di Fiorella Nicosia e Caterina Monasta
Cosa significa prendersi cura delle opere di un artista che sono state affidate alla quotidiana attenzione di chi lavora in un centro espositivo come Palazzo Strozzi? Si tratta di una manutenzione quotidiana che diventa quasi una partecipazione a un environment e una relazione diretta e privilegiata con l’arte, e, nel caso della mostra Tomás Saraceno. Aria, anche con altre discipline come la scienza, la tecnologia, l’architettura e la biologia. Sono piccoli gesti che quotidianamente ripetiamo nella nostra relazione con la mostra, per riparare, ricostruire, pulire e persino nutrire ogni singola opera.
Prendersi cura delle opere di Tomás significa sentirsi parte di esse, viverle piuttosto che osservarle, immergersi in un sistema di equilibrio che si instaura tra noi esseri umani e gli elementi naturali e fisici che le caratterizzano, come frequenze sonore, raggi laser, aria, polvere, gas, inchiostro, fili di ragnatele, organismi vegetali e piante, come le meravigliose tillandsie, e animaletti, quali la piccola araña che vive all’interno di Particular Matter(s).
Ciò che più di ogni altra cosa abbiamo imparato dalle idee di Tomás, applicate visivamente alle sue opere, è che il nostro mondo fisico è fatto di tanti piccoli organismi, di elementi microscopici e separati. Su piccola scala, per dirla con Carlo Rovelli, “tutto è granulare”, non c’è continuità ma granularità, in una rete di interazioni che è importantissima. Ogni opera della mostra, pertanto, è un mondo a sé, un sistema autonomo fatto di singoli elementi che riflettono la propria complessità nella materia, nella relazione con gli altri e nel loro funzionamento. Così ogni singolo elemento di ogni singola opera che compone la mostra ha necessità di essere curato per apparire poi come un tutto armonico e coerente.
Nella sala dedicata a How to Entangle the Universe in a Spider/Web?, la manutenzione avviene dal “dietro le quinte”, entrando in uno spazio nascosto al pubblico, attraverso una porta nera ricoperta di tessuto morbido: un piccolo ambiente in cui sono allestite le 3 spider frames. Queste architetture affascinanti e labirintiche, costruite da numerosi ragni, vengono illuminate da un raggio laser che si muove in senso orizzontale su un binario. Il movimento del laser di natura meccanica ed elettrica ha bisogno di essere talvolta da noi accompagnato, controllato, aiutato nel suo funzionamento. Per noi restare in quella saletta buia e segreta in compagnia di quelle ragnatele maestose e silenziose possiede un fascino particolare di quiete e intimità.
Particular Matter(s) Jam Session è costituito da una lunga pedana in mezzo a vari elementi tecnologici come una lampada alogena, una videocamera, una cassa acustica e dei piccoli sensori, all’interno di una ragnatela, vive un piccolo ragno femmina, che abbiamo battezzato Arianna, e che rappresenta per noi la stabilità, la resistenza, la tenacia e la continuità. Questa “ragnetta” ha vissuto nella ragnatela – tessuta in precedenza nello studio di Tomás da altri ragni – dall’inaugurazione della mostra in febbraio, attraversando illesa persino due mesi e mezzo di chiusura della mostra per il lockdown. È rimasta lì, al buio, senza nemmeno l’acqua quotidiana che spruzziamo per idratarla. Si è adattata, non si è spostata se non di pochi centimetri per mangiare o muoversi. Non è così comune che un ragno viva tanto a lungo e da solo nella stessa ragnatela (che non è neanche la propria). Tomás l’aveva inserita in febbraio l’ultima domenica dell’allestimento, senza dirlo a nessuno, e lì è rimasta e c’è ancora. Arianna, l’araña.
Muoversi tra i proiettori e le sfere gonfiabili di A Thermodynamic Imaginary è come immergersi in un ambiente sospeso nel tempo e nello spazio, alla ricerca delle sculture in vetro e specchi da accudire e spolverare, così come in Connectome, l’altra installazione aerea della prima sala della mostra. Anche altre opere hanno necessità di essere “spolverate”, ma la nostra sensazione è sempre quella di togliere qualcosa di importante che per l’artista andrebbe valorizzato e reso visibile, ossia la polvere, oggetto di tante sue opere e speculazioni sull’Universo.
Ogni pianta dei Flying Gardens occupa uno spazio proprio all’interno di sfere di vetro composte in sculture “volanti”. Nella sala luminosissima nulla tocca il pavimento, se non i piedi delle persone che la attraversano. Per raggiungere le tillandsie da innaffiare – ogni due giorni con acqua rigorosamente potabile – dobbiamo sporgerci, salire su scale, sollevarci sulla punta dei piedi e ci sembra quasi di entrare in uno spazio vivo e magico, un giardino fluttuante e galleggiante, in una relazione anche fisica con ciascuna pianta che viene raccolta tra le mani per essere annaffiata.
Particolarmente affascinante è la sala finale della mostra: Aerographies. Anche qui le opere hanno una vita propria, soprattutto per il movimento dei palloncini gonfiati a elio che si spostano, volando sulla carta e lasciando tracce di penna e disegni aggrovigliati. I grandi fogli bianchi, di tre misure diverse, sono stati da noi tagliati, srotolati, arrotolati e sostituiti numerose volte durante la mostra, seguendo un rigoroso calendario che lo studio dell’artista ci ha fornito, al fine di archiviare ciascun disegno con un numero di inventario prestabilito.
Le penne si consumano, i palloncini si sgonfiano, la polvere arriva sui fogli e sulle cornici sul pavimento, i pesi sulle penne vanno calibrati. È un lavoro costante e quotidiano che va fatto con cura, sempre pensando a far prevalere la leggerezza, il fascino, la poesia e il senso artistico profondo che quest’opera possiede per tutti.
Essere dietro le quinte di tutto ciò è davvero un privilegio.