Una mostra, tanti modi di visitarla

Palazzo Strozzi dedica un’attenzione particolare ai propri visitatori e propone un’ampia selezione di attività pensate per rendere la visita alla mostra un’esperienza ancora più significativa. Oltre ai percorsi guidati con gli educatori si può scegliere un’attività da fare in autonomia come il Kit Famiglie o il Kit Disegno per scoprire le opere in mostra per scoprire le opere da inaspettati punti di vista. E per chi vuole prendersi una pausa durante la visita la Sala Lettura offre una selezione di libri da sfogliare ispirati ai temi e agli artisti della mostra.

 

Sala lettura: una sala sempre aperta alle vostre storie

La sala lettura è un luogo speciale all’interno del percorso espositivo dedicato ai visitatori che vogliono far volare l’immaginazione, che desiderano scoprire e sfogliare le pubblicazioni dedicate ai temi e agli artisti della mostra oppure, semplicemente, a chi vuole un momento di pausa dalla visita.

In occasione della mostra Da Kandinsky a Pollock. La grande arte dei Guggenheim, troverete in sala lettura una grande parete con la cronologia degli eventi collegati alla vita di Solomon e Peggy Guggenheim e il progetto La storia di un’opera d’arte. Avrete infatti la possibilità di creare un nuovo contesto e una nuova storia per i dipinti di Francis Bacon, di Wassily Kandinsky e per un mobile di Alexander Calder, disegnando su tre album che sono sempre a disposizione del pubblico e della sua creatività.

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Kit Famiglie

Il Kit famiglie è dedicato ad adulti e bambini, pensato appositamente per condividere la visita in mostra in maniera divertente e creativa. Ogni tappa del percorso prevede un’attività che permette un approfondimento inedito sugli artisti e sulle opere della mostra Da Kandinsky a Pollock. La grande arte dei Guggenheim.

Con il Kit potrete: scoprire, osservare, inventare, disegnare, creare storie, affidarvi al caso, progettare sculture in movimento, lasciarvi stupire dall’arte!

Avrete sempre con voi tutto il necessario per una visita in autonomia: un piccolo libro con giochi e suggerimenti per osservare le opere, oggetti speciali da usare in mostra e un diario per condividere la propria esperienza con le persone che lo utilizzeranno in futuro.

Il Kit Famiglie si può richiedere gratuitamente al Punto Info della mostra, è sempre disponibile e non è neccesaria la prenotazione.

Si ringrazia Il Bisonte per la borsa del Kit Famiglie

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Kit Disegno

Un album, una matita, una gomma ed un suggerimento per osservare le opere!

Il Kit Disegno è un materiale disponibile per i visitatori della mostra, pensato per allenare lo sguardo ed esprimere la propria creatività attraverso la più antica forma d’arte: il disegno.

Disegnare è guardare, è conoscere, è interagire con un’opera d’arte in modo diverso, è un metodo per concentrarsi e allo stesso tempo per perdersi davanti ad un quadro o una scultura. Un’immagine disegnata contiene in sé l’esperienza dell’osservazione, tradurre quello che vediamo in un nuovo disegno rappresenta il nostro personale sforzo di dare una forma al mondo.

Il Kit Disegno è rivolto a chiunque voglia visitare la mostra e sperimentare un nuovo modo di guardare l’arte dei grandi artisti. L’importante non è realizzare un bel disegno, ma lasciare che occhio, mano e matita lavorino insieme trasportandoci nell’esperienza della creazione.

Il Kit si può richiedere gratuitamente al Punto Info della mostra, sempre disponibile e non necessita di prenotazione.

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Scoprite tutte le attività educative di Palazzo Strozzi

Il debutto di Peggy Guggenheim in Italia

di Ludovica Sebregondi

Alle 17 di giovedì 24 febbraio 1949 la mostra La collezione Guggenheim inaugurò a Firenze nei sotterranei di Palazzo Strozzi la Strozzina come nuovo spazio espositivo fiorentino dedicato principalmente all’arte contemporanea. Direzione, organizzazione e segreteria della Strozzina furono assunte dallo Studio Italiano di Storia dell’Arte, fondato e diretto dal critico Carlo Ludovico Ragghianti.
Peggy Guggenheim era tornata in Europa dagli Stati Uniti nel 1947 e aveva deciso di stabilirsi a Venezia, e proprio alla Biennale del 1948, la prima dopo la fine della guerra, aveva presentato la propria collezione.

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Peggy Guggenheim all’inaugurazione dell’esposizione della sua collezione presso il padiglione greco, alla XXIV Biennale di Venezia, mentre accoglie il Presidente Luigi Einaudi, 1948. © Fondazione Solomon R. Guggenheim, foto Archivio Cameraphoto Epoche, donazione Cassa di Risparmio di Venezia, 2005

La mostra fiorentina dell’anno successivo fu possibile anche grazie alla disponibilità di Rodolfo Pallucchini, Segretario Generale della Biennale, che aveva agevolato la realizzazione dell’esposizione. A Firenze, rispetto alla mostra dell’anno precedente, fu aggiunto circa un terzo di opere inedite per il pubblico italiano. La copertina del piccolo catalogo reca il 19 febbraio come data di inaugurazione e il 10 marzo quale giorno di chiusura. Non siamo in grado di confermare quest’ultima, mentre l’apertura fu rinviata al 24 febbraio.

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Copertina del catalogo della mostra “La collezione Guggenheim” che inaugura gli spazi espositivi della Strozzina, in Palazzo Strozzi a Firenze

Ricorda Peggy Guggenheim nell’autobiografia: «Quando arrivai a Firenze fui colpita […] da alcuni terribili paraventi che assomigliavano a tende da doccia e che erano stati sistemati per creare più spazio». Peggy ricorda Ragghianti come un «critico molto noto» che – dopo l’annullamento della mostra al Museo di Torino poiché le autorità avevano deciso «di non esporre quadri così moderni» – le aveva proposto di presentare la collezione «a Firenze nella Strozzina, la cantina del Palazzo Strozzi, che lui stava per trasformare in una galleria d’arte moderna». Se allestimento e spazi la lasciarono perplessa, Peggy fu invece molto soddisfatta del «catalogo eccellente, che da allora in poi rimase la base di tutti i cataloghi in italiano».

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Retro del catalogo della mostra, con un disegno di Max Ernst tratto dal catalogo della collezione di Peggy Guggenheim pubblicato, in inglese, nel 1942

La mostra della Collezione Guggenheim provocò a Firenze accese discussioni. La critica si divise: già la domenica precedente all’inaugurazione Pietro Annigoni sulle pagine del «Mattino dell’Italia Centrale» nella recensione dal famoso titolo Arriva a Palazzo Strozzi il baraccone della Guggenheim, si scagliò violentemente contro la «vecchia e annoiata miliardaria americana», ma soprattutto contro gli organizzatori della mostra, «certi antiquari o storici d’arte o studiosi d’arte», colpevoli di aver portato «nel cuore di Firenze […] una pagliacciata». Secondo Annigoni «mai come ora Firenze è apparsa cafona e provinciale», per essersi piegata a ospitare simili opere.

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Pietro Annigoni, Arriva a Palazzo Strozzi il baraccone della Guggenheim, “Il Mattino dell’Italia Centrale”, 20 febbraio 1949.

Non fu il solo, un pesante attacco fu sferrato da Piero Bargellini su un altro articolo uscito sul «Mattino dell’Italia Centrale». Il pezzo, intitolato con sarcastico gioco di parole Le commissioni della Signora Peggy, la presenta come un’ereditiera che invece «di fare incetta di canini di varie razze o d’idoletti cinesi», «ha messo insieme, con raffinato e perverso gusto, pezzi rari d’artisti cubisti, astrattisti, prunisti, simultaneismi, neoplasticisti, costruttivisti, supremalisti, dadaisti, surrealisti, neoclassicisti, primitivisti, e chi più n’ha, più ne metta». 
Non erano però solo i fiorentini a non comprendere l’importanza dell’esposizione, se la poetessa Elise Cabbot di Dublin, New Hampshire – entusiasta della quantità di quadri esposti – chiese: «Ma dove lo trova, Peggy, il tempo di dipingerli tutti?».

Peggy Guggenheim, una vita da collezione

Fino al 24 luglio 2016 Palazzo Strozzi ospita la grande mostra Da Kandinsky a Pollock. La grande arte dei Guggenheim che porta a Firenze oltre 100 capolavori dell’arte europea e americana tra gli anni venti e gli anni sessanta del Novecento, in un percorso che ricostruisce rapporti e relazioni tra le due sponde dell’Oceano, nel segno delle figure dei collezionisti americani Solomon e Peggy Guggenheim.

 

Peggy Guggenheim nasce a New York il 26 agosto del 1898, da Benjamin Guggenheim e Florette Seligman. Benjamin Guggenheim (che nell’aprile del 1912 muore nell’affondamento del Titanic), contribuisce a creare, alla fine del XIX secolo, insieme al padre Meyer (di origine svizzera) e ai sette fratelli, un impero finanziario fondato sullo sfruttamento minerario, in particolare del rame. I Seligman sono invece un’importante famiglia di banchieri.

Peggy cresce a New York e nel 1921 comincia a viaggiare in Europa. Grazie a Laurence Vail (suo primo marito e padre dei due figli Sindbad e Pegeen, futura pittrice), Peggy si ritrova ben presto nel cuore della vita bohémienne parigina, insieme a parte della società americana espatriata e molti degli artisti conosciuti allora, quali Constantin Brancusi, Djuna Barnes e Marcel Duchamp, che sarebbero poi divenuti suoi amici. Nel 1938, consigliata dall’amica Peggy Waldman, Peggy apre una galleria d’arte a Londra che inaugura con una mostra di opere di Jean Cocteau, cui segue la prima personale di Vasily Kandinsky in Inghilterra. Nel 1939, stanca della galleria, Peggy decide di “aprire un museo d’arte contemporanea a Londra” con l’amico Herbert Read come direttore. Il museo dovrebbe seguire un percorso storico e la collezione dovrebbe basarsi su una lista di artisti stilata da Read e successivamente rivista da Duchamp e Nellie van Doesburg. Tra il 1939 e il 1940, Peggy è impegnata ad acquistare opere per il futuro museo, con il proposito di “comprare un quadro al giorno”. È allora che vengono acquistati alcuni dei capolavori della collezione, quali le opere di Francis Picabia, Georges Braque, Salvador Dalí e Piet Mondrian. Peggy sorprende Fernand Léger comprando il suo Uomini in città nel giorno in cui Hitler invade la Norvegia, e acquista Uccello nello spazio di Brancusi quando i tedeschi arrivano a Parigi.

 width=Constantin Brancusi, Uccello nello spazio (L’Oiseau dans l’espace), 1932-1940. Venezia, Collezione Peggy Guggenheim. Foto di David Heald. Ora in mostra a Palazzo Strozzi.

Nel luglio del 1941 Peggy abbandona la Francia occupata dai nazisti e torna negli Stati Uniti insieme a Max Ernst che, pochi mesi più tardi, diventa il suo secondo marito (i due si separano nel 1943). Mentre continua ad acquistare opere per la sua collezione, Peggy cerca un nuovo spazio per il museo. Nell’ottobre del 1942 apre il museogalleria Art of This Century sulla 57a strada, a New York. Progettata dall’architetto austriaco Frederick Kiesler, la galleria è costituita da sale espositive estremamente originali e ben presto diviene il centro d’arte contemporanea più interessante di New York. Ricordando la serata d’apertura Peggy scrive: «Indossai un orecchino di Tanguy e uno di Calder, per dimostrare la mia imparzialità tra Surrealismo e Astrattismo». La galleria presenta la sua collezione d’arte cubista, astratta e surrealista, quella che oggi vediamo sostanzialmente esposta a Venezia. Organizza anche mostre temporanee dei più importanti artisti europei e di vari artisti americani, allora sconosciuti, quali Robert Motherwell, William Baziotes, Mark Rothko, David Hare, Richard Pousette-Dart, Robert De Niro Sr., Clyfford Still, e Jackson Pollock a cui è dedicata la prima personale nel 1943.

 width=A sinistra Peggy Guggenheim con gli orecchini realizzati per lei da Alexander Calder, anni ’50 © Fondazione Solomon R. Guggenheim, foto Archivio Cameraphoto Epoche, donazione Cassa di Risparmio di Venezia, 2005. A destra Peggy Guggenheim con gli orecchini realizzati per lei da Yves Tanguy, anni ’50, Courtesy Solomon R. Guggenheim Foundation.

Pollock e gli altri artisti sono gli iniziatori dell’Espressionismo astratto americano ed è proprio ad Art of This Century che entrano in contatto con il Surrealismo, loro principale fonte d’ispirazione. Fondamentali rimangono comunque la spinta e il supporto dati da Peggy e da Howard Putzel, suo consulente nella galleria, ai membri di questa nascente avanguardia newyorkese, che rappresenterà il primo movimento artistico americano di portata internazionale.

 width=La Galleria astratta di Art of This Century New York, 1942. In fondo a sinistra Vasily Kandinsky, Paesaggio con macchie rosse n. 2 (1913, Collezione Peggy Guggenheim); a destra in primo piano Jean Hélion, Equilibrio (1933, Collezione Peggy Guggenheim). Courtesy Fondazione Solomon R. Guggenheim

Nel 1947 Peggy ritorna in Europa. Nel 1948 la sua collezione viene esposta alla prima Biennale di Venezia del dopoguerra. Proprio a Venezia acquista Palazzo Venier dei Leoni, sul Canal Grande, dove si trasferisce e apre la sua collezione al pubblico, cominciando nel 1949 con una mostra di sculture esposte nel giardino. Nel 1950 organizza la prima personale di Pollock in Europa, nell’Ala Napoleonica di Museo Correr, a Venezia.

La collezione viene, inoltre, esposta a Firenze e Milano, e in seguito ad Amsterdam, Bruxelles e Zurigo. Durante i trent’anni trascorsi a Venezia, Peggy continua a collezionare opere d’arte e ad appoggiare artisti come Edmondo Bacci e Tancredi Parmeggiani, conosciuto nel 1951. Nel 1962 viene nominata Cittadina Onoraria di Venezia. Nel 1969 il Museo Solomon R. Guggenheim di New York la invita ad esporre lì la propria collezione, nella sede nella celebre struttura a spirale progettata da Frank Lloyd sulla Fifth Avenue.

Peggy muore il 23 dicembre del 1979, all’età di ottantun’anni. Le sue ceneri sono sepolte in un angolo del giardino di Palazzo Venier dei Leoni, accanto al luogo in cui era solita seppellire i suoi adorati cani. Alla morte di Peggy, la Fondazione Solomon R. Guggenheim ha ampliato la sua casa, trasformandola in uno dei più affascinanti musei d’arte moderna del mondo.

 width=Peggy Guggenheim sui gradini di Palazzo Venier dei Leoni in occasione della prima mostra che organizza a Venezia settembre 1949 © Fondazione Solomon R. Guggenheim, foto Archivio Cameraphoto Epoche, donazione Cassa di Risparmio di Venezia, 2005.

 

 

 

Dietro le quinte. Ascensori ad arte

di Ludovica Sebregondi

Da molte mostre ormai l’ascensore di Palazzo Strozzi “si veste” per accogliere i visitatori ancor prima di entrare in mostra. Già salendo dal terreno al Piano Nobile si è proiettati tra le opere esposte, seguendo un filo narrativo, allusivo o ironico a seconda del tema dell’esposizione.

Sembra semplice, ma bisogna aggirare lacci e lacciuoli: si parte infatti da un’idea ma, come sempre, è necessario un lavoro di squadra. Compagnia di avventure fin dalle prime volte è stata Beatrice Pignotti, dello Studio RovaiWeber, che suggerisce e aiuta a capire quali immagini possano essere adatte: per poter sostenere un ingrandimento che deve arrivare a oltre due metri di altezza, devono essere foto ad altissima risoluzione, ma anche la sua sensibilità di grafica è fondamentale. Non si tratta delle uniche difficoltà, e non sempre le immagini scelte sono libere da diritti o i proprietari (musei o privati) acconsentono che vengano utilizzate per questo ambiente particolare. A questo punto viene in aiuto Manuela Bersotti, responsabile della gestione delle immagini della Fondazione Palazzo Strozzi. Una volta sottoposto il progetto al direttore generale Arturo Galansino, sarà Claudio Chiarusi di Stampa in Stampa, insieme al suo staff, a stampare i file e a posizionare le stampe nell’ascensore.

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È sempre una festa quando si arriva a questo momento poiché significa che la mostra è pronta, che tutte le opere sono arrivate a destinazione e sono già state collocate. Fino a poco prima l’ascensore è tappezzato di nastro adesivo, e subito dopo siamo pronti per l’inaugurazione.

Tra le tante mostre che in questi anni si sono susseguite, alcune hanno visto un ascensore particolarmente azzeccato. Così per Bronzino. Pittore e poeta alla corte dei Medici (dal settembre 2010 al gennaio 2011, sono passati ormai cinque anni), al centro una voluttuosa Venere (Roma, Galleria Colonna), non era concupita solo dal giovane Amore e da un satiro, ma anche da due uomini che le rivolgevano lo sguardo: in tralice il collezionista Pierantonio Bandini (Ottawa, National Gallery of Canada), intenso ma perplesso il condottiero, Stefano IV Colonna (Roma, Galleria Nazionale d’Arte Antica di Palazzo Barberini).

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Solo un anno fa, nella primavera del 2015, un’occasione straordinaria ci è stata offerta da Potere e pathos. Bronzi del mondo ellenistico: si era infatti accolti da splendidi e possenti corpi maschili già nell’ascensore, vera e propria “scatola nera della bellezza”, che preparava alle straordinarie sculture esposte in mostra. Se ai lati due figure erano viste dal retro, sulle ante mobili, vere e proprie quinte teatrali, apparivano di fronte un possente Eracle (Chieti, Museo Archeologico Nazionale d’Abruzzo) e l’atletico Apoxyomenos di Efeso del Kunsthistorisches Museum di Vienna.

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Ed eccoci alla mostra attuale, Da Kandinsky a Pollock. La grande arte dei Guggenheim: in questo caso è la stessa Peggy Guggenheim, a grandezza naturale, ad accogliere i visitatori per accompagnarli in mostra. La fotografia appartiene all’Archivio Locchi ed è stata scattata il 24 febbraio 1949 al momento dell’inaugurazione dell’esposizione della Collezione Guggenheim che inaugurò gli spazi della Strozzina. A distanza di sessantasette anni dai sotterranei di Palazzo Strozzi le opere salgono al Piano Nobile e l’ascensore ne simboleggia l’ascesa.

 width=E per la prossima mostra, Ai Weiwei a Palazzo Strozzi che si aprirà il 23 settembre 2016, chissà cosa ci inventeremo? Vi invitiamo fin da ora a scoprirlo.

 

Solomon R. Guggenheim, storia di un mecenate

Dal 19 marzo al 24 luglio 2016 Palazzo Strozzi ospiterà la grande mostra Da Kandinsky a Pollock. La grande arte dei Guggenheim che porterà a Firenze oltre 100 capolavori dell’arte europea e americana tra gli anni venti e gli anni sessanta del Novecento, in un percorso che ricostruisce rapporti e relazioni tra le due sponde dell’Oceano, nel segno delle figure dei collezionisti americani Peggy e Solomon Guggenheim.

Durante la sua vita, Solomon ha contribuito in maniera fondamentale alla promozione e alla diffusione di iniziative a sostegno dell’arte moderna e contemporanea.

Solomon R. Guggenheim è nato nel 1861 a Philadelphia da una famiglia che doveva la propria fortuna all’industria mineraria. Insieme alla moglie, Irene Rothschild, ha acquisito la reputazione di mecenate e filantropo. Dalla metà degli anni ’90 dell’Ottocento Solomon Guggenheim ha iniziato a raccogliere opere di grandi maestri, paesaggi americani, lavori della Scuola di Barbizon e di arte primitiva.

Nel 1927 la sua collezione è cambiata radicalmente grazie all’incontro con Hilla Rebay (1890-1967), che gli fece conoscere le Avanguardie europee. Nel luglio 1930 la Rebay organizzò un incontro tra Solomon Guggenheim e Vasily Kandinsky, le cui opere sono divenute parte importante della collezione.

 width=Irene Guggenheim, Vasily Kandinsky, Hilla Rebay e Solomon R. Guggenheim al Bauhaus di Dessau, 7 luglio 1930. Courtesy of the Solomon R.Guggenheim Foundation, New York

Dal 1930 il pubblico ha potuto accedere all’appartamento privato di Solomon l’Hotel Plaza di New York per ammirare la sua collezione. Le pareti erano rivestite di dipinti di artisti come Rudolf Bauer, Marc Chagall, Fernand Léger, e László Moholy-Nagy.

 width=L’appartamento di Solomon R. e Irene Guggenheim al Plaza Hotel, New York, 1937 circa. Courtesy of the Solomon R. Guggenheim Foundation, New York

Nel 1937 Solomon ha dato vita alla Fondazione Solomon R. Guggenheim, che ha condotto all’apertura a New York, nel 1939, del Museum of Non-Objective Painting (Museo di arte non figurativa) sulla 54a Strada, poi – nel 1947 – di uno spazio espositivo in un edificio al numero 1071 della 5a Avenue, nonché all’incarico all’architetto Frank Lloyd Wright, nel 1943, di progettare un nuovo edificio per ospitare la collezione. Solomon Guggenheim è morto nel 1949, dieci anni prima del completamento del museo che porta e ricorda il suo nome.

 width=Frank Lloyd Wright, Hilla Rebay, e Solomon R. Guggenheim con il plastico del nuovo museo di Wright alla conferenza stampa di presentazione del progetto, Plaza Hotel, New York, 20 settembre 1945. Courtesy of the Solomon R.Guggenheim Foundation, New York

Luca Massimo Barbero: il punto di vista del curatore

1) Perché questa mostra è un evento irripetibile e unico?

Nello svolgersi e maturare della storia dell’arte relativa a quello che chiamiamo “secolo breve” – il XX secolo – alcune opere si presentano come germinali, centrali alla focalizzazione, forse alla presentazione, di quel momento così ricco, complesso, eterogeneo e originale. Molte di queste opere, che potremmo definire “cardine” della nascita delle avanguardie del Novecento, sono note al grande pubblico. Raramente si trovano però esposte una accanto all’altra in un “racconto possibile” di quella che, in questa occasione fiorentina, è il racconto delle collezioni Guggenheim e delle avanguardie europee e americane, affiancate a ritmo serrato. Questa è soprattutto un’occasione preziosa per poter vedere il grande sviluppo e la maturazione dell’arte del secondo dopoguerra che solo recentemente si sta celebrando internazionalmente e che da quelle avanguardie d’inizio secolo ha avuto origine. La possibilità di poter scoprire contemporaneamente la straordinaria Bôite-en-valise di Marcel Duchamp dedicata a Peggy Guggenheim insieme a Curva dominante di Vasily Kandinsky, capolavoro appartenente al Solomon R. Guggenheim Museum di New York, Paul Klee, Giorgio de Chirico ma anche Lucio Fontana, Jean Dubuffet insieme a Robert Motherwell, Mark Rothko ed ancora Cy Twombly, fornisce, sala per sala, uno spaccato unico dell’arte dei due continenti in una fitta serie di assonanze, contrasti, stimoli e approfondimenti. Riunire insieme un così alto numero di opere cardine, emblematiche dello sviluppo artistico di quegli anni, è sicuramente raro ed è la prima volta che si costruisce un confronto continuo tra le avanguardie europee e quelle americane in un crescendo cronologico di movimenti di ricerca, che si rivelerà sorprendente e vitale per il pubblico durante tutto lo sviluppo della mostra.

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Il curatore Luca Massimo Barbero e l’opera di Lucio Fontana, Concetto spaziale, Attese, 1965, New York, Fondazione Solomon R. Guggenheim. Donazione, Fondazione Lucio Fontana.

 

2) Qual è l’idea nuova da cui muove la rassegna rispetto alle collezioni Guggenheim?

La mostra è costruita sulla nuova idea di esporre, sala dopo sala, in uno sviluppo appunto serrato e scientificamente filologico, un racconto che è possibile “costruire” solamente con la storia e le vicende legate alle singole opere delle collezioni Guggenheim. Così viene presentata l’unicità delle vicende della vita di collezionista e mecenate di Peggy, insieme alla storia, ancora poco nota in Italia, di Solomon e dei musei Guggenheim stessi. Viene presentato poi in modo inedito il ruolo della consulente e prima direttrice del Guggenheim a New York, la baronessa Hilla Rebay, artista e critica centrale per la ricerca, promozione e salvaguardia delle avanguardie europee legate all’astrazione, razionalismo, neoplasticismo e modernismo. Unire queste vicende in un’unica esposizione ha significato poter dare al pubblico una nuova possibile idea e interpretazione di collezioni in sviluppo, in crescita e sempre in evoluzione.

 

3) Qual è il fil rouge che accompagna il percorso espositivo?

Oltre al criterio scientifico appunto, si è costruito un percorso che suggerisce più letture, approfondimenti, dalla storia dell’arte, all’attenzione alle biografie degli artisti, sino al loro rapporto con i mecenati e collezionisti Guggenheim, i direttori del museo di New York, costruendo così una sorta di stratigrafia dove il visitatore, di volta in volta, e a seconda delle sue curiosità, può “leggere” le opere sempre in modo diverso. Sono questi racconti quasi intimi dei lavori in mostra che costituiscono il filo, la narrazione dell’intero percorso. Le opere “raccontano la loro storia” al pubblico e sono sempre storie appassionanti. Penso al rapporto di Peggy Guggenheim con Giacometti, la cui scultura apre l’esposizione, e l’amicizia che la legava a Alexander Calder, e il suo amore per scultori italiani come Pietro Consagra e Mirko che il pubblico riscoprirà insieme ai grandi nomi come Rothko, Hans Hofmann, Frank Stella o Alberto Burri. Di contro l’importanza di Solomon Guggenheim e la Rebay nei confronti di Kandinsky, di cui collezionano capolavori, costruendo una sezione del museo intorno alla sua ricerca. E ancora l’amore per il razionalismo e le avanguardie europee da parte di Rebay, con opere rare di Gabo, Van Doesburg (la cui moglie Nellie sarà amica e suggerirà a Peggy molte opere per la collezione). Il museo newyorchese poi prosegue negli anni con la missione di proporre l’arte contemporanea europea: emblematica quindi la presenza di Dubuffet, con alcuni suoi lavori fondamentali, che sottolineeranno la fortuna critica dell’autore francese molto amato dal pubblico americano. Dunque sono le “biografie”, le storie delle opere con il loro vissuto, i loro trascorsi, spesso nascosti ai più, il filo conduttore di questo racconto per immagini.

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Il curatore Luca Massimo Barbero durante l’allestimento della mostra Da Kandinsky a Pollock. La grande arte dei Guggenheim

 

4) Peggy e Solomon Guggenheim sono stati attori decisivi di una stagione entusiasmante dell’arte del Novecento. Perché i loro nomi sono ancora tanto iconici, così presenti nel nostro immaginario?

La mostra si muove appunto presentando questi protagonisti. Collezionisti, fondatori di musei ma in primis grandi appassionati dell’arte del XX secolo intesa come il mezzo per poter costruire una nuova idea di conoscenza, di cultura visiva. Entrambi concepiscono la loro avventura come un percorso destinato al pubblico, dedicato al far conoscere meglio le avanguardie, le radici fondamentali dell’arte allora contemporanea. Solomon R. Guggenheim, con la sua straordinaria raccolta, arricchitasi nei decenni, costruisce la base di un vero compendio delle avanguardie dell’astrazione partendo principalmente dai grandi protagonisti europei. Peggy Guggenheim di contro costruisce una sorta di vita a contatto diretto con la sorgente delle avanguardie che le sono contemporanee, tanto da esserne parte e, in alcuni casi, motivarle, renderle possibili, crescerle e promuoverle. Un altro punto che caratterizza la focalizzazione dell’immaginario collettivo è sicuramente la forza e l’impatto che l’edificio del Guggenheim di New York ha avuto e continua ad avere. Creato per Solomon da Frank Loyd Wright il museo si è subito connotato per la sua originalità e unicità divenendo attraverso gli anni un punto centrale del paesaggio newyorchese e immediatamente internazionale, sintomatico di avanguardia, modernità, curiosità. Come controcanto Peggy rappresenta per infinite generazioni, sino alle più recenti, l’ideale di mecenate contemporaneo giunta a una insolita perfezione di quello che identifichiamo il rapporto “arte e vita”, riuscendo in modo unico a percorrere, vivere e raccogliere le più entusiasmanti esperienze artistiche del suo tempo. La sua casa veneziana è anch’essa un punto di riferimento imprescindibile nel panorama che i visitatori della Serenissima percorrono. I Guggenheim hanno creato un punto eccellente di incontro tra l’approfondimento, la conservazione e valorizzazione delle opere e l’immagine tutt’oggi attiva delle loro passioni, della volontà di poter esporre al pubblico una possibile idea delle avanguardie e dell’arte contemporanea di cui oggi possiamo ritenerli rappresentativi.

 

5) Venezia, Firenze, New York. E non solo. Che viaggio artistico suggerisce questa mostra?

La mostra è costruita come un viaggio, una sorta di andata e ritorno intorno alle opere, alle biografie e alle storie delle collezioni. Il pubblico viene accolto dai maestri che operano tra le due guerre, da De Chirico che appunto dipinge nella “sua” Ferrara, a Kandinsky e Klee che raccontano delle avanguardie russe tedesche e poi francesi sino a Gabo che già nel 1946 si trasferì negli Stati Uniti. Così di questo viaggiare delle opere d’arte e dei mecenati Guggenheim è emblematica appunto la Bôite-en-valise di Duchamp dove l’artista decide di “riunire” tutte le opere eseguite sino ad allora (siamo agli inizi della seconda guerra mondiale) per rendere trasportabile la loro storia. Peggy lasciando l’Europa, più che simbolicamente, con la sua collezione, riunendo e rendendo possibile la fuga dall’orrore del conflitto di molti artisti e intellettuali europei, “traghetta” le avanguardie del Vecchio continente nel Nuovo formando nuove generazioni. Ritornata in Europa immediatamente dopo la fine della guerra con la sua collezione crea terreno nuovo e vitale per le generazioni di artisti. È così che nel 1949, in occasione della mostra organizzata alla Strozzina, Firenze diviene punto centrale dell’esposizione di questa collezione che letteralmente presenta al pubblico un “mondo nuovo”, rivoluzionando i costumi, gli stili e le scuole che sino ad allora costituivano il panorama italiano, Ancora una volta un viaggio nella storia dell’arte del XX secolo.

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Il curatore Luca Massimo Barbero e l’opera di Alexander Calder, Gong rossi gialli e blu (Triplice gong), 1951, Venezia, Fondazione Musei Civici di Venezia, Galleria Internazionale di Arte Moderna, Cà Pesaro.

Luca Massimo Barbero, curatore della mostra Da Kandinsky a Pollock. La grande arte dei Guggenheim

Un giovedì dedicato ai ricordi

In questo periodo, in attesa della mostra Da Kandinsky a Pollock. La grande arte dei Guggenheim, ogni giovedì sul profilo Facebook e Twitter di Palazzo Strozzi è ricordata una mostra del passato, con una citazione o con un breve testo ad essa legate.

Ogni post si apre con gli hashtag #TBT e #ThrowBackThursday (di cui #TBT è l’acronimo), seguiti poi dal manifesto della mostra oggetto di ricordo.

#TBT e #ThrowBackThursday sono utilizzati da utenti di tutto il mondo per raccontare un episodio del passato, un tuffo nei ricordi che puntualmente arriva sui social network il giovedì. In italiano “Throwback Thursday” potrebbe essere tradotto come “il giovedì dei ricordi”.

Ricordare le mostre passate significa riportare alla luce emozioni dimenticate, legate al periodo delle esposizioni, alle opere esposte, alle persone che ci hanno accompagnato nella visita. Eccone alcune che hanno suscitato su facebook il maggior numero di commenti, condivisioni e ricordi.

#‎TBT‬ #‎ThrowBackThursday: «Durante un chiaro pomeriggio d’autunno ero seduto su una panca in mezzo a piazza Santa Croce […]. Ebbi allora la strana impressione di vedere tutte quelle cose per la prima volta. E la composizione del quadro apparve al mio spirito […]. Momento che tuttavia è un enigma per me, perché è inesplicabile».

Lo disse il ventunenne De Chirico nel corso di un soggiorno a Firenze. Questa “illuminazione” o “rivelazione”, come la chiamava De Chirico, permea i quadri dell’artista degli anni Dieci e Venti del Novecento. Mentre il secolo correva a precipizio verso la Prima guerra mondiale, l’esperienza dell’alienazione suggerì a De Chirico – molto prima di altri – di dipingere quello che definì “il grande silenzio”. Le sue opere che mostrano piazze spazzate dal vento, con figure solitarie e statue che fissano ciecamente lo spazio, continuarono a perseguitare a lungo gli artisti molto dopo che De Chirico dipinse L’enigma di un pomeriggio d’autunno nel 1909.

Si inaugurava nel 2010 a Palazzo Strozzi, la mostra De Chirico, Max Ernst, Magritte, Balthus. Uno sguardo nell’invisibile.

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2) #‎TBT‬ ‪#‎ThrowBackThursday‬: «Tutto l’interesse dell’arte è nel principio. Dopo il principio, è già la fine.» – Pablo Picasso

Si inaugurava nel 2011 a Palazzo Strozzi la mostra Picasso, Miró, Dalí. Giovani e arrabbiati. La nascita della modernità. Dedicata alla produzione giovanile di maestri che hanno avuto un ruolo decisivo per gli esordi dell’arte moderna, la mostra prende in esame il periodo pre-cubista di Picasso con suoi lavori anteriori al 1907, mentre le opere di Miró realizzate fra il 1915 e il 1920 sono presentate in relazione con quelle di Dalí del quinquennio 1920-1925 per porre in evidenza le differenze e relazioni stilistiche che caratterizzano il periodo precedente all’adesione dei due artisti alla poetica del Surrealismo.

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#‎TBT‬ ‪#‎ThrowBackThursday‬: «Color is the essence of painting, which the subject always killed.» – Kazimir Malevič

La mostra, attraverso la scoperta dei capolavori delle collezioni russe dell’Avanguardia, presenta una ricchissima esposizione di opere mai viste in Italia unendo spiritualità e antropologia, filosofia e sciamanesimo in un viaggio iniziatico verso una nuova frontiera artistica. Una straordinaria rassegna internazionale che attraverso le opere dei grandi artisti del primo ’900 conduceva il visitatore a percorrere un viaggio straordinario, in una terra di frontiera ai confini del mondo, tra ghiacci e deserti sterminati. L’arte russa infatti ha potuto attingere più di ogni altra a un Oriente dalle molteplici sfaccettature che si estende geograficamente dalle steppe dell’Asia all’India, dalla Cina al Giappone.

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Il tirocinio a Palazzo Strozzi: l’esperienza di Ana

Ana Clemencia Venturi si è laureata in Arti Visive all’Alma Mater Studiorum di Bologna. La sua passione per l’arte la spinge, nel marzo 2014, ad iscriversi al Master de Il Sole 24 Ore in Economia e Management dei Beni Culturali a Roma, per ampliare la sua conoscenza anche dell’economia e del marketing dei beni culturali.

Come sei arrivata a Palazzo Strozzi per svolgere il tuo tirocinio?

A fine maggio 2015, sono iniziati i vari colloqui per trovare la sede del tirocinio previsto dal percorso di studi del master, stabiliti in base ai campi di interesse e ai requisiti posseduti da ciascun studente. È stato così che dopo essere stata selezionata sono arrivata a Palazzo Strozzi. Fin dal primo colloquio le mie responsabili si sono dimostrate gentili e disponibili. Questo fattore, unito alla sede di lavoro e al ruolo di supporto che avrei avuto all’interno dell’Ufficio Mostre di Palazzo Strozzi, mi hanno davvero entusiasmata. Arrivare da Bologna ogni mattina col treno e vedere la cupola di Santa Maria del Fiore continua a sorprendermi tuttora. Il mio contratto, iniziato a settembre, prevedeva inizialmente dai 4 ai 6 mesi di tirocinio. I compiti che avrei dovuto svolgere corrispondevano appieno a quello che speravo di imparare, come partecipare all’allestimento delle mostre e occuparmi dei condition reports delle opere (i documenti che definiscono lo stato di conservazione delle opere d’arte in occasione di un prestito temporaneo). Fortunatamente hanno deciso di prorogare il mio tirocinio per altri 2 mesi, potendo quindi partecipare, oltre che all’allestimento, anche al disallestimento della mostra Bellezza Divina, Tra Van Gogh, Chagall e Fontana, che si è tenuta a Palazzo Strozzi dal 24 settembre 2015 al 24 gennaio 2016. Con mia sorpresa e soddisfazione le mie responsabili hanno deciso di offrirmi un contratto di collaborazione con la Fondazione per il mese di marzo, in occasione dell’allestimento della mostra Da Kandinsky a Pollock. La grande arte dei Guggenheim.

 

 width=Potresti raccontarci una tua giornata tipo?

La mia giornata tipo inizia verso le sei del mattino. Dopo essermi vestita e aver fatto colazione esco senza fretta per prendere il treno alla stazione, che dista 5 minuti a piedi da casa. Dopo un’oretta e mezzo eccomi quindi alla stazione di Santa Maria Novella a Firenze, dove è facile che mi perda alcuni momenti per le vie vicino a Ponte Vecchio e a Santa Trinita. Giunta in ufficio, una delle prime cose di cui sono solita occuparmi è l’aggiornamento dei dati del database della Fondazione, in cui sono contenuti tutte le informazioni necessarie per la progettazione non solamente di una mostra, ma di tutte le mostre con sede a Palazzo Strozzi: fra queste le caratteristiche fisiche delle opere, o i loro valori assicurativi, o i contatti dei relativi prestatori. Mentre aggiorno questo tipo di informazioni può capitare di dover modificare un PowerPoint di presentazione di una mostra prevista nel 2017, oppure di iniziare una ricerca di immagini e dati inerenti ad una mostra che si svolgerà nel 2018, o di modificare le liste delle immagini delle opere cambiandone ad esempio la risoluzione. Dopo la pausa pranzo si riprende il lavoro nel pomeriggio, finché non arriva il momento di riprendere il treno, dove mi rilasso nell’attesa di tornare a casa.

Fra i progetti a cui hai lavorato, quali ti hanno appassionata e coinvolta di più?

Sicuramente l’esperienza che mi ha colpito di più è stata l’allestimento della mostra Bellezza Divina, in particolare la compilazione finale dei condition reports delle opere, l’aver potuto assistere all’apertura delle casse contenenti le stesse, camminare per le sale ancora semi vuote e vedere di persona la movimentazione di quadri imponenti come I Maccabei di Ciseri o La Flagellazione di Cristo di Bouguereau, oppure di sculture di grandi dimensioni come Il Figliol Prodigo di Martini. La commozione totale l’ho provata dinnanzi alla Crocifissione Bianca di Chagall e di fronte alla magnificenza del Crocifisso in ceramica di Fontana.

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Che consiglio daresti a chi vorrebbe svolgere un tirocinio simile al tuo?

Penso che l’entusiasmo e la perseveranza siano due fattori chiave quando si svolge un tirocinio. All’inizio si possono commettere errori dovuti all’inesperienza, ma col tempo la maggior parte delle mansioni diventa di routine. A chi volesse svolgere questo tipo di tirocinio consiglierei inoltre di approfondire le tematiche riguardanti le assicurazioni delle opere d’arte e la tipologia dei materiali utilizzati per gli allestimenti museali, soprattutto se si è curiosi di scoprire la reale dinamica dell’organizzazione delle mostre d’arte e il vocabolario specifico. La curiosità rappresenta da ultima una qualità fondamentale, utile per approfondire gli stimoli che si ricevono durante il tirocinio.

Quali sono i tuoi progetti per il futuro?

Da una parte mi piacerebbe conseguire più esperienza nell’ambito della mobilitazione e del trasporto delle opere d’arte, dall’altra sono affascinata soprattutto dalla figura professionale del registrar, anche se mi rendo conto che per poter svolgere questo lavoro il cammino è molto lungo. Non mi dispiacerebbe sperimentare anche altri ambiti lavorativi, magari per un periodo di breve durata, con la finalità di ampliare le mie conoscenze, ad esempio presso le case d’asta, o nelle compagnie di assicurazioni specializzate in opere d’arte, o ancora in musei e associazioni che promuovano l’organizzazione di mostre e di progetti culturali. Mi piacerebbe lavorare per qualche anno all’estero, per migliorare il mio livello linguistico di spagnolo e d’inglese e perché mi incuriosisce scoprire nuove modalità di gestione dei beni culturali in altri paesi, quali la Spagna o l’Inghilterra.

 width=Nelle foto Ana durante l’allestimento di Bellezza divina tra Van Gogh, Chagall e Fontana (Palazzo Strozzi, 24 settembre 2015-24 gennaio 2016)

 

 

 

Alcune curiosità su Palazzo Strozzi

Ci piacerebbe dedicare un momento ad alcuni piccoli dettagli di Palazzo Strozzi, a quei particolari che potrebbero sfuggire anche a coloro che hanno la fortuna di passare davanti a questa nostra meravigliosa sede ogni giorno.

Vorremmo trasformare un’occhiata distratta in uno sguardo più consapevole, dove per una volta la curiosità non ha i minuti contati.

Avete notato la mancanza del cornicione sul lato del Palazzo che si affaccia su via Tornabuoni?

La causa dell’incompletezza è da ricondursi a varie problematiche sorte tra gli eredi del suo costruttore, Filippo Strozzi. Alla sua morte, nel maggio del 1491, nel testamento impone agli eredi di ultimare l’edificio, destinato alle future generazioni della famiglia. Divide Palazzo Strozzi tra i suoi figli, lasciando al primogenito Alfonso la parte del Palazzo che si affaccia su via Tornabuoni, e dividendo il lato che si affaccia su piazza Strozzi tra Lorenzo e Giovan Battista detto Filippo.

Nel 1533 il lato verso via Tornabuoni non è ancora ultimato, i figli, in contrasto a causa delle spese di costruzione, arrivano ad una causa civile. Seppur la sentenza stabilisca la partecipazione alle spese di tutti gli eredi, la causa si protrae nel tempo; Alfonso muore, e la sua eredità passa direttamente ai fratelli Lorenzo e Filippo. Al primo spetta la parte completata verso piazza Strozzi, al secondo quella da completare verso via Tornabuoni. Nel 1536 Filippo, in contrasto con la famiglia Medici, viene dichiarato ribelle e la sua proprietà confiscata. Lorenzo non può coprire tutte le spese e i lavori vengono sospesi. Vengono ripresi nel 1547 ma interessano solo la costruzione di un tetto; Lorenzo muore nel 1549 e i lavori si interrompono lasciando definitivamente il cornicione incompleto. Il palazzo viene restaurato nel 1939, ma si stabilisce di non completare il cornicione, che si lascia incompiuto a testimonianza delle traversie della famiglia.

Palazzo Strozzi con veduta d'angolo lato via TornabuoniFoto di Palazzo Strozzi con veduta d’angolo lato via Tornabuoni, si nota la mancanza del cornicione

Sapete che esiste un modello in legno di Palazzo Strozzi? E’ unico al mondo!

Esiste al mondo un unico modello ligneo rinascimentale di un palazzo privato: è quello di Palazzo Strozzi ed è esposto all’interno della sala dedicata alla storia del Palazzo, adiacente alla biglietteria, dove è visitabile gratuitamente.

L’architetto Giuliano da Sangallo viene pagato nel settembre del 1489, a lavori già iniziati, per un modello ligneo del palazzo; non è certo si tratti di quello conservato, che è molto simile all’edificio effettivamente realizzato, ma che in proporzione risulta più alto di oltre tre metri e mezzo. Giuliano da Sangallo e Benedetto da Maiano forniscono ciascuno un modello, ma uno solo è giunto a noi, anche se non sappiamo quale. È stato realizzato in tre piani separati, sovrapposti e scomponibili, così da poter rivelare contemporaneamente per ciascun piano sia la facciata esterna che l’articolazione degli spazi interni.

Modello per Palazzo Strozzi, 1489 ca

Giuliano da Sangallo o Benedetto da Maiano, Modello per Palazzo Strozzi, 1489 ca, Firenze, Palazzo Strozzi, in deposito dal Museo Nazionale del Bargello

Sapete cosa rappresenta l’emblema della famiglia Strozzi?

L’emblema degli Strozzi è costituito da tre lune crescenti d’argento, che rappresenterebbero delle strozze: i pendagli che scendono dal giogo dei buoi e passano attorno alla gola (la “strozza”) e dalle quali deriverebbe il nome familiare. Le tre lune crescenti dell’arme Strozzi potrebbero anche simboleggiare le fortune della casata.

Particolare della bifora del piano nobile di Palazzo StrozziParticolare della bifora del piano nobile di Palazzo Strozzi con l’emblema della famiglia Strozzi nella lunetta

 

A più voci

Oggi parliamo di accessibilità museale e di quanto il progetto A più voci stia contribuendo all’abbattimento delle barriere, non solo fisiche, all’interno dei nostri percorsi espositivi. Si tratta di un’iniziativa, tra le prime in Italia, che Palazzo Strozzi porta avanti dal 2011.

Dedicato alle persone affette da Alzheimer e a chi se ne prende cura, il progetto è finalizzato a rendere accessibili alle persone con demenza le mostre promosse dalla Fondazione attraverso attività appositamente concepite. Le persone affette da Alzheimer hanno così la possibilità di esprimersi attraverso l’arte, attraverso un modello per una comunicazione ancora possibile, facendo ricorso all’immaginazione e non alla memoria, alla fantasia e non alle capacità logico-cognitive, valorizzando le residue capacità comunicative.

Gli obiettivi perseguiti dal progetto A più voci sono:

  • proporre alle persone con Alzheimer e ai loro caregiver un incontro diretto con l’arte attraverso un’esperienza piacevole, stimolante, emozionante;
  • offrire ai partecipanti la possibilità di esprimere se stessi e proporre nuovi esempi di comunicazione possibile;
  • creare nuove occasioni di relazioni sociali e promuovere un cambiamento nella percezione sociale della malattia.

 Mostra Bellezza DivinaPer ogni mostra vengono organizzati quattro cicli di tre incontri ciascuno, completamente gratuiti per i partecipanti. Ogni incontro è condotto da tre educatori in compresenza, di cui almeno uno specializzato in comunicazione museale e almeno uno specializzato in animazione geriatrica. Gli incontri si svolgono negli orari di apertura di Palazzo Strozzi per promuovere la conoscenza della malattia e un cambiamento nella percezione sociale del malato.

Nei primi due incontri viene scelta un’opera della mostra di fronte alla quale soffermarsi. Attraverso una conversazione guidata, si invitano tutti i partecipanti alla creazione di un racconto collettivo o di una poesia (appunto le più voci che può assumere un’opera) suggerendo così altri modi possibili di guardare all’arte.

Il terzo incontro è invece dedicato a un’attività creativa ispirata alle opere esposte in mostra e incentrata sulla relazione tra le persone affette da Alzheimer e i loro accompagnatori.

Parte importante del progetto è costituita dai due incontri riservati ai caregiver. Il primo appuntamento viene fissato all’inizio di ogni mostra per spiegare gli obiettivi del progetto e ascoltare le opinioni dei partecipanti. Il secondo avviene a conclusione della mostra, per valutare insieme l’attività svolta e per progettare le azioni future.

Nel 2012 e nel 2014 sono stati organizzati da Palazzo Strozzi due convegni internazionali sulle proposte museali per le persone affette da Alzheimer che hanno visto la partecipazione delle più importanti realtà museali internazionali (fra cui il MoMA e il Museum of Modern Art di New York, la Royal Academy di Londra, il Prado di Madrid, lo Stedelijk Museum di Amsterdam, il Norsk Teknisk Museum di Oslo, la Kunsthaus di Zurigo, la Galleria Nazionale di Arte Moderna di Roma e le Gallerie d’Italia di Milano). I due convegni hanno avuto una risonanza internazionale e hanno contribuito a far nascere nuovi progetti analoghi a Firenze ed in Italia.

Maggiori informazioni Progetto “A più voci”

Mostra Divina Bellezza - dettaglio