La professione del registrar a Palazzo Strozzi

Linda Pacifici si occupa del coordinamento delle mostre in qualità di Senior Registrar presso la Fondazione Palazzo Strozzi. È stata recentemente eletta Presidente di Registrarte, l’Associazione Italiana dei Registrar di Opere d’Arte, nata dall’esigenza di creare un network di comunicazione e collaborazione tra i professionisti che operano nel campo dell’organizzazione di mostre o della gestione di prestiti di opere d’arte.

Il registrar è una nuova figura museale che, pur essendo ben definita all’estero, sembra essere ancora poco riconosciuta in Italia. Di che cosa si occupa e come si diventa registrar?

Il registrar è “colui che segue le opere” e se ne prende cura in modo che queste non subiscano danni, sia quando sono esposte nel loro luogo abituale, sia quando si spostano in occasione delle mostre temporanee. In realtà il lavoro è molto più complesso e richiede anche delle conoscenze giuridiche per gestire i contratti di prestito ed economiche per compilare i budget. Purtroppo non esistono percorsi di studio specifici, ovviamente ci vuole una base di conoscenza di storia dell’arte, ma le altre competenze si acquistano più sul campo e secondo le proprie capacità personali.

Le competenze del registrar sono davvero trasversali e comprendono diverse azioni per mobilitare le opere d’arte provenienti da altri musei. Per la mostra Bellezza divina tra Van Gogh, Chagall e Fontana, mostra ricca di capolavori prestigiosi, c’è stato un prestito che ha richiesto maggiori risorse dal punto di vista organizzativo?

Sicuramente la Crocifissione bianca di Marc Chagall proveniente dall’Art Institute di Chicago. E’ stata una trattativa complessa fin dall’inizio, soprattutto a causa dello spostamento del quadro in Battistero (in occasione del V Convegno Ecclesiale Nazionale l’opera è stata esposta il 9 e 10 novembre nel Battistero di San Giovanni di Firenze, ndr). Essendo l’opera inserita in un climaframe, una sorta di cornice di cui noi vediamo solo il vetro davanti ma che in realtà chiude la tela anche sul retro mantenendone costante il livello di umidità e temperatura, non soffre molto le variazioni climatiche, ma è stata comunque fatta una misurazione del clima in Battistero una ventina di giorni prima dello spostamento per verificare che non ci fossero troppi sbalzi di umidità, molto dannosi per le opere. Inoltre la cassa è stata specificatamente costruita in modo da poter entrare nel nostro montacarichi, e quindi far uscire e rientrare l’opera agevolmente dalle sale espositive di Palazzo Strozzi. L’operazione si è svolta in due giorni sfruttando i momenti in cui la mostra era chiusa al pubblico: la mattina presto del 9 novembre e la sera del 10. Tutto lo spostamento è stato programmato nei minimi dettagli, e ha richiesto un discreto sforzo da parte del nostro ufficio.

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La movimentazione di un’opera d’arte prevede un iter ben preciso sotto l’aspetto burocratico e gestionale, sinteticamente quali sono i passaggi principali?

Per la gestione ci sono tanti aspetti che si riassumono in quattro grandi voci: condizioni di prestito, assicurazioni, trasporti e allestimento. Per prima cosa si deve richiedere il prestito di un’opera, e se questa viene concessa, si sigla un contratto di prestito che riassume tutte le condizioni, ad esempio se c’è bisogno di un restauro, se ci sono delle spese amministrative, quali sono le norme da seguire per il trasporto. Questa è un’operazione che si fa anche due o tre anni prima di una mostra. Qualche mese prima invece si inizia a lavorare su trasporti e assicurazioni, e si intavola una fitta corrispondenza con i prestatori per fissare ogni particolare e non lasciare niente al caso. Con l’architetto poi si verifica che l’allestimento non nasconda pericoli potenziali per la conservazione delle opere, e che siano rispettate le richieste dei prestatori, ad esempio l’impiego di vetrine, distanziatori, etc. Poche settimane prima dell’apertura della mostra infine si costruisce il piano degli arrivi delle opere e dei corrieri, le persone designate dai musei per seguire le opere in prestito. L’aspetto burocratico si connota soprattutto nell’ambito delle relazioni con il Ministero per i Beni Culturali, che deve rilasciare l’autorizzazione al prestito per le opere italiane e quella alla temporanea importazione per le opere provenienti dall’estero.

Alcune delle opere di Bellezza divina hanno richiesto un particolare intervento di restauro prima di poter essere esposte in mostra, come I Maccabei di Antonio Ciseri. In quale maniera una mostra temporanea può contribuire alla valorizzazione delle opere esposte?

Sicuramente i restauri, insieme ai cataloghi, sono la parte che rimane di una mostra, come le foto in un matrimonio. Spesso la partecipazione ad una mostra è per alcuni enti l’unica opportunità per fare degli interventi di restauro per i quali, altrimenti, non avrebbero i fondi. Per le chiese in particolare i restauri sono un bene prezioso. Bisogna verificare però che, al rientro nella sede abituale, non ci siano più le condizioni che avevano determinato il danneggiamento, come ad esempio le candele accese davanti all’altare o il calore prodotto da stufe.

 

Il restauro del Martirio dei sette fratelli Maccabei

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Antonio Ciseri, I Maccabei, 1857-1863, Firenze, Chiesa di Santa Felicita (confronto dell’opera prima e dopo il restauro)

Il capolavoro di Antonio Ciseri raffigurante Il martirio dei sette fratelli Maccabei è un dipinto a olio su tela del 1857-1863, di grande dimensione (463,5 cm in altezza e 265,5 in larghezza) conservato nella terza cappella della parete destra della navata di Santa Felicita a Firenze.

Ben nota è la lunga elaborazione del dipinto (1852-1863) per cui Ciseri produsse numerosissimi disegni preparatori e bozzetti a olio. Durante il restauro si è potuto constatare che Ciseri effettuò anche alcune modifiche cromatiche perfino dopo aver già dipinto con il colore iniziale. Le immagini sono state create attraverso una sovrapposizione di stesure: le parti scure sono state date a velatura; mentre quelle chiare sono state realizzate con pennellate più corpose, talvolta fino a creare un rilievo pronunciato (per esempio l’estremità dell’ascia, le perle della madre dei Maccabei, il ceppo e il sangue del martire più giovane.

Antonio Ciseri rifiutò di inviare l’opera a una mostra a Roma già nel 1883 per ragioni di sicurezza del dipinto, realizzato nello studio dell’artista in via delle Belle Donne, vicino a Palazzo Strozzi.

Collocata sull’altare, posizionato a circa 3 metri da terra, l’opera si presentava complessivamente in un discreto stato di conservazione: il dipinto manteneva una buona planarità e l’adesione degli strati pittorici alla tela non sembrava precaria, tranne la zona in cui vi era un taglio a ‘T’ di circa 8 cm situato nella pelliccia del martire in primo piano; la leggibilità generale dell’opera era lievemente offuscata, e l’intera superficie appariva ingrigita dai vari strati superficiali alterati.

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Lacerazioni sul lato sinistro

Dopo lo smontaggio dell’opera dall’altare, tuttavia, si sono constatati altri problemi di conservazione anche gravi che prima non si potevano verificare: il supporto tessile manifestava diversi piccoli strappi e lacerazioni sia lungo i bordi del dipinto sia sulla superficie pittorica. Le lacerazioni più recenti, lunghe circa 30 cm presenti sul lato sinistro, richiedevano un urgente intervento di restauro. Sul verso della tela, inoltre, si sono rilevate 12 toppe di tela applicate probabilmente durante un precedente restauro, avvenuto nel 1947, per risanare strappi e lacune di minore entità. L’opera è stata sottoposta ai seguenti interventi di restauro minimo e necessario: la pulitura degli strati superficiali alterati – depositazione atmosferica, nero fumo di candele e materiale di restauro – tramite rimozione selettiva senza intaccare la vernice sottostante; il risanamento delle lacerazioni sui bordi con delle strisce di poliestere previo smontaggio parziale della tela dal telaio; il consolidamento dei filati della tela nei bordi; la fermatura localizzata con iniezione di resina acrilica sulle zone con lievi sollevamenti; il risanamento dello strappo a ‘T’; il risanamento del telaio; la stuccatura sulle zone perimetrali con uno stucco più elastico e resistente all’umidità rispetto al consueto stucco; l’integrazione pittorica con un metodo di selezione cromatica che ha permesso di rispettare l’originale tramite l’utilizzo di colori a vernice caratterizzati da ottima stabilità fotochimica e solubilità; una leggerissima verniciatura a nebulizzazione; infine, l’inserimento di pannelli di polietilene espanso sagomati per ogni sezione vuota creata tra i regoli del telaio e le traverse al fine di ovviare all’eccessiva oscillazione della tela e quindi per proteggere il dipinto sia da eventuali urti che da umidità.

L’intervento di pulitura, seppure effettuato senza rimuovere la vernice ingiallita che conferisce un tono lievemente dorato all’intera pittura, ha permesso un apprezzamento di dettagli prima poco visibili: gli sgherri sullo sfondo, la scatola di gioie sequestrata, il bacile contenente la testa di maiale, un’altra madre disperata vicina ai due sacerdoti i cui volti sono stati ritratti in modo sommario, molto diverso dallo stile di Ciseri, la differenza dell’incarnato tra persecutori e martiri: il tono più rossastro e scuro nei persecutori e quello più pallido e freddo nei martiri e nella madre.

Kyoko Nakahara
Restauratrice di Beni Culturali (dipinti su tela e tavola).

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Particolare dei due satrapi durante la pulitura. Particolare del martire in primo piano durante la pulitura.

Bellezza divina raccontata dal curatore Carlo Sisi

La mostra Bellezza divina analizza e contestualizza oltre un secolo di arte sacra moderna attraverso un percorso di oltre 100 opere con prestiti da importanti musei e collezioni europei e americani. Cosa rende questa mostra un evento così importante per Firenze e a livello nazionale e internazionale?

Si tratta di una mostra nuova, originale, che non è mai stata fatta. Quando si parla di un’esposizione di arte sacra si suppone che accolga le espressioni artistiche dal Rinascimento al Barocco, non che sia dedicata a un periodo vicino a noi. È una mostra di capolavori di famosissimi artisti internazionali, con prestiti eccezionali, come l’Angelus di Millet, a cui nel nuovo allestimento del Musée d’Orsay è stata riservata una posizione fondamentale e centrale e che incarna nell’immaginario collettivo l’idea stessa di preghiera; la Crocifissione bianca di Chagall dall’Art Institute of Chicago, quadro preferito dal papa; le delicatissime Stazioni della Via Crucis di Fontana del Museo Diocesano di Milano; la Crocifissione di Guttuso della Galleria d’Arte moderna di Roma, solo per citarne alcune. Tutte opere utilizzate per  illustrare i manuali di storia dell’arte, e sarà possibile ammirarle insieme, nelle stesse sale e in dialogo. Bisognerebbe intraprendere molti viaggi per poterle vedere tutte, fare molte code nei musei, e alcune non sarebbe proprio possibile ammirarle perché vengono da ambienti appartati (abbazie, case di riposo, conventi) o da collezioni private. Inoltre ben dieci opere appositamente restaurate (ed è da sottolineare l’importanza che assume il restauro di opere appartenenti a istituzioni che spesso non potrebbero affrontare simili spese): prima tra tutte la monumentale tela dei Maccabei di Antonio Ciseri della chiesa di Santa Felicita, ma anche Il Redentore di Giuseppe Catani Chiti della chiesa di San Francesco a Siena; L’Annunciazione di Vittorio Corcos del Convento di San Francesco a Fiesole; l’imponente e drammatico Figliol prodigo di Arturo Martini della Casa di Riposo “Jona Ottolenghi” di Acqui Terme; la Crocifissione di Primo Conti del convento di Santa Maria Novella; il San Sebastiano di Gustave Moreau del Musée Gustave Moreau di Parigi; l’Annunciazione di Gaetano Previati della Galleria d’Arte Moderna di Milano; il Grande cardinale di Manzù di Ca’ Pesaro a Venezia.

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Da dove è nata l’idea di una mostra che affronta un tema centrale della storia dell’arte, il genere dell’arte sacra, ma in una chiave originale e difficilmente studiata come la prospettiva dell’arte moderna? E con quale prospettiva il pubblico deve visitarla?

L’idea è nata da una sollecitazione dell’arcivescovo di Firenze, Sua Eminenza cardinale Giuseppe Betori, che ha pensato – in occasione del 5° Convegno Ecclesiale Nazionale che avrà luogo a Firenze in novembre e che vedrà la presenza di papa Francesco – a un’esposizione di arte sacra in una sede laica. Una mostra innovativa su un genere artistico, quello “dell’arte sacra”, dunque non una mostra “confessionale”, in cui vengono proposte anche opere che hanno fatto discutere all’epoca della loro esecuzione. Ma, poiché nella parte centrale ripercorre le vicende della Vita di Cristo, l’esposizione può anche essere letta come una sorta di straordinario “catechismo per immagini”, in un singolare amalgama di espressioni figurative corrispondenti ai diversi temperamenti degli artisti e alle contingenze culturali e politiche in cui si trovarono a operare. Opere diversissime, di momenti anche lontani tra loro che, esposte le une accanto alle altre, divengono spunto per riflessioni. È inoltre una mostra di grande importanza per gli studenti, che vi possono leggere in filigrana (e anche ripercorrere parallelamente alla grande storia dell’arte) vicende di un periodo storico difficile, che parte dall’Italia unita e arriva fino ai momenti più drammatici del “secolo breve”.

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Grandi nomi come Van Gogh, Chagall, Millet, Fontana, Guttuso sono affiancati a quelli di artisti meno noti al grande pubblico in un’ampia varietà di stili e linguaggi. Credi sia possibile tracciare un fil rouge che segni il rapporto tra arte e sacro in epoca moderna? E quali delle opere esposte possono servire al pubblico come punti di riferimento imprescindibili?

La mostra pone un particolare accento su quegli artisti (Severini, Denis, Rouault, Garbari, tra gli altri) il cui impegno creativo non è disgiunto da un coinvolgimento etico e spirituale e che si sarebbe configurato in militanza anche al di fuori della Chiesa istituzionale. Per Denis, ad esempio, fondamentali furono le questioni dell’autonomia artistica nel rispetto delle iconografie tradizionali, e della comunicatività dell’opera di tema sacro, che doveva necessariamente scaturire dall’esperienza personale e profonda dell’artista. La mostra costituisce anche l’occasione per riscoprire artisti oggi meno noti, o che recentemente sono stati oggetto di studi che li hanno riproposti all’attenzione del grande pubblico quali Stanley Spencer, Giuseppe Montanari, Glyn Warren Philpot, Pietro Bugiani. La rassegna vede inoltre accostate espressioni artistiche che esprimono un dialogo interreligioso: la Crocifissione bianca di Chagall, di religione ebraica; opere di autori di formazione protestante, come Van Gogh e Munch, Spencer, o di Philpot, convertitosi al cattolicesimo. Picasso, pur dichiaratamente ateo, ha affrontato più volte il tema della Passione, ed è presente in mostra con una Crocifissione giovanile che ha donato egli stesso al Museo di Barcellona che porta il suo nome.

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Bellezza divina tra Van Gogh Chagall e Fontana: www.palazzostrozzi.org/mostre/bellezzadivina

Perché il Blog di Palazzo Strozzi?

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Negli ultimi anni ho seguito con interesse l’ascesa di Palazzo Strozzi, che da spazio semi-deserto è diventato una sede espositiva importante nel panorama culturale internazionale.

Il mio obiettivo è far di Palazzo Strozzi un luogo ancora più vivo e ancora più aperto, a Firenze e al mondo. Una visione da realizzare attraverso mostre ed eventi che vadano oltre le mura del Palazzo, avvalendosi della collaborazione di grandi istituzioni internazionali e di importanti sinergie territoriali, con l’intento di valorizzare il nostro patrimonio artistico e culturale.

L’idea del blog nasce dal desiderio di raccogliere e dare spazio alle diverse voci che animano Palazzo Strozzi. Attraverso contenuti di differente natura quali interviste, racconti, immagini e video, saranno rivelate le tante storie che contraddistinguono il nostro lavoro, fornendo approfondimenti inediti sulle iniziative svolte.

Il nostro obiettivo è rivolgere uno sguardo verso il mondo esterno, in relazione ai nostri eventi e alle nostre collaborazioni, così come aprire una finestra sul “dietro le quinte” della Fondazione, mostrando ciò che le persone non hanno modo di vedere o conoscere.

Ci piacerebbe inoltre dare risposte alle vostre domande riguardo alla nostra attività ed avere l’opportunità di ascoltare la vostra voce.

Arturo Galansino
Direttore Generale
Fondazione Palazzo Strozzi