicato all’esplorazione, all’analisi e alla promozione delle relazioni tra arte contemporanea, moving images e cinema. Tra gli artisti internazionali ospiti delle passate edizioni: Hito Steyerl, Isaac Julien, Omer Fast, Simon Starling, Alfredo Jaar, The Otolith Group, Phil Collins, Melik Ohanian, Adrian Paci, Sarah Morris, Shirin Neshat, Runa Islam, Roee Rosen, Yael Bartana, Hassan Khan, Peter Greenaway, Jeremy Deller.

www.schermodellarte.org

Tomás Saraceno: Una speranza per il futuro

di Arturo Galansino

Si è conclusa domenica 1° novembre 2020 Tomás Saraceno. Aria, la grande mostra dedicata a uno dei più originali e visionari artisti contemporanei del mondo, che con la sua straordinaria creatività ha trasformato Palazzo Strozzi in un luogo di partecipazione e condivisione, con opere talvolta impercettibili a volte monumentali e di forte impatto, simboli di una visione aperta e interconnessa col mondo, diventate fin da subito immagini iconiche, se non profetiche, per una riflessione sul nostro presente.

Nonostante la sospensione forzata di 3 mesi a causa dell’emergenza Covid-19, la mostra ha raggiunto un totale di oltre 60.000 visitatori, ponendosi come uno degli eventi culturali più importanti di Italia, ma anche come una originale occasione di riflessione sul mondo all’epoca del Coronavirus. In un momento di profonda crisi dei concetti di condivisione e socialità, Palazzo Strozzi si è trasformato in uno spazio di immaginazione e un luogo di ripartenza per una nuova idea di partecipazione creando un’esperienza totalmente inedita per i nostri visitatori per parlare di presente e futuri possibili, di connessioni e isolamento, di partecipazione e meditazione: riflessioni più che mai attuali per portare avanti nuove visioni di futuro e di realtà.

Tomás Saraceno, Aerographies, 2020. Installation view of Aria, Palazzo Strozzi, Florence, 2020. © Photography by Studio Tomás Saraceno

Nuove attività e nuove modalità di visita

Dopo la sospensione tra marzo e maggio, la riapertura della mostra il 1° giugno è stata accompagnata da una revisione delle modalità di fruizione degli spazi: oltre alle misure legate alle normative vigenti, è stata aumentata la segnaletica nel palazzo e potenziato il sistema di prenotazione degli ingressi online, consentendo una gestione fluida degli accessi ed evitando assembramenti agli ingressi. Novità della riapertura sono stati l’audioguida della mostra, gratuita e direttamente utilizzabile dal proprio cellulare (oltre 18.000 utilizzi unici), e lo speciale Kit digitale dedicato alle famiglie (che ha visto la fruizione di oltre 1.200 famiglie). A tutto ciò si è affiancato un ampio programma di eventi e attività in presenza e online che hanno permesso il ritorno a una fruizione di partecipazione e condivisione: laboratori per le scuole, le famiglie e per tutto il pubblico, visite guidate condotte dagli studenti dell’Università di Firenze, letture delle Carte da Aracnomanzia (circa 130 letture effettuate) e le attività di accessibilità, tra cui spicca il progetto Corpo libero, dedicato all’inclusione delle persone con il Parkinson, che ha trovato la sua ripartenza dagli spazi del Cortile di Palazzo Strozzi.

Corpo libero: together again, 17 settembre 2020, Palazzo Strozzi, Firenze. Foto Giulia Del Vento

Molte attività in presenza legate alla mostra (visite guidate, laboratori, conferenze) sono state proposte in versione online, altre sono state appositamente progettate solo per la dimensione digitale, consentendo una continuità sui progetti e mantenendo costante un’offerta rivolta a differenti target di pubblici che caratterizza da sempre lo spirito audience oriented di Palazzo Strozzi. La dimensione digitale ha permesso in alcuni casi di raggiungere nuovi pubblici e ampliare significativamente la partecipazione. Gli appuntamenti online, conferenze e lecture trasmesse sui nostri canali social, hanno registrato una copertura media di 8.000 visualizzazioni per appuntamento e sono stati seguiti in diretta da circa 800 persone.

Il nostro pubblico

Inevitabile è fare una riflessione sull’impatto che la pandemia ha avuto sulle caratteristiche dei visitatori della mostra. Fondamentale è stato il grande coinvolgimento del pubblico locale che ha rappresentato oltre il 50% dei visitatori della mostra, un dato che prova come Palazzo Strozzi rappresenti un punto di riferimento imprescindibile per la vita culturale di Firenze e dei suoi cittadini. Da segnalare tuttavia è anche come Palazzo Strozzi abbia mantenuto, nonostante le difficoltà del momento, un ruolo primario nella valorizzazione del nostro territorio come meta per il pubblico nazionale e come leva per la creazione di valore economico. Sono stati infatti oltre 30.000 i visitatori non locali, di cui oltre 20.000 si sono recati a Firenze appositamente per visitare la mostra. In generale si conferma altissimo il gradimento espresso dai visitatori, con il 97% del pubblico che si dichiara soddisfatto dell’esperienza.

Di grande partecipazione inoltre sono stati due appuntamenti speciali tenutisi nell’ambito della mostra. Dall’11 al 13 settembre 2020 si sono svolti gli ARIA DAYS,evento realizzato in collaborazione con Manifattura Tabacchi e Aerocene Foundation che ha coinvolto oltre 1000 partecipanti, diventati veri e propri “piloti” delle grandi sculture aerosolari ideate da Tomás Saraceno. Dal 15 al 18 ottobre 2020 si è tenuta invece l’iniziativa Educare al Presente. Immaginare il futuro, realizzata in collaborazione con Publiacqua, che ha coinvolto oltre 900 visitatori della mostra in quattro speciali giornate dedicate a promuovere una nuova consapevolezza del rapporto tra uomo e ambiente attraverso l’arte e la creatività e a ripensare in modo originale e creativo l’uso dell’acqua.

Aerocene launches, 11-13 september 2020, Manifattura Tabacchi, Firenze, as part of exhibition Tomás Saraceno. Aria, Palazzo Strozzi, Firenze. Photo by Giancarlo Barzagli. Licensed under CC BY-SA 4.0

In copertina: Arturo Galansino © Photography by Ela Bialkowska, OKNOstudio

La cura delle piccole cose

di Fiorella Nicosia e Caterina Monasta

Cosa significa prendersi cura delle opere di un artista che sono state affidate alla quotidiana attenzione di chi lavora in un centro espositivo come Palazzo Strozzi? Si tratta di una manutenzione quotidiana che diventa quasi una partecipazione a un environment e una relazione diretta e privilegiata con l’arte, e, nel caso della mostra Tomás Saraceno. Aria, anche con altre discipline come la scienza, la tecnologia, l’architettura e la biologia. Sono piccoli gesti che quotidianamente ripetiamo nella nostra relazione con la mostra, per riparare, ricostruire, pulire e persino nutrire ogni singola opera.

Manutenzione di Sounding the Air, Caterina Monasta e Fiorella Nicosia.
Foto Matthias Favarato

Prendersi cura delle opere di Tomás significa sentirsi parte di esse, viverle piuttosto che osservarle, immergersi in un sistema di equilibrio che si instaura tra noi esseri umani e gli elementi naturali e fisici che le caratterizzano, come frequenze sonore, raggi laser, aria, polvere, gas, inchiostro, fili di ragnatele, organismi vegetali e piante, come le meravigliose tillandsie, e animaletti, quali la piccola araña che vive all’interno di Particular Matter(s).

Ciò che più di ogni altra cosa abbiamo imparato dalle idee di Tomás, applicate visivamente alle sue opere, è che il nostro mondo fisico è fatto di tanti piccoli organismi, di elementi microscopici e separati. Su piccola scala, per dirla con Carlo Rovelli, “tutto è granulare”, non c’è continuità ma granularità, in una rete di interazioni che è importantissima. Ogni opera della mostra, pertanto, è un mondo a sé, un sistema autonomo fatto di singoli elementi che riflettono la propria complessità nella materia, nella relazione con gli altri e nel loro funzionamento. Così ogni singolo elemento di ogni singola opera che compone la mostra ha necessità di essere curato per apparire poi come un tutto armonico e coerente.

Manutenzione di How to Entangle the Universe in a Spider/Web?, Fiorella Nicosia.
Foto Matthias Favarato
Manutenzione di How to Entangle the Universe in a Spider/Web?, Fiorella Nicosia.
Foto Matthias Favarato

Nella sala dedicata a How to Entangle the Universe in a Spider/Web?, la manutenzione avviene dal “dietro le quinte”, entrando in uno spazio nascosto al pubblico, attraverso una porta nera ricoperta di tessuto morbido: un piccolo ambiente in cui sono allestite le 3 spider frames. Queste architetture affascinanti e labirintiche, costruite da numerosi ragni, vengono illuminate da un raggio laser che si muove in senso orizzontale su un binario. Il movimento del laser di natura meccanica ed elettrica ha bisogno di essere talvolta da noi accompagnato, controllato, aiutato nel suo funzionamento. Per noi restare in quella saletta buia e segreta in compagnia di quelle ragnatele maestose e silenziose possiede un fascino particolare di quiete e intimità.

Manutenzione di Particular Matter(s), Fiorella Nicosia.
Foto Matthias Favarato
Tomás Saraceno, Particular Matter(s), 2020. Installation view of Aria, Palazzo Strozzi, Florence, 2020. © Photography by Studio Tomás Saraceno

Particular Matter(s) Jam Session è costituito da una lunga pedana in mezzo a vari elementi tecnologici come una lampada alogena, una videocamera, una cassa acustica e dei piccoli sensori, all’interno di una ragnatela, vive un piccolo ragno femmina, che abbiamo battezzato Arianna, e che rappresenta per noi la stabilità, la resistenza, la tenacia e la continuità. Questa “ragnetta” ha vissuto nella ragnatela – tessuta in precedenza nello studio di Tomás da altri ragni – dall’inaugurazione della mostra in febbraio, attraversando illesa persino due mesi e mezzo di chiusura della mostra per il lockdown. È rimasta lì, al buio, senza nemmeno l’acqua quotidiana che spruzziamo per idratarla. Si è adattata, non si è spostata se non di pochi centimetri per mangiare o muoversi. Non è così comune che un ragno viva tanto a lungo e da solo nella stessa ragnatela (che non è neanche la propria). Tomás l’aveva inserita in febbraio l’ultima domenica dell’allestimento, senza dirlo a nessuno, e lì è rimasta e c’è ancora. Arianna, l’araña.

Manutenzione di A Thermodynamic Imaginary, Fiorella Nicosia.
Foto Matthias Favarato
Manutenzione di A Thermodynamic Imaginary, Caterina Monasta.
Foto Matthias Favarato

Muoversi tra i proiettori e le sfere gonfiabili di A Thermodynamic Imaginary è come immergersi in un ambiente sospeso nel tempo e nello spazio, alla ricerca delle sculture in vetro e specchi da accudire e spolverare, così come in Connectome, l’altra installazione aerea della prima sala della mostra. Anche altre opere hanno necessità di essere “spolverate”, ma la nostra sensazione è sempre quella di togliere qualcosa di importante che per l’artista andrebbe valorizzato e reso visibile, ossia la polvere, oggetto di tante sue opere e speculazioni sull’Universo.

Manutenzione di Flying Gardens, Caterina Monasta e Fiorella Nicosia.
Foto Matthias Favarato
Manutenzione di Flying Gardens, Fiorella Nicosia.
Foto Matthias Favarato
Manutenzione di Flying Gardens, Caterina Monasta e Fiorella Nicosia.
Foto Matthias Favarato
Manutenzione di Flying Gardens, Caterina Monasta.
Foto Matthias Favarato

Ogni pianta dei Flying Gardens occupa uno spazio proprio all’interno di sfere di vetro composte in sculture “volanti”. Nella sala luminosissima nulla tocca il pavimento, se non i piedi delle persone che la attraversano. Per raggiungere le tillandsie da innaffiare – ogni due giorni con acqua rigorosamente potabile – dobbiamo sporgerci, salire su scale, sollevarci sulla punta dei piedi e ci sembra quasi di entrare in uno spazio vivo e magico, un giardino fluttuante e galleggiante, in una relazione anche fisica con ciascuna pianta che viene raccolta tra le mani per essere annaffiata.

Manutenzione di Aerographies, Caterina Monasta e Fiorella Nicosia.
Foto Matthias Favarato

Particolarmente affascinante è la sala finale della mostra: Aerographies. Anche qui le opere hanno una vita propria, soprattutto per il movimento dei palloncini gonfiati a elio che si spostano, volando sulla carta e lasciando tracce di penna e disegni aggrovigliati. I grandi fogli bianchi, di tre misure diverse, sono stati da noi tagliati, srotolati, arrotolati e sostituiti numerose volte durante la mostra, seguendo un rigoroso calendario che lo studio dell’artista ci ha fornito, al fine di archiviare ciascun disegno con un numero di inventario prestabilito.

Manutenzione di Aerographies.
Foto Matthias Favarato
Manutenzione di Aerographies, Caterina Monasta.
Foto Matthias Favarato

Le penne si consumano, i palloncini si sgonfiano, la polvere arriva sui fogli e sulle cornici sul pavimento, i pesi sulle penne vanno calibrati. È un lavoro costante e quotidiano che va fatto con cura, sempre pensando a far prevalere la leggerezza, il fascino, la poesia e il senso artistico profondo che quest’opera possiede per tutti.

Essere dietro le quinte di tutto ciò è davvero un privilegio.

Il cielo sopra Firenze

di Ludovica Sebregondi

Il primo collage per Aria, realizzato da Tomás Saraceno nell’estate del 2019 per l’esposizione di Strozzi, mostra Firenze vista da Monte alle Croci su cui si librano le tre grandi sfere dell’installazione Thermodynamic Constellation destinate al cortile rinascimentale del Palazzo. Fluttuano nell’aria serena, sospese sulla città, insieme ad altri prototipi di sculture aerosolari in grado di volare intorno al mondo, libere da confini e da combustibili fossili, libere di navigare attraverso i fiumi dell’atmosfera. Poi l’acqua alta su Venezia del mese di novembre ha cambiato la visione di Tomás, che per il collage definitivo si è ispirato – con il nero predominante, la diffusa sensazione di inquietudine, il grande ragno nella sua capsula d’aria – agli stravolgimenti causati dai cambiamenti climatici, dall’uso sconsiderato delle risorse naturali da parte dell’uomo. E, nei mesi della pandemia, è stata l’immagine che ha incarnato lo “spirito del tempo”.

Tomás Saraceno, Collage per Aria, 2019.
Courtesy l’artista. © Studio Tomás Saraceno, 2019
Tomás Saraceno, Collage per Aria, 2020.
Courtesy l’artista. © Studio Tomás Saraceno, 2020

Nel primo collage per Aria in alto a destra compare una delle “macchine del volo” di Leonardo, la Vite aerea (Manoscritto B, 1489, Parigi, Institut de France), sollevata da una vela a elica che si avvita nell’aria. Sono numerose le invenzioni leonardesche legate alla volontà di permettere all’uomo di elevarsi da terra: forse il tentativo più famoso è quello in cui coinvolse l’amico e collaboratore Zoroastro da Peretola, avvenuto sul Monte Ceceri, una collina alle porte di Firenze, presso Fiesole.

Parigi, Institut de France, Leonardo da Vinci, Manoscritto B di Francia, Ms B, f. 83v.
Foto Luc Viatour

Un esperimento non riuscito, di cui resta traccia nel Codice sul volo degli uccelli (1505 circa, Torino, Biblioteca Reale), che include schizzi e descrizioni di apparecchi e di principi aerodinamici relativi al volo meccanico, anticipando di circa quattro secoli l’invenzione dell’aeroplano. Scrive Leonardo, e le sue parole sono riportate su una stele in pietra posta sulla sommità del colle: “Piglierà il primo volo il grande uccello sopra del dosso del suo magno Cecero, empiendo l’universo di stupore, empiendo di sua fama tutte le scritture e gloria eterna al nido dove nacque”.

Stele a Monte Ceceri che ricorda l’esperimento di Leonardo e riporta le sue parole.

Altre sperimentazioni, coronate però da successo, si sono susseguite a Firenze, come quella del 1784, quando da un prato nei pressi di ponte alla Carraia Francesco Henrion ripeté, con un “globo aerostatico” pieno di aria riscaldata, quanto riuscito l’anno precedente vicino a Lione a Joseph ed Étienne Montgolfier con una macchina volante che si era sollevata da terra. Il tentativo fiorentino riuscì perfettamente, analogamente a quello compiuto poco dopo da un pallone realizzato da due gesuiti che giunse fino a Santa Sofia, in Romagna. Il primo uomo a volare su Firenze fu, nel 1795, Giovanni Battista Luder che sostituì il pilota designato – impaurito dall’impresa – ed ebbe l’ardire di salire sulla navicella in Piazza del Carmine. Ne scese tranquillamente alla Pieve di Remole, e per il suo gesto di coraggio fu premiato dal granduca con 24 zecchini d’oro e la promozione da semplice “trombaio”, l’idraulico a Firenze, a “fontaniere regio”.

L’articolo il Volo di una mongolfiera, apparso sulla “Gazzetta di Firenze” del 7 agosto 1826, dimostra come ancora dopo decenni un’ascensione venisse trasformata in spettacolo, con piazza Santa Maria Novella convertita in anfiteatro per accogliere gli astanti, tra cui il granduca e la sua famiglia. Francesco Orlandi, l’intrepido “aerobata”, dopo aver porto un sonetto e dei fiori al monarca, si sollevò sulla sua “macchina aerobatica”, un pallone a idrogeno e aria calda costituito da strisce di seta “a forma di fusi”, e dopo un’ora atterrò a circa 7 miglia dalla capitale.

Dettaglio della copertina del volume Firenze. Cinquanta fotografie dell’Ottocento tratte dagli Archivi Alinari, Firenze, 1981

Da fine Ottocento non mancano neppure testimonianze fotografiche, come quella della mongolfiera guidata dal “signor Jules” o “Juhles”, che si innalzò su Firenze il 19 maggio 1884 alla presenza di un folto pubblico arrampicato persino sui tetti. Un’immagine tanto iconica da essere stata scelta per la copertina di una mostra sugli Archivi Alinari.

E, recentemente, una donna, Leticia Marqués, pilota di mongolfiere, ha portato a Firenze, durante l’Aria Talk tenutosi al Cinema Odeon il 22 febbraio 2020, la testimonianza del suo ardito e coraggioso volo avvenuto il 28 gennaio 2020, nelle Salinas Grandes in Argentina nell’ambito del progetto di Tomás Saraceno Fly with AerocenePacha in cui – sollevata da un’enorme scultura aerosolare – ha stabilito sei record mondiali per altezza, distanza e durata di volo effettuato grazie solo al calore del sole e all’aria, senza l’uso di combustibili fossili, pannelli solari, elio o batterie al litio. Grande coraggio, quello dimostrato facendosi sollevare fino a un’altezza di 270 metri, per un’ora e 21 minuti, coprendo una distanza di 2,55 chilometri. Forse, in un utopico futuro, l’impresa di Saraceno e Leticia sarà vista come noi oggi rileggiamo le memorie dei primi pioneristici, e visionari, voli dei secoli scorsi.

Fly with Aerocene Pacha. A project by Tomás Saraceno for Aerocene. 21-28 January 2020, Salinas Grandes, Jujuy, Argentina. Human Solar Free Flight as part of Connect, BTS, curated by DaeHyung Lee. Courtesy the artist and Aerocene Foundation. Photography by Studio Tomás Saraceno, 2020. Licensed under CC BY-SA 4.0 by Aerocene Foundation
Aria Talk, Cinema Odeon, Firenze, 22 febbraio 2020. © Photography by Ela Bialkowska, OKNOstudio

In copertina: Tomás Saraceno, Around the world collage for Aria, 2020 Courtesy l’artista

Dall’arte alla scienza: i ragni nel mondo biologico

Ricercatrice della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, Malayka Picchi è stata coinvolta nella preparazione della mostra Tomás Saraceno. Aria come consulente per comprendere al meglio i ragni e le loro caratteristiche.

Sono rimasta affascinata, lo devo ammettere.
Io, abituata a osservare i ragni all’aperto o allo stereoscopio, ho avuto un immenso piacere nel vedere come queste piccole creature siano state delle muse ispiratrici per un grande artista come Saraceno. La seta finemente intrecciata, tesa e vibrante dei ragni come opera d’arte.
Da entomologa non avevo mai visto la ragnatela con gli occhi di un artista, o meglio – la natura tutta è arte, soprattutto il microcosmo – non avevo mai pensato a come un artista vede la ragnatela e come, volutamente e visionariamente, la spinge a essere qualcosa di più. Tanto reale quanto astratta. Saraceno è riuscito ad andare oltre la mera biologia funzionale della ragnatela. Ha creato qualcosa di unico: ha unito in modo profondo l’aracnologia con l’arte. Con l’arte, il linguaggio scientifico si colora, si abbellisce e raggiunge i cuori anche di coloro che sono terrorizzati dai ragni, svelando il loro reale fascino. Infatti, questi animali generano delle profonde scosse emotive nelle persone. Ignorati dai più, fonte di terrore per molti altri, ma esiste una minoranza che li osserva con occhi curiosi, in cerca di forme e comportamenti che lasciano incantati.
Quello dei ragni è un gruppo antico e vasto. Sono degli artropodi (e non insetti) che appartengono al grande mondo degli aracnidi, lo stesso mondo di cui fanno parte le zecche, gli scorpioni e altre svariate e bizzarre forme, meno conosciute perché difficili – se non impossibili – da incontrare in Italia. Nel mondo esistono più di 48mila specie e ogni giorno se ne scoprono di nuove; l’Italia si difende bene con le sue 1677 specie finora conosciute. Sono animali predatori (a eccezione della sola specie Bagheera kiplingi che integra la propria dieta con pinnule di acacia), in cima alla catena alimentare, che regolano la quantità di insetti. In poche parole, se non ci fossero i ragni saremo completamente invasi dagli insetti: un recente studio ha evidenziato che, nel mondo, annualmente, i ragni mangiano tra i 400 e gli 800 milioni di tonnellate di insetti. Tra questi anche quelli che potrebbero far fuori le nostre scorte di cibo. Sono degli utili alleati in agricoltura, sebbene l’utilizzo di sostanze di sintesi li riduca drasticamente come numero e come specie.

Tomás Saraceno, TREMOR, 2019-in corso, Courtesy l’artista, © Studio Tomás Saraceno
In basso, nella carta, le differenti fasi della costruzione di una ragnatela.

La caratteristica fondamentale dei ragni, che viene ripresa e reinterpretata da Saraceno, riguarda la capacità di generare e usano in modi differenti la seta: una proteina che concilia resistenza ed elasticità, che i ragni utilizzano per catturare le prede, costruire dei ripari o per proteggere la prole. In base alla funzione, possono regolare le qualità della seta secreta per la ragnatela. La spirale di cattura deve trattenere le prede, ma senza rompersi. Quindi dovrà essere capace di dissipare l’energia dell’urto, mentre la cornice e i fili di ancoraggio devono essere forti e resistenti tali da sorreggerne la struttura. La seta viene poi talvolta lavorata e increspata o arricchita di gocce di colla che aumentano la possibilità che la preda rimanga nella ragnatela.
La biodiversità nel mondo dei ragni riguarda anche la ragnatela, non solo per la qualità della seta, ma anche per le forme che questi modellano pazientemente. Ci sono quelli precisi e ordinati come gli Araneidae, che tessono ragnatele regolari e verticali, con il ragno che sovente si trova al centro ad attendere una vibrazione, uno stimolo che indichi la presenza di una preda incappata casualmente nella trappola. Oppure ci sono quelli più estrosi come i Theridiidae, che costruiscono ragnatele irregolari e su più direzioni. Poi, ci sono gli estremisti, come i ragni del genere Mastophora che utilizzano un solo filo di seta con una piccola goccia di colla per catturare al lazo le falene; o ancora i rappresentanti del genere Deinopis che, mentre con le zampe posteriori restano appesi a qualche sostegno, con la seta costruiscono tante cornicette quadrate, una dentro l’altra, che trattengono con le zampe anteriori e scagliano sulla preda quando questa incappa nella rete di fili di avvertimento, diligentemente costruita in prossimità del suolo.
Una biodiversità che permette ai ragni di colonizzare molti ambienti diversi con successo. Un esempio straordinario di adattamento riguarda il ragno palombaro, Argyroneta acquatica, che, come suggerisce il nome, si è adattato a vivere in acqua dolce. Riesce a passare la maggior parte della vita sott’acqua grazie alla capacità di trattenere un piccolo strato di aria sul proprio corpo e a ricaricarlo all’occorrenza.

Tomás Saraceno, Outer Space seems not so Unfamiliar, 2014, Courtesy l’artista

Invece, parlando di guinness dei primati, provate a immagine la più grande ragnatela esistente. Quando può essere grande? Caerostris darwinii, una specie del Madagascar, costruisce una ragnatela che ha un filo di ancoraggio di venticinque metri, con una spirale di cattura ampia ben tre metri quadrati. Questo “lenzuolo” di ragnatela le serve per intercettare gli insetti che sfarfallano dai grandi fiumi, costruendo sopra l’alveo la propria trappola.
Il mondo degli aracnidi è fatto così; sembrano esseri di poco conto, ma in realtà hanno mille peculiari sfumature piene di fascino.
Vi invito a scoprirlo questo mondo, così da vivere la mostra di Saraceno come farebbe un vero aracnofilo.

Tomás Saraceno, Webs of At-tent(s)ion, 2020. Installation view of Aria, Palazzo Strozzi, Florence, 2020. © Photography by Ela Bialkowska, OKNOstudio

In copertina: Tomás Saraceno, Particular Matter(s), 2020. Installation view of Aria, Palazzo Strozzi, Florence, 2020. © Photography by Studio Tomás Saraceno