A monito degli orrori della guerra che colpiscono le persone, ma possono colpire anche le opere d’arte, vogliamo pubblicare queste immagini di due sculture che hanno subito l’oltraggio di danneggiamenti gravissimi durante le fasi terminali della Seconda Guerra Mondiale.
L’allora Kaiser-Friedrich-Museum (oggi Bode-Museum), venne devastato dai bombardamenti aerei. Due importantissime Madonne col Bambino di Donatello in terracotta che saranno esposte a Palazzo Strozzi erano state evacuate prima in un bunker, ma subirono due terribili incendi nel maggio 1945 e furono ridotte in pezzi.
Portate a Leningrado, sono state restaurate alla metà degli anni Cinquanta e in seguito restituite alla Repubblica Democratica Tedesca, tornando nel settore Est di Berlino solo nel 1958.
Donatello, Madonna col Bambino e angeli, 1440-1445 circa, Berlino, Staatliche Museen, Skulpturensammlung und Museum für Byzantinische Kunst
Prima della Seconda Guerra Mondiale questo rilievo era ancora magnificamente policromato, come attesta una foto pubblicata da Wilhelm von Bode nel 1923. Gli incendi nel maggio 1945 causarono notevoli danni all’opera, compresa la perdita della policromia (a parte qualche traccia sulla manica della Vergine). Questo trauma ha però reso evidente la modellazione dell’argilla, il cui virtuosismo rende indiscutibile l’attribuzione a Donatello. L’ultimo restauro risale al 2018 grazie alla Fondazione d’Arte Ernst von Siemens.
Crediti: Berlino, Staatliche Museen, Skulpturensammlung und Museum für Byzantinische Kunst. Archiv (foto antiche); A. Voigt (foto moderne).
La grande mostra Jeff Koons.Shine ha celebrato una delle figure più importanti e discusse dell’arte contemporanea a livello globale attraverso una selezione delle sue più celebri opere che, dalla metà degli anni Settanta a oggi, hanno rivoluzionato il sistema dell’arte internazionale. Nonostante le difficoltà e le restrizioni di questi mesi, Jeff Koons. Shine si è posizionata come una delle mostre più visitate di sempre a Palazzo Strozzi, distinguendosi come l’evento di arte contemporanea di maggior successo del 2021 in Italia. La mostra ha visto la partecipazione di 170.012 visitatori, segnando il tutto esaurito nelle sale di Palazzo Strozzi fin dalla sua apertura a ottobre.
Questo importante record di partecipazione premia il lavoro della Fondazione e del suo modo unico di “fare mostre”, sempre mantenendo, nonostante le incertezze del momento, un ruolo primario nella valorizzazione del territorio come meta per il pubblico, motore propulsore di energia e creatività, e generatore di valore tramite la cultura.
Da segnalare in particolare è come Palazzo Strozzi abbia mantenuto un ruolo primario nella valorizzazione del territorio quale meta per il pubblico nazionale, attraendo a Firenze visitatori da tutta Italia, in un periodo ancora fortemente limitato per il turismo internazionale. Sono stati circa 120.000 (il 70% del totale) i visitatori italiani provenienti al di fuori dell’area metropolitana di Firenze: oltre 85.000 hanno raggiunto la città (in giornata o pernottando in città anche più giorni) appositamente per visitare la mostra di Jeff Koons, generando un importante impatto sull’economia locale.
Dalle analisi sui visitatori, emergono come dati importanti la grande partecipazione del pubblico under 30, che rappresenta il 30% del totale dei visitatori, e del pubblico delle famiglie, come testimonia la vendita record di oltre 6.000 biglietti famiglia (pari a oltre 20.000 presenze totali), la grande partecipazione ai laboratori Specchio, specchio e Splendido splendente e il successo del Kit Famiglie, speciale materiale sviluppato per visitare la mostra con giochi e attività utilizzato da oltre 6.000 visitatori.
Specchio, specchio, laboratorio per famiglie in occasione della mostra Jeff Koons. Shine. Foto Giulia Del Vento
Confermato è stato inoltre l’impegno e il successo della Fondazione Palazzo Strozzi per rendere le proprie mostre sempre più accessibili attraverso eventi, attività e progetti per tutti i pubblici. Da segnalare in particolare A più voci per persone con Alzheimer, Sfumature per ragazzi e ragazze con disturbi dello spettro autistico, Connessioni per disabilità intellettive e disagio psichico, e Corpo libero, un percorso di danza dedicato all’inclusione delle persone con Parkinson, attività dedicate all’accessibilità che hanno coinvolto oltre 1300 partecipanti.
Corpo libero in occasione della mostra Jeff Koons. Shine. Foto Giulia Del Vento
A più voci in occasione della mostra Jeff Koons. Shine. Foto Giulia Del Vento
Jeff Koons mania sui social
Palazzo Strozzi è particolarmente attento alla comunicazione social, e in occasione della mostra oltre 3.2 milioni di persone sono state raggiunte dai contenuti pubblicati sui profili social della Fondazione (Facebook, Instagram, Twitter e LinkedIn) generando oltre 160mila interazioni tra like, commenti e condivisioni su tutte le piattaforme. Su Instagram si registrano i risultati più sorprendenti con oltre 1.8 milioni di persone coinvolte e una crescita di oltre 10milla follower negli ultimi quattro mesi, collezionando un totale di 111mila like su tutti i contenuti.
Durante il periodo della mostra, il sito www.palazzostrozzi.org è stato visitato da oltre 360mila utenti per un totale di oltre 1.5milioni di pagine visualizzate, un dato record rispetto alle mostre passate, che conferma la portata mediatica di Jeff Koons.
Jeff Koons. Shine. Foto Giulia Del Vento
Oltre 170.000 protagonisti
Fino a poco tempo fa sembrava impossibile poter realizzare una mostra così ambiziosa in questo momento storico e un simile risultato era addirittura impensabile. Jeff Koons. Shine è stata una sfida vinta per Palazzo Strozzi e per Firenze, che ha dato così un grande segnale di vitalità e di ripartenza sociale, culturale ed economica. La risposta del pubblico e dei media ha superato le nostre aspettative e siamo davvero soddisfatti dell’enorme successo di questa mostra che ha coinvolto in modo inclusivo oltre 170.000 persone, rispecchiando lo spirito stesso dell’arte di Jeff Koons che vuol rendere il visitatore protagonista delle sue opere.
Si è conclusa domenica 29 agosto la mostra American Art 1961-2001. Da Andy Warhol a Kara Walker, uno straordinario viaggio alla scoperta dell’arte moderna degli Stati Uniti a cura di Vincenzo de Bellis e Arturo Galansino, realizzata grazie alla collaborazione con il Walker Art Center di Minneapolis. In appena tre mesi di apertura e nonostante le limitazioni dovute alla situazione sanitaria, la mostra ha raggiunto la cifra di oltre 55.000 visitatori. Questo straordinario successo (assieme alla dirompente arte pubblica di JR) dimostra la forza dell’arte e della cultura anche in un momento di forte difficoltà e incertezza come quello che stiamo vivendo e pone Palazzo Strozzi come un punto di riferimento nel dibattito artistico e culturale a livello nazionale e internazionale.
Dalle analisi sul pubblico di American Art 1961-2001 emergono dati importanti come la partecipazione record dei giovani e l’importante coinvolgimento del pubblico locale, ma anche la conferma della capacità di Palazzo Strozzi di proporre un’offerta in grado di contribuire all’attrazione del turismo italiano e straniero.
Il 46% del pubblico della mostra è costituito da abitanti dell’area metropolitana di Firenze, un dato che testimonia come Palazzo Strozzi rappresenti un imprescindibile punto di riferimento per la vita culturale della città. Tuttavia, Palazzo Strozzi è anche riuscito a mantenere un ruolo primario nella valorizzazione del territorio come meta per il pubblico nazionale e internazionale. Sono stati infatti circa 30.000 i visitatori non locali, italiani e stranieri, di cui oltre 20.000 si sono recati a Firenze appositamente per visitare la mostra, generando un importante impatto sull’economia locale.
In generale si conferma altissimo il gradimento espresso dai visitatori, con il 97% del pubblico che si dichiara soddisfatto dell’esperienza.
Dato rilevante della mostra American Art 1961-2001 è la grande partecipazione del pubblico under 30, pari al 40% del totale dei visitatori. Grazie alla collaborazione degli studenti coinvolti nel progetto Plurals (Alternanza Scuola-Lavoro) è stata realizzata un’indagine specifica che ha evidenziato alcuni tratti e caratteristiche significativi di questo target di pubblico: il 50% dei visitatori under 30 ha visitato Palazzo Strozzi per la prima volta in occasione di questa mostra e il gradimento positivo si attesta al 96%. Il 70% di loro vorrebbe essere attivamente coinvolto nella realizzazione di progetti futuri con Palazzo Strozzi.
I canali web e social sono stati i principali veicoli di informazioni sulla mostra e condivisione dell’esperienza di visita: l’80% degli intervistati hanno scattato fotografie per condividerle online. Questo dato registrato tra i nostri visitatori più giovani conferma il trend generale sull’utilizzo dei social media e, nello specifico, l’interazione con i nostri canali online. Nel periodo tra febbraio e agosto 2021, infatti, l’engagement online del pubblico attraverso i social e il sito di Palazzo Strozzi è stato straordinario: oltre 3 milioni di profili individuali coinvolti su Facebook (con più di 250mila interazioni dirette), quasi 2 milioni di account Instagram raggiunti e oltre 200mila singoli utenti del sito palazzostrozzi.org.
Sono state numerose le attività legate alla mostra, realizzate in presenza o in versione online, mantenendo costante l’offerta rivolta a differenti target di pubblici che caratterizza da sempre lo spirito audience oriented di Palazzo Strozzi.
Il Kit Famiglie e il nuovo Kit Teenager, disponibili in una rinnovata doppia versione fisica e online, sono stati usati 5mila volte, offrendo così a bambini e adulti un’importante chiave per visitare mostra in modo divertente e creativo. I laboratori per le famiglie e l’Art Camp (gli speciali centri estivi realizzati a Palazzo Strozzi in collaborazione con artisti) hanno coinvolto in tutto un centinaio di bambini e ragazzi che hanno così potuto avere un rapporto privilegiato con l’arte.
American Art 1961-2001 è stata anche un’occasione per conoscere in modo più profondo e ampio la grande arte americana. Grazie ad un ampio variegato di approfondimenti per i visitatori (realizzati in mostra e attraverso Zoom sui protagonisti della mostra e le loro opere) e ad una serie di progetti che hanno visto la collaborazione con le università e le accademie del territorio fiorentino, Palazzo Strozzi ha coinvolto centinaia di persone in tutti i canali e modalità possibili.
A tutto ciò si sono affiancate le attività dedicate all’accessibilità. Mantenendo una modalità ibrida, sia in presenza che da remoto, i progetti sono riusciti a coinvolgere anche i pubblici più fragili, come le persone che vivono con l’Alzheimer o con il Parkinson.
Vincenzo de Bellis (Curator and Associate Director of Programs, Visual Arts, Walker Art Center) spiega così il successo della mostra: «L’organizzazione di American Art 1961-2001 è stata stimolante e complessa allo stesso tempo. La movimentazione di così tanti capolavori durante alcuni dei mesi più intensi della pandemia ha messo a dura prova sia il Walker Art Center sia Palazzo Strozzi. Il successo di pubblico ripaga i grandi sforzi messi in atto. La forza delle opere e la scelta di raccontare l’arte americana mettendo in luce anche gli aspetti più critici della cultura di questo paese – fatto sia di grandi successi che di contraddizioni – è stata la scintilla che suscitato così tanto interesse nei nostri visitatori».
Per il Fuorimostra di American Art 1961-2001 sono stati selezionati ventuno luoghi in Toscana capaci di narrare o evocare la vita e l’arte statunitense. Tra questi, nel Piccolo museo del diario di Pieve Santo Stefano – attraverso le memorie raccolte dall’Archivio diaristico nazionale – sono narrate in modo vivido le storie di quanti hanno vissuto o hanno avuto rapporti con gli Stati Uniti. Alice Belfiore ha selezionato per Palazzo Strozzi alcuni brevi, ma straordinari, ricordi.
Esistono testi preziosi e intimi, animati dalla voglia di raccontare e confidarsi. Storie coraggiose, dense di emozioni, in cerca di un futuro florido da garantire ai propri cari o semplicemente a se stessi. Sono le storie di tanti italiani che nel tempo si sono avventurati verso terre lontane per cercare fortuna, amore, avventure o arricchire il proprio bagaglio culturale. Molte di queste storie le troviamo all’interno del Piccolo museo del diario di Pieve Santo Stefano, un borgo che durante la Seconda guerra mondiale venne raso al suolo dai soldati tedeschi in ritirata, nel tentativo di cancellarne la memoria. Fu proprio da queste ceneri che risorgerà come una fenice una casa della memoria collettiva italiana: l’Archivio diaristico nazionale, fondato nel 1984 dal giornalista e scrittore Saverio Tutino per raccogliere e conservare diari, memorie, epistolari della gente comune.
Alcuni quaderni conservati all’interno dell’Archivio dei diari, foto Luigi Burroni
Molti anni più tardi, nel 2013, per dare modo a tutti di scoprire, leggere e ascoltare queste storie, venne aperto il Piccolo museo del diario, diventato sin da subito la tappa prediletta da quanti interessati a scoprire una parte insolita della nostra storia. Si tratta di un museo molto piccolo, ma allo stesso tempo potenzialmente infinito, grazie agli strumenti digitali: le storie che qui sono raccolte e raccontate sono quelle conservate in Archivio, ma sono state appositamente digitalizzate così da renderle facilmente fruibili, intercambiabili e sostituibili. Chi entra nel museo, decide di accogliere nella propria vita le storie di queste persone come atto di conoscenza e amore del nostro passato, come – in occasione della mostra American Art 1961-2001 – le testimonianze dei diaristi che hanno vissuto un periodo negli Stati Uniti o che hanno avuto una relazione con il Paese tra il 1961 e il 2001.
Tommaso Bordonaro, contadino siciliano, descrive la “spartenza” dall’Italia nel 1947 utilizzando una lingua impastata di vocaboli dialettali e inglesi, tanto sgrammaticata quanto autentica. Emozionante la parte in cui, dalla nave, intravede la Statua della Libertà:
Io sono stato fino alle 23 in guardia di vedere di più, così ho visto la illuminazione: era una bellissima veduta. Alle ore una di notte del 27 abiamo arrivati quasi alla statua, e che si vedi una belleza! Una illuminazione bellissima. Le nave chi va chi vieni tutti illuminati: una veduta per me mai vista. La mattina alle ore 5 abiamo passato la statua e ci siamo entrati in porto con la Marine Shark. La emuzione era forte a vedere, con quella neve che il freddo era tremente, tutta quella genti che chiamava chi un nome chi un altro, chi piangeva, chi gridava, tutte quel macchine, chi correva, chi fischiava, insomma una folla immensa, chi non conosceva la sua famiglia e una veduta di palazi che facevano impressione a guardarli, macchine, villi che pareva veramente il paradiso che noi non abiamo ancora visto.
Il diario di Tommaso Bordonaro, foto di Luigi Burroni
Salvatore Di Biase ci regala uno spaccato di vita americana negli anni del New Deal:
“Arrivarono le election day, andai ha votare mi sentivo tutto orgoglioso di andare a votare, era tutto diverso, a New York e come quasi tutti gli stati uniti si votava senza scheda con pulsanti automatici, era molto semplice, una cosa da niente tutto fatto. La sera già si sapeva che aveva vinto Kennedy”.
Un percorso storico ricostruito attraverso le memorie di chi, nonostante le difficoltà, riesce a coronare il sogno di visitare l’America di Jack Kerouac e del celebre romanzo On the Road, una delle letture predilette da Gloria Bartolotti che, nel 1978, scrive:
Ma quella era l’ultima occasione per visitare il paese che ci era venuto in casa nell’età dell’adolescenza con la letteratura e la poesia beat (…) stavo per andare in America come una solitaria pellegrina del Maiflower, come una pioniera dell’avventura. «Almeno terrò un diario!»
Andrea Luschi, nel 1996, affida al diario la cronaca minuziosa del viaggio effettuato in Florida insieme ai figli per assistere al lancio di una navicella spaziale:
Alle 15:18, in perfetto orario sulla tabella di marcia, scorgiamo in lontananza una nuvola di fumo che segnala l’accensione dei motori di Columbia; lo shuttle si alza lentamente verso il cielo, con una fiammata ed un rombo di tuono che mano a mano aumenta di intensità (…) Via via che Columbia sale verso il cielo, aumenta la mia commozione e non posso fare a meno di farmi scappare qualche lacrima di gioia per aver visto realizzato un mio grande sogno .
Qualche anno più avanti l’evento che sconvolse il mondo intero: l’11 settembre 2001. Maria Pia Farneti, dall’animo inquieto e creativo, compone dei disegni che per sempre imprimeranno questa data.
Maria Pia Farneti, foto di Luigi Burroni
Alcune di queste testimonianze si animeranno in un video composto da immagini e voci di attori che interpreteranno le emozioni dei diaristi, visibile, dai primi di agosto, sui canali social del Piccolo museo del diario e online nei canali dell’Archivio dei diari.
All’interno del Piccolo museo del diario tutti possono immergersi nei ricordi intimi e descrittivi di un passato che vivrà per sempre, e che continuerà ad alimentarsi attraverso la sensibilità di chi deciderà di raccontarsi e raccontare.
In copertina: Piccolo museo del diario, foto Luigi Burroni
Servire il futuro: Peggy Guggenheim e l’arte americana
La Collezione Peggy Guggenheim ospita a Palazzo Venier dei Leoni a Venezia una delle collezioni di arte moderna e contemporanea del XX secolo più importanti al mondo. Già protagonista della mostra Da Kandinsky a Pollock. La grande arte dei Guggenheim, con il suo mecenatismo Peggy Guggenheim ha saputo riunire attorno a sé i più grandi artisti dell’epoca, portandoli alla fama negli Stati Uniti che in Europa. Gražina Subelytė (Associate Curator della Collezione Peggy Guggenheim), in occasione della mostra American Art 1961-2001, sottolinea l’importanza del collezionismo della filantropa americana e di come abbia influenzato l’arte d’oltreoceano, e non solo, per gli anni a venire.
Dopo essere fuggita dalla Francia occupata dai nazisti e aver fatto ritorno, nell’estate del 1941, nella natia New York, nell’ottobre del 1942 Peggy Guggenheim apre il suo museo/galleria Art of This Century, e nel comunicato stampa afferma: “Questa impresa avrà raggiunto il suo obiettivo solo se riuscirà a servire il futuro invece di registrare il passato”. Di fatto Art of This Century diventa ben presto il luogo più innovativo e stimolante dove poter assistere alle più recenti sperimentazioni artistiche.
La prima mostra temporanea qui organizzata comprende delle bottiglie di Laurence Vail, artista Dada e primo marito di Peggy Guggenheim, e delle scatole magiche dell’americano Joseph Cornell, alcune delle quali oggi esposte alla Collezione Peggy Guggenheim, a Venezia. Cornell raccoglieva oggetti disparati che poi assemblava in composizioni tematicamente coerenti. Il suo archivio, una sorta di gabinetto delle curiosità, comprendeva migliaia di oggetti, anche effimeri, raccolti nell’arco di una vita. Appassionato narratore, riusciva a trovare un’unità di fondo nella diversità ed era inoltre profondamente affascinato e influenzato dal cosmo e dall’astronomia, come emerge da alcune sue opere, quali Untitled (Canis Major Constellation) (c. 1960), e Eclipsing Binary, Algol, with Magnitude Changes (c. 1965), esposte nella mostra American Art 1961-2001.
Marcel Duchamp, Scatola in una valigia (Boîte-en-Valise), 1941, cm 40,7 x 37,2 x 10,1. Collezione Peggy Guggenheim, Venezia (Fondazione Solomon R. Guggenheim, New York). Photo Matteo De Fina
Accanto alle creazioni di Vail e Cornell, quella prima esposizione ad Art of This Century include anche Scatola in una valigia (1941) di Marcel Duchamp, amico e fedele consigliere di Peggy. Questa valigetta da viaggio, che la collezionista porta con sé dall’Europa, raccoglie 69 riproduzioni di opere dell’artista create prima del 1935 e un “originale”. Tra le riproduzioni figurano, ad esempio, La sposa messa a nudo dai suoi scapoli, anche (Il grande vetro) e alcuni dei più celebri ready-made, come una miniatura dell’orinatoio rovesciato, Fontana, del 1917. Simile alla valigetta di un rappresentante, la “scatola” simula perfettamente, e in scala, l’ambiente di una stanza. Realizzata poco prima che Duchamp si trasferisse a New York durante la seconda guerra mondiale, la “scatola” diventa il modo in cui poter conservare in forma simbolica, in una sorta di piccolo museo portatile, una selezione in miniatura dei lavori. Insieme alle opere della collezione di arte cubista, astratta e surrealista della mecenate americana, lo spirito rivoluzionario delle creazioni di Duchamp, come la nozione stessa di ready-made, esercita una grande influenza sulle generazioni a venire degli artisti d’oltreoceano. Nella mostra American Art 1961-2001, tale aspetto emerge ad esempio nelle opere di artisti come Sherrie Levine, con la sua Fountain (1991), Andy Warhol con Campbell’s Tomato Juice Box (1964), Robert Rauschenberg con décor for Minutiae (1954/76), Jasper Johns con Set Elements for Walkaround Time (1968).
Mark Rothko, Sacrificio (Sacrifice), aprile 1946, acquerello, guazzo e inchiostro di china su carta, cm 100,2 x 65,8. Collezione Peggy Guggenheim, Venezia (Fondazione Solomon R. Guggenheim, New York)
Soprattutto, Art of This Century (1942-1947) serve il futuro invece di registrare il passato, andando a esporre molti giovani artisti americani allora sconosciuti, tra cui Jackson Pollock, Mark Rothko e Clyfford Still, le cui opere sono tuttora esposte a Venezia. All’epoca il lavoro di Rothko era ancora figurativo e carico di valenze mitologiche di matrice surrealista, ma alla fine degli anni ’40 volge alla completa astrazione, contribuendo allo sviluppo della pittura Color Field, basata su ampie campiture di colore, come si osserva nel suo dipinto No. 2 (1963), attualmente in mostra a Palazzo Strozzi.
Grazie a Peggy Guggenheim, il lavoro di questa nuova generazione di artisti americani viene presentato per la prima volta al di fuori dagli Stati Uniti in occasione della Biennale di Venezia del 1948, dove la mecenate viene invitata a presentare la sua collezione negli spazi del Padiglione greco, allora vuoto a causa della guerra civile che imperversava in Grecia. È la prima volta che in Italia viene esposta una raccolta così esaustiva di arte moderna. Ma il padiglione di Peggy Guggenheim assume un’importanza ancora maggiore, poiché quell’anno il Padiglione degli Stati Uniti apre in ritardo, diverse settimane dopo, e così è il suo padiglione a rappresentare in qualche modo il paese durante l’inaugurazione e ad accogliere l’allora ambasciatore degli Stati Uniti in Italia, James Dunn.
Jackson Pollock, Alchimia (Alchemy), 1947, olio, pittura d’alluminio, smalto alchidico con sabbia, sassolini, filati e bastoncini spezzati di legno su tela, cm 114,6 x 221,3. Collezione Peggy Guggenheim, Venezia (Fondazione Solomon R. Guggenheim, New York)
Al termine della Biennale, la collezione di Peggy Guggenheim attraversa una fase “nomade” che dura circa due anni, durante la quale viene esposta anche a Palazzo Strozzi, nel 1949, dove sono presentate anche Scatola in una valigia di Duchamp e opere di artisti americani come Robert Motherwell, Pollock e Rothko. La mecenate continua a promuovere Pollock e nel 1950 organizza una sua personale nell’Ala Napoleonica del Museo Correr, in piazza San Marco a Venezia. Si tratta della prima personale dell’artista al di fuori degli Stati Uniti e vi sono esposti anche dieci suoi dripping. Suscita shock ed entusiasmo negli artisti italiani di generazioni differenti, dai più anziani ai più giovani, poiché l’idioma visivo astratto di Pollock è senza precedenti e decisamente radicale. E altrettanto radicali e progressisti sono gli sforzi compiuti da Peggy Guggenheim nel sostenere gli artisti americani e nell’introdurli a un nuovo pubblico, garantendo l’importanza e la continuità della loro eredità che, attraverso la contestazione, il cambiamento o l’accettazione, è oggi riflessa nelle opere esposte nella mostra American Art 1961-2001. L’obiettivo di servire il futuro piuttosto che registrare il passato è stato raggiunto.
Gli Amici di Palazzo Strozzi entrano gratuitamente alla Collezione Peggy Guggenheime i possessori del biglietto di American Art 1961-2001 hanno diritto a un ingresso ridotto al museo veneziano (€ 13 invece di € 15).
I soci della Collezione Peggy Guggenheim entrano gratuitamente a Palazzo Strozzi. I possessori del biglietto della Collezione hanno diritto al biglietto ridotto per la mostra American Art 1961-2001(€ 12 invece di € 15).
In copertina: Peggy Guggenheim nella sala da pranzo di Palazzo Venier dei Leoni, Venezia, anni ’60. Da sinistra: Vasily Kandinsky, Paesaggio con macchie rosse, n. 2 (Landschaft mit roten Flecken, Nr. 2, 1913); Georges Braque, Il clarinetto (La Clarinette, estate autunno 1912); Giacomo Balla, Velocità astratta + rumore, 1913–14; Louis Marcoussis, L’Habitué (1920); Umberto Boccioni, Dinamismo di un cavallo in corsa + case (1914–15); Albert Gleizes, Donna con animali (Madame Raymond Duchamp-Villon) (La Dame aux bêtes [Madame Raymond Duchamp-Villon]), terminato nel febbraio 1914; tutte le opere sono in Collezione Peggy Guggenheim. Foto Archivio Cameraphoto Epoche. Fondazione Solomon R. Guggenheim, Venezia, Donazione, Cassa di Risparmio di Venezia, 2005.
A Punta della Dogana, Venezia, dal 23 maggio 2021 al 9 gennaio 2022 è in mostra Bruce Nauman: Contrapposto Studies, a cura di Carlos Basualdo (The Keith L. and Katherine Sachs Senior Curator of Contemporary Art al Philadelphia Museum of Art) e Caroline Bourgeois (conservatrice presso la Pinault Collection). La mostra rende omaggio alla figura di Bruce Nauman, presente anche nella mostra American Art 1961-2001 con l’opera Art Make-Up (1967-1968). Di seguito un estratto da Volver sobre sus pasos di Carlos Basualdo, pubblicato nel catalogo della mostra, edito da Marsilio Editori.
Dal 2015 Bruce Nauman è impegnato nella realizzazione di una serie di opere, per lo più videoinstallazioni ma anche un collage preparatorio e un modellino in scala, che a prima vista sembrano un riesame o una continuazione di uno dei suoi primi video, Walk with Contrapposto del 1968. Nauman lavora spesso in serie, creando gruppi di opere che insieme vanno a comporre un’espressione artistica che abbraccia, o definisce nei suoi limiti, uno o più interrogativi. Prima di iniziare a realizzare la serie di proiezioni confluita nei Contrapposto Studies, aveva ampiamente esplorato i cambiamenti dei giorni della settimana in installazioni come Days e Giorni del 2009, e le possibili combinazioni delle posizioni delle sue dita in diversi disegni, video (For Beginners (all the combinations of thumb and fingers), 2010) e registrazioni sonore. Il suono e la composizione hanno sempre suscitato l’interesse di Nauman e sono un elemento centrale anche di questa serie recente. La differenza più sorprendente rispetto ai lavori precedenti sta nella scelta di una vecchia opera come punto di partenza. Sebbene questo sia un gesto ricorrente per molti artisti, a Nauman non accade spesso. Nell’ambito della sua pratica, la decisione di tornare sui suoi passi sembra costituire un’eccezione radicale.
Nauman ha affermato che con queste nuove opere intendeva realizzare qualcosa che non era stato tecnicamente possibile, o fattibile, alla fine degli anni sessanta, quando aveva registrato Walk with Contrapposto. In quel video, vediamo l’artista camminare avanti e indietro lungo un corridoio stretto, che lui stesso aveva realizzato, con le mani intrecciate dietro la testa e il corpo che ondeggia mentre cerca di camminare in linea retta mantenendo una posa in contrapposto. Lo vediamo camminare fino alla fine del corridoio, il suo corpo si allontana a ogni passo, poi torna verso di noi, mentre lo sfondo rimane invariato. Nauman ha deciso di invertire il rapporto tra uomo e contesto per farli agire esattamente all’opposto: la figura è ferma mentre lo sfondo si muove[1]. Qualche decennio prima, i mezzi tecnologici a sua disposizione non gli avevano permesso di raggiungere questo risultato, e ora la possibilità di farlo sembra sia stata la motivazione per rinnovare il tentativo nei nuovi lavori. L’unico modo per ottenere l’effetto desiderato è riprendere la figura in movimento e poi utilizzare uno zoom digitale in postproduzione, facendo sì che l’inquadratura sul corpo dell’artista rimanga invariata. Esattamente ciò che Nauman intendeva fare.
Nauman ha accennato al fatto che, prima di scegliere Walk with Contrapposto, aveva guardato alcuni dei suoi primi video con l’intenzione di individuarne uno adatto a essere rivisitato. Cosa di per sé notevole, poiché notoriamente Nauman evita di guardare i suoi primi film e video, anche durante le mostre. Una delle opere che ha preso in considerazione è Slow Angle Walk (Beckett Walk) (1968), ma ha abbandonato presto l’idea a causa della complessità dei movimenti che richiede. Da ciò si deduce che fin dall’inizio avesse intenzione di eseguirli di persona. Tuttavia, ha anche accennato al tentativo di usare qualcun altro al suo posto per i nuovi video, e di avere poi cambiato idea. All’epoca Nauman si stava riprendendo da una malattia che lo affliggeva da diversi mesi e questo lavoro gli offrì l’opportunità di mettere alla prova il senso di equilibrio e la resistenza fisica. L’impulso alla base della realizzazione dei Contrapposto Studies sembra essere stato il desiderio di tornare a un’opera giovanile per ottenere qualcosa che non era stato possibile realizzare in origine – essenzialmente ribaltando il concetto alla base del lavoro esistente – e per mettere alla prova il suo equilibrio allo scopo di valutare la propria condizione fisica. L’obiettivo iniziale dunque era sia concettuale sia puramente pratico.
[1] Le considerazioni di Bruce Nauman riportate in questo saggio sono tratte dalle interviste fatte all’artista da chi scrive nel 2016 e 2017, durante le quali si discusse della genesi e della creazione dei Contrapposto Studies.
I titolari della Membership di Palazzo Grassi e Punta della Dogana entrano gratuitamente a Palazzo Strozzi. I possessori del biglietto della mostra di Punta della Dogana hanno diritto al biglietto ridotto per la mostra American Art 1961-2001(€ 12 invece di € 15).
Negli ultimi mesi segnati dalla chiusura dei nostri spazi espositivi, i due grandi progetti site specific di Marinella Senatore e JR hanno permesso di riflettere sull’idea di comunità, condivisione, fruizione della cultura, creando un inedito dialogo tra Palazzo Strozzi e lo spazio pubblico, fisico e digitale. Sono stati progetti che hanno avuto un’eco enorme, dalla stampa ai social media, passando per il passaparola delle persone che sono riuscite a vedere le due grandi installazioni. Con American Art 1961-2001, finalmente, torniamo ad aprire una grande mostra all’interno del Palazzo dopo sette mesi dalla chiusura di Tomás Saraceno. Aria. Si tratta di un’occasione speciale, sia perché questa esposizione segna la riapertura di Palazzo Strozzi, ma anche per l’eccezionalità dell’esposizione: uno straordinario percorso fatto di capolavori della storia dell’arte del Novecento, importanti e iconiche opere di artisti che hanno segnato l’arte americana dall’inizio della Guerra del Vietnam fino all’attacco dell’11 settembre 2001.
Sono oltre 80 le opere che sono arrivate a Firenze direttamente dagli Stati Uniti, in prestito dal Walker Art Center di Minneapolis. L’arrivo delle casse nel cortile è stato, per Palazzo Strozzi e per la città, un simbolo di rinascita: l’arte diventa nuovamente fruibile in presenza e non più solo a distanza. Il trasporto e l’installazione di così tante opere, in un’epoca così difficile, sono stati resi possibili dal lavoro degli staff di Palazzo Strozzi e del Walker Art Center che si sono ritrovati ad affrontare nuove sfide logistiche, per realizzare secondo i protocolli di sicurezza aggiuntivi tutte le operazioni necessarie all’apertura della mostra.
A cura di Vincenzo de Bellis (Curator and Associate Director of Programs, Visual Arts, Walker Art Center) e Arturo Galansino (Direttore Generale, Fondazione Palazzo Strozzi) American Art 1961-2001 è il frutto di quattro anni di lavoro e di stretta collaborazione tra i due istituti. La mostra testimonia la poliedrica produzione artistica americana propone un’inedita rilettura di quarant’anni di storia affrontando temi come lo sviluppo della società dei consumi, la contaminazione tra le arti, il femminismo, le lotte per i diritti civili. Il percorso espositivo parte da figure fondamentali come Mark Rothko, Robert Rauschenberg e Andy Warhol, di cui sono presentate ben 12 opere, celebrando la grande stagione dell’arte degli anni Sessanta, testimoniata anche dalle opere di maestri come Donald Judd, Robert Morris, Bruce Nauman.A questi fanno seguito la riflessione sulla figura della donna di Cindy Sherman, le appropriazioni dal mondo della pubblicità di Richard Prince e Barbara Kruger, la fotografia provocatoria e allo stesso tempo intimista di Robert Mapplethorpe, o le inquietanti narrazioni posthuman di Matthew Barney. Un focus speciale è dedicato inoltre alle più recenti ricerche artistiche, tra cui spiccano autori centrali nella riflessione sull’identità americana come Paul McCarthy e Catherine Opie o figure di riferimento per la comunità afroamericana quali Kerry James Marshall e Kara Walker.
A conclusione del primo weekend di mostra, oltre 2000 visitatori hanno ammirato le opere dei grandi maestri dell’arte americana a Palazzo Strozzi. Questo numero costituisce un importante segnale di ripartenza della vita culturale, sociale ed economica del nostro territorio. I visitatori hanno dimostrato da subito grande entusiasmo e questo testimonia non solo la qualità delle nostre proposte, ma soprattutto quanto sia importante che le persone riprendano a frequentare mostre, musei e luoghi della cultura per riappropriarsi delle città all’insegna dell’arte e della bellezza.
“Cosa state facendo?” “E ora che i musei sono di nuovo chiusi su cosa lavorate?” “Che cosa fate tutti i giorni?” Queste sono solo alcune delle domande che ci sentiamo rivolgere in questo periodo. In realtà, ogni giorno, in presenza o da remoto, ognuno di noi a Palazzo Strozzi sta lavorando per portare avanti tanti progetti, alcuni destinati a compiersi nei prossimi mesi, altri che vedranno la luce negli anni a venire.
A un anno esatto dall’inizio della pandemia che ha cambiato il nostro mondo, come tutte le istituzioni culturali italiane ci ritroviamo nuovamente di fronte alla chiusura di mostre e musei, questa volta a intermittenza. Le conseguenze sul mondo dell’arte, e non solo, sono sotto gli occhi di tutti. Abbiamo dovuto adeguare i nostri programmi all’insegna della flessibilità, modificare la programmazione delle grandi mostre e delle attività quotidiane con i nostri visitatori, cambiare le modalità con cui interagiamo con ogni singola persona. L’abbiamo fatto negli ultimi dodici mesi con la riapertura della mostra Tomás Saraceno. Aria a giugno, sperimentando nuove forme di visita e di interazione con il nostro pubblico, e a dicembre con la grande installazione We Rise by Lifting Others di Marinella Senatore, che ci ha dato l’opportunità di ricreare un senso di comunità tra il fisico e il digitale. Abbiamo dato il meglio di noi, e continueremo a farlo.
Laboratorio famiglie durante la mostra Tomás Saraceno. Aria. Foto Giulia Del Vento.
Ogni giorno, tutto il nostro gruppo di lavoro è all’opera, da chi si occupa di comunicazione e promozione a chi elabora progetti educativi, da chi è impegnato sulle pubblicazioni e da chi gestisce gli spazi e gli allestimenti fino a chi sovrintende alla nostra amministrazione. Si lavora ai prossimi progetti espositivi e artistici, alle nuove modalità di dialogo con i nostri pubblici, all’analisi dell’anno che abbiamo da poco lasciato alle spalle. Sono attività che hanno da sempre caratterizzato il lavoro della nostra Fondazione, fin dalla sua nascita ormai quindici anni fa. Proprio in questo periodo stiamo dedicando ancora più attenzione ai piccoli dettagli, per poter offrire il meglio in un anno che si prospetta ancora difficile e ricco di sfide.
Le sale del piano nobile preparate per la mostra American Art 1961-2001. Foto Matthias Favarato.
Per questo 2021 stiamo lavorando – anzi, siamo in dirittura d’arrivo –nella preparazione di American Art 1961-2001. I lavori per l’allestimento delle sale sono già quasi terminati: i nostri spazi sono in attesa di accogliere le opere in arrivo dal Walker Art Center di Minneapolis e i futuri visitatori che potranno così scoprire una straordinaria selezione di opere che testimoniano la storia dell’arte americana, da Andy Warhol a Kara Walker. Insieme alla mostra, stiamo predisponendo un ricco public program, con appuntamenti fisici e online, che permetterà di far conoscere a fondo i grandi artisti esposti ma anche questi quarant’anni di storia. In parallelo, il nostro direttore Arturo Galansino e il curatore Joachim Pissarro continuano a lavorare alla grande mostra Jeff Koons. Shine, in calendario per il prossimo autunno.
La nostra attività, tuttavia, non si ferma qui. Ci sono molti altri progetti e fondamentali spazi del palazzo sono interessati da importanti interventi, come la nostra biglietteria, che sarà più accogliente e luminosa e allo stesso tempo adeguata alle nuove necessità dettate dalle regole di distanziamento. Ma stiamo lavorando anche per i prossimi anni. Per rispettare l’alternarsi a Palazzo Strozzi di mostre di arte moderna, contemporanea e di cosiddetti “old masters”, per la primavera del 2022 stiamo organizzando una straordinaria esposizione su uno dei più amati artisti del Rinascimento fiorentino. Infine, non mancano molti giorni a un grande appuntamento che vedrà protagonisti gli spazi pubblici del Palazzo: una sorpresa che sicuramente lascerà un segno per il forte significato e l’impatto visivo dell’intervento.
Ecco perché alla domanda “cosa state facendo?” rispondiamo: “stiamo lavorando per voi!”.
Le sale del piano nobile preparate per la mostra American Art 1961-2001. Foto Matthias Favarato.
In copertina: il cortile di Palazzo Strozzi. Foto Alessandro Moggi.
Per molti il 2020 è stato un anno vissuto in sospensione. Sospensione del lavoro, delle scadenze, dei viaggi, delle relazioni. In attesa di ritrovare la quotidianità sottrattaci dalla pandemia facciamo i conti con uno sfasamento che influisce sulla nostra capacità di vivere il presente e immaginare il futuro.
Sebbene l’emergenza sanitaria abbia riguardato tutti indistintamente, giovani e giovanissimi hanno subito i suoi effetti proprio nel momento in cui l’individuo inizia a esplorare il mondo oltre lo spazio domestico. Sappiamo ancora poco delle ripercussioni che tutto ciò avrà sulla loro generazione.
È pensando a questo contesto che Palazzo Strozzi sta portando avanti – in collaborazione con enti e amministrazioni di tutto il territorio toscano – una serie di laboratori guidati da artisti e dedicati a ragazze e ragazzi tra gli 11 e i 17 anni. Questo programma, Artisti vagabondi, nasce all’interno di Vagabondi efficaci. Seminare cultura per crescere insieme, il progetto dedicato al contrasto della povertà educativa finanziato dall’impresa sociale Con i Bambini e che riunisce un ampio partenariato coordinato da Oxfam Italia.
Un momento di attività presso Officina Giovani a Prato. Foto di Mouhamed Yaye Traore
Il progetto, avviato nel 2018, nasceva con l’ambizione di realizzare in tre anni centinaia di attività in tutta la Toscana, proponendo laboratori interdisciplinari di 12 o 20 ore da realizzare in ambito scolastico ed extrascolastico. La programmazione ha però dovuto fare i conti con l’epidemia di COVID-19, che non ha solo limitato lo svolgimento di attività in presenza, ma ha posto di fronte la necessità di interpretare diversamente gli obiettivi dell’azione, mettendo le risorse umane e finanziare al servizio di un contesto radicalmente mutato.
In un nuovo scenario segnato da paure, insofferenza, spaesamento e dal distanziamento sociale, Palazzo Strozzi ha creato una serie di occasioni per permettere ad adolescenti residenti in diverse aree della Toscana di incontrarsi e di riflettere su questo momento storico per darne una rappresentazione. Il tutto, nel rispetto delle norme sanitarie e nonostante le sfide organizzative che hanno comportato.
Grazie all’aiuto di artisti come Jacopo Natoli e Danilo Innocenti del collettivo Sgorbio, e di Cristina Pancini, abbiamo ideato dei laboratori articolati in varie giornate di attività per stimolare nei partecipanti una risposta attiva a un tempo avverso. Con Sgorbio abbiamo organizzato un centro estivo nella splendida cornice del Parco Vivo di Castiglion d’Orcia, dove l’esperienza è stata dedicata al rapporto con la natura, riscoperto e riconfigurato grazie a un approccio artistico.
Attività presso il Parco Vivo di Castiglion d’Orcia. Foto di Jacopo Natoli e Danilo Innocenti
Jacopo Natoli e Danilo Innocenti hanno dato vita, insieme a un gruppo di under 15, a una «situazione di autoapprendimento» resa secondo i due artisti «ancora più sorprendente dal fatto che, invece che in uno spazio votato all’educazione come l’aula scolastica, sia successo tutto in un bosco». Il risultato concreto di questa esperienza di conoscenza dell’ambiente – e di sé – è stata la produzione di strumenti musicali realizzati con materiali trovati tra alberi e cespugli. Si tratta di un obiettivo che possiamo leggere come il pretesto per attivare un processo ben più importante e cioè, come dice Jacopo, «il fatto che potessimo creare degli strumenti musicali nel bosco senza che nessuno, nemmeno chi conduceva l’attività, avesse un’esperienza in ciò. Facevamo tutti cose che non sapevamo fare».
Attività presso Officina Giovani a Prato. Foto di Mouhamed Yaye Traore
La proposta di Cristina Pancini si è sviluppata nei mesi autunnali e invernali, prima a Prato, presso Officina Giovani, e poi a Figline Valdarno negli spazi del Centro diurno EOS. Ripensami tra 20 anni ripensami è un’attività dedicata alla possibilità di immaginare se stessi nel futuro: un immaginario che la pandemia ha decisamente complicato.
In entrambe le occasioni i partecipanti, tra i 12 e i 17 anni di età, hanno dato forma e voce a ciò che non si può vedere né conoscere: il mondo nell’anno 2040. La difficoltà e il valore di questo lavoro emergono dalle paroledell’artista sul progetto: «In questi giorni così precipitosamente violenti tremiamo, ma proviamo a ritrovarci: alcuni si sentono spaesati, molto spaventati; altri pensano che un pessimismo così diffuso sia esagerato, almeno quanto l’ottimismo di ieri; altri si arrabbiano; altri ancora preferiscono pensare ad altro… Tra tutte, emergono delicate e chiare alcune voci, quelle di chi sente forte il bisogno di prendersi cura del presente e si chiede: Come saremo tra qualche anno? Come vogliamo essere? Cosa possiamo fare?».
Queste domande sono state rivolte dall’artista a chi ha l’età giusta per immaginarsi protagonista di quel futuro: ragazze e ragazzi nei primi anni delle scuole superiori, provenienti da contesti territoriali e familiari diversi, talvolta anche difficili, ma accomunati dagli stessi interrogativi verso il tempo che verrà. Attraverso conversazioni con l’artista, esercizi di rappresentazione, piccole indagini sociali che hanno coinvolto i passanti, ogni partecipante è riuscito a visualizzare, scrivere e illustrare le paure e i desideri che collega al proprio futuro, partendo dalle difficoltà e dalle gioie che già conosce.
Uno degli elaborati esposti all’evento conclusivo dell’attività di Figline Valdarno. Foto di Alessio Bertini
In alcuni casi sono emerse fragilità, dolori, insicurezze e piccole crepe nel percorso di crescita che sono difficili da raccontare con leggerezza. Non è semplice chiedere a una persona di aprirsi con onestà su questioni tanto delicate. Per questo motivo nella seconda edizione dell’attività a Figline i partecipanti hanno scritto i pensieri con inchiostro bianco su carta bianca: uno stratagemma utile per far percepire a chi legge la profondità di certi contenuti, la difficoltà con cui sono affiorati, la loro non gratuità. I documenti sono stati esposti al pubblico in occasione di un evento finale, un momento fondamentale per il funzionamento di tutta l’esperienza. Alcune ragazze del gruppo di Figline non si sono presentate, preferendo che fossero le parole scritte con il bianco e lette in controluce a parlare per loro. Tutti però hanno firmato un contratto che li impegna simbolicamente a ritrovarsi tra vent’anni per verificare insieme quante di quelle previsioni si saranno avverate. Nel frattempo, tutti i testi rimarranno sigillati in un’urna conservata nelle biblioteche e negli archivi della città in cui sono stati scritti. Fino al 2040.
Il contratto che lega i partecipanti del progetto. Foto di Alessio Bertini
Per la realizzazione di Manifesto Ergo Vivo a Castiglion d’Orcia si ringraziano il Teatro Povero di Monticchiello e Parco Vivo di Vivo d’Orcia.
Per la realizzazione di Ripensami tra 20 anni ripensami si ringraziano il Comune di Prato, il Teatro Povero di Monticchiello, il consorzio E.Co, la cooperativa L’inchiostro, gli educatori Marianna Di Rosa e Antonio Filippone che hanno condotto le attività insieme all’artista.
In copertina: Attività nel centro storico di Prato in occasione di Ripensami tra 20 anni ripensami. Foto di Mouhamed Yaye Traore
Dal 3 dicembre, grazie alla grande installazione di Marinella Senatore We Rise by Lifting Others, il cortile di Palazzo Strozzi torna a essere una piazza viva, un luogo di partecipazione e coinvolgimento. Durante questi giorni sono migliaia le persone che fotografano e condividono sui social network punti di vista, interpretazioni, visioni dell’opera di Marinella, alimentando una riappropriazione personale dello spazio di Palazzo Strozzi attraverso la fruizione di un’opera che ci propone, nel cortocircuito estetico con la forma della luminaria, frasi che richiamano all’empowerment individuale e collettivo.
Marinella pone alla base del suo lavoro le connessioni sociali che, innestate nel tessuto di una comunità, sono attivate con processi di partecipazione e di condivisione. Nel corso della sua carriera, i suoi progetti hanno coinvolto milioni di persone, da Venezia a Palermo, da New York a Johannesburg attraverso diverse modalità e dispositivi. A Firenze per Palazzo Strozzi, in un momento storico segnato dal distanziamento sociale, parte essenziale del progetto è stata la progettazione di workshop digitali che permettessero di unire le persone in una nuova idea di condivisione: non una trasposizione online di un’esperienza dal vivo, ma una forma nuova concepita appositamente per la dimensione digitale a distanza. Le frasi inneggianti all’idea di comunità e di sostegno reciproco dell’installazione del cortile sono un punto di partenza per i laboratori, pensati come un ulteriore livello di attivazione delle persone nel dibattito, nello scambio e nell’espressione di sé.
Marinella Senatore, The School of Narrative Dance, Johannesburg, 2019, Photo Stella Olivier. Courtesy the artist.
I workshop si concentrano sull’uso del corpo per una narrazione non verbale di idee, riflessioni e punti di vista: ogni persona diviene protagonista attiva ed è chiamata a seguire e interpretare le indicazioni coreografiche che nascono dal dialogo con l’artista e con le sue collaboratrici, le coreografe Elisa Zucchetti e Nandhan Molinaro, membri del collettivo berlinese ESPZ. Sono oltre 150 i partecipanti ai workshop, suddivisi in cinque gruppi di lavoro: studenti, educatori, utenti di centri diurni, detenuti, artisti e tante altre persone che negli ultimi anni hanno partecipato a varie iniziative di Palazzo Strozzi, che sono entrate a far parte della nostra comunità. A queste si aggiunge un sesto gruppo di soli quindici partecipanti, formato da ospiti di RSA, persone con Alzheimer in compagnia dei loro carer e familiari, persone che stanno vivendo con maggiori difficoltà i periodi di confinamento che hanno caratterizzato questo lungo 2020.
I partecipanti, tranne poche eccezioni, non hanno confidenza con la danza e questo tipo di workshop porta con sé una specifica sfida: utilizzare il corpo in movimento di fronte a uno schermo. Sono proposti piccoli esercizi di riscaldamento che si concentrano su azioni specifiche: respirare correttamente, liberare la mente, muovere una mano o un piede immaginando di avere una matita.
Gli esercizi permettono ai partecipanti di prendere confidenza con il movimento e con lo spazio. Il corpo diventa espressività, il mezzo per connettersi al proprio luogo fisico ma anche oltre lo schermo. Le coreografie nascono dall’interpretazione personale dei partecipanti di concetti e idee emerse dalla discussione con l’artista, e i singoli movimenti diventano espressione visiva e dinamica di un pensiero complesso.
Nella relazione tra partecipanti mediata dallo schermo del computer, e dalle tante “finestre” aperte su singoli mondi privati, l’immagine dei diversi partecipanti arriva così a restituire un’impressione di presenza quasi più forte, più libera e più efficace di quanto possa fare la sola dimensione verbale. I corpi incasellati nella griglia di Zoom danno forma a un movimento di insieme, fatto di assonanze e dissonanze, poetico e libero anche in virtù della sua spontaneità.
La libertà è un aspetto fondamentale dell’attività. «Forse è più semplice ballare davanti a un video che insieme a tanta gente, nel comfort della propria casa uno forse si sente più libero, più a suo agio», afferma infatti una delle partecipanti, Rossana. Ed è proprio la casa, la stessa in cui abbiamo passato la maggior parte del tempo in quest’ultimo anno, che dà un senso di sicurezza tale da permettere anche a chi non ha esperienza di proporsi liberamente in passi di danza di fronte a sconosciuti.
Gli esercizi coreografici permettono di dare sostanza a forme del pensiero che la sola parola non può permettere e riescono a creare comunità, adesione, aggregazione. Come afferma una partecipante, Lucia: «È stato un momento intenso. Mi sto regalando dei momenti per me, insieme a voi; è questa la cosa bella e importante. Anche se abbiamo un video, però vi sento, è come avervi qui. È incredibile come pensiamo tutti che il video e le cose digitali siano fredde e invece non lo sono». Nella dinamica coreografica ideata da Marinella fondamentale è infatti la dimensione del presente, del “qui e ora”, in cui le sue indicazioni ai partecipanti servono come stimoli e non come istruzioni, andando a favorire l’emancipazione affinché ciascuno di appropri delle indicazioni dell’artista in modo autonomo e libero.
Parole come quelle di Lucia testimoniano come un’esperienza possa includere persone con provenienza e abilità diverse per dare forma attraverso l’arte a quella comunità plurale e variegata che è al centro del lavoro dell’artista. Fine ultimo dell’attività non è infatti solo mettere in comunicazione persone diverse. Come sempre nel suo lavoro, Marinella attua un principio di “cura” delle persone e tra le persone, portando avanti una forma di arte partecipativa realmente aperta, entropica e permeabile, che di principio elude schemi aprioristici mirando all’ascolto e alla ricezione, sollecitando una attiva e libera creazione di relazioni e dinamiche umane e sociali. Le connessioni virtuali che si vengono a creare durante i workshop hanno uno spessore emotivo tangibile, forte, capace di attraversare la distanza imposta dallo schermo e le diverse capacità e possibilità di comunicazione di ognuno. Ed è in questo senso che persone con Alzheimer collegate da una RSA o dalla propria casa o detenute collegate dal carcere di Sollicciano diventano parte del progetto, protagonisti liberi, attivi, chiamati a un contributo individuale nella creazione di quest’opera collettiva.
Gli ultimi incontri del workshop sono previsti per la prima metà di gennaio. Si tratterà di un ultimo e fondamentale passaggio prima che l’artista possa dare forma a una restituzione che farà tesoro di tutte le attività svolte. Questa restituzione non sarà un punto di arrivo, bensì l’inizio di una ulteriore relazione con tutto il pubblico. Come dice la stessa Marinella Senatore: «Pensarsi comunità significa anche questo: persone che attivano altre persone. Pur non entrando in contatto direttamente, le istanze di ognuno di noi, nelle mani degli altri, filtrate da diverse memorie, autobiografie, desideri e pensieri, verranno portate a un risultato completamente diverso».