Un’esperienza artistica in collaborazione con Cristina Pancini
Leggieri, come certe figure effimere di terra fatte da “[…] pezzi di legno e piane [assi] confitti insieme, e fasciati poi di fieno e stoppa, e con funi legato ogni cosa strettamente insieme, e sopra messo terra e mescolata con cimatura di panni di lino, pasta e colla […] riescono nondimeno leggieri e, coperte di bianco, simili al marmo” (Giorgio Vasari, dalla Vita di Jacopo della Quercia).
È una di queste “leggiere figure”, il Dio fluviale di Michelangelo, che apre la mostra Il Cinquecento a Firenze.
Non sappiamo a quale fiume lo scultore lo abbia dedicato: alcuni dicono a uno dell’Inferno, altri del Paradiso e altri ancora a uno tra i più importanti fiumi d’Italia, forse l’Arno. Sappiamo però che il suo scheletro è costruito con fili di ferro intrecciati tra loro e rafforzati da una fasciatura di paglia e spago; la sua pelle è fatta da più strati di argilla, in parte magra, ricavata dall’Arno presso San Niccolò e in parte grassa, proveniente da Montespertoli; mescolate all’argilla ci sono fibre vegetali, cimatura e peli di animali. L’incarnato così chiaro è ottenuto grazie al bianco di piombo.
Quasi tutti i materiali usati sono transitori, perché la scultura era destinata a scomparire: era il modello che avrebbe permesso a Michelangelo di realizzare un altro Dio fluviale, quello eterno, fatto di marmo, per le tombe medicee nella Sagrestia Nuova della Basilica di San Lorenzo.
Questa seconda opera però non fu mai scolpita e a noi è giunta la sua fragile prova che, inevitabilmente, iniziò a cedere già pochi anni dopo la sua realizzazione. Alcune parti, infatti, sono andate perdute e sono stati necessari restauri e consolidamenti importanti, come l’inserimento delle barre di ferro che lo bloccano nell’attuale posizione. Il Dio, che inizialmente era quasi seduto con la gamba destra poggiata a terra, ci è giunto sdraiato e sembra compiere uno sforzo enorme a stare così.
In virtù della sua fragilità ci appare oggi come un’opera estremamente preziosa, “un capolavoro di fragilità”, che ha resistito nei secoli grazie alla cura di restauratori e innamorati.
Preziosità, fragilità e cura sono i concetti attorno ai quali è ruotata la costruzione di Leggieri. Preziose e fragili ci appaiono le persone anziane, ancor più quando affrontano la sfida dell’Alzheimer.
La fragilità però appartiene a tutti e noi abbiamo provato a sentirla come una possibilità, una condizione non da nascondere ma da proteggere con cura tanto da farla emergere in tutta la sua preziosità.
Seduti in cerchio, dopo il saluto e il benvenuto abbiamo indossato con curiosità e titubanza le cuffie, quelle destinate alle visite guidate. Siamo entrati in mostra, dove ci ha accolto il Dio fluviale. A coppie l’abbiamo osservato e, quando l’attenzione ha iniziato a esaurirsi, ci siamo seduti a semicerchio attorno a lui. È allora che, messe le cuffie, il Dio ha “parlato” attraverso la voce calda di Paolo Santangelo e le parole immaginate da Cristina. La scultura, la voce e le parole ci hanno portato a un ascolto così presente e intenso che, una volta finito, siamo rimasti fermi, attenti a sentire il nostro silenzio.
Ancora in silenzio siamo tornati nella stanza del laboratorio, dove, ad attenderci, abbiamo trovato una nuova scena: tutte le sedie spostate da un lato e, dal lato opposto, un piedistallo vuoto. Ogni partecipante è stato invitato a staccare un pezzo di argilla da un panetto: «Prendine quanta ne vuoi, tienila in mano, toccala, saranno le tue mani a darle una forma, o semplicemente a imprimerle una traccia. Non preoccuparti che diventi “bella”. Quando vuoi, va’ al piedistallo e posala. La tua parte, assieme a quelle degli altri, andrà a costruire una nuova opera collettiva, il nostro “capolavoro di fragilità”.»
Si è così cercato di dare importanza al momento, al gesto e all’interazione piuttosto che alla pretesa di realizzare un’opera d’arte. Alla fine di queste processioni, a volte solitarie, a volte a due e altre ancora di gruppo, con andate e ritorni ripetuti, come chi si prende davvero cura di quel che sta facendo, la nuova scultura è nata.
Queste giovani e fragili figure sono state trattate come il capolavoro di un grande maestro: le abbiamo osservate e ne abbiamo parlato. I testi che ne sono nati accompagnano sotto forma di commento audio le sculture; a prestargli la voce è di nuovo Paolo Santangelo.
IL PRIMO ESPERIMENTO, LA PRIMA VOLTA, IL FALLIMENTO
Il primo incontro di Leggieri è stato fallimentare. Si è scelto di renderlo noto affinché possa essere stimolo e contributo per la ricerca nostra e altrui.
Il Dio fluviale di Michelangelo ha innescato da subito una riflessione sulla fragilità, sulla forza e un’analogia con i corpi degli anziani che sono spesso toccati, accarezzati, sostenuti, spostati, accompagnati dalle mani di chi se ne prende cura.
Mani che, come per il Dio fluviale, possono guidare, sostenere, curare e anche arrecare danni. Questa idea ci è sembrata così potente da diventare il nucleo dell’intera attività.
Nonostante i presupposti e lo sviluppo ci sembrassero coerenti, il primo appuntamento è stato fallimentare.
Dopo l’accoglienza e l’introduzione iniziale, non abbiamo comunicato in modo chiaro i passaggi successivi e non si è creata la giusta atmosfera di fronte all’opera.
Tornati in laboratorio, abbiamo chiesto ai carer di disporsi in un cerchio, ciascuno in piedi dietro alla persona anziana seduta, alla quale è stato dato un pezzo di argilla.
Al centro, un piedistallo vuoto. Cristina ha domandato di eseguire alcune azioni con le mani: gli accompagnatori le dovevano compiere sui corpi degli anziani, le persone anziane sul pezzo di argilla.
Tutti i pezzetti sono stati quindi osservati, ne abbiamo parlato e abbiamo proposto infine a ogni partecipante di portare con sé il proprio. Per renderlo prezioso l’abbiamo confezionato in una scatola e accompagnato con una didascalia.
Non tutti l’hanno voluto.
Analizzando a posteriori l’incontro ci siamo resi conto che le indicazioni in successione sono state tante e scandite troppo velocemente, difficili da comprendere se contemporaneamente si devono processare altri stimoli.
Non si sono create le condizioni e le dinamiche per una partecipazione attiva, perché probabilmente il rimando all’esperienza personale è stato troppo astratto e per questo poco emozionante.
Infine, perché la sensazione di toccare si traduca in un’emozione, ci vuole coinvolgimento e forse più tempo. E noi ci siamo concentrati sui gesti senza dare la giusta attenzione a quello che guida le mani. È stato questo “fallimento” a portarci a ripensare il progetto, a riflettere più a fondo, per svilupparlo poi in modo più rituale, ascoltando e facendoci trasportare dal flusso delle reazioni dei partecipanti. Nei nuovi incontri abbiamo proposto di “provare insieme”, come se fosse un esperimento.
Così, come in una partitura fatta a più mani, è nato Leggieri.
Leggieri, i capolavori di fragilità
Michelangelo Buonarroti, Dio fluviale, 1526-1527 circa, argilla, terra, sabbia, fibre vegetali e animali, caseina su anima di filo di ferro. Interventi successivi: gesso, rete in ferro; 65 x 140 x 70 cm. Firenze, Accademia delle Arti del Disegno (in deposito presso il Museo di Casa Buonarroti)
Adriana, Alessandra, Annamaria, Azzurra,Cristina, Emanuela, Irene, Liliana, Lorenza, Luca, Maria, Michela, Remo, Roberto, Roberto, Rosella, Serena, Serena, Vittoria, Capolavoro di fragilità collettive, 2018, argilla cruda di provenienza incerta, 50 x 50 x 10 cm circa, in attesa di collocazione
Adriana, Alessandra, Angela, Barbara, Chiara, Clara, Claudia, Cristina, Denise, Elena, Federico, Giusi, Irene, Luca, Livio, Matteo, Michela, Piera, Vittorio, Capolavoro di fragilità collettive, 2018, argilla cruda di provenienza incerta, 50 x 50 x 10 cm circa, in attesa di collocazione
Aldo, Angiolina, Annamaria, Antonio, Briki, Cecilia, Cristina, Denise, Enrica, Irene, Luca, Lucia, Mariagrazia, Matteo, Michela, Rita, Silvia, Capolavoro di fragilità collettive, 2018, argilla cruda di provenienza incerta, 50 x 50 x 10 cm circa, in attesa di collocazione