Un’estate in pittura

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La mostra Yan Pei-Ming. Pittore di storie dedicata al grande artista franco-cinese, è stata l’occasione perfetta per ampliare l’offerta educativa della Fondazione Palazzo Strozzi sperimentando un nuovo formato di laboratorio dedicato agli adolescenti nel periodo estivo. Il progetto Estate in pittura (10-14 luglio 2023), sostenuto dal Gruppo Beyfin S.p.A., ha permesso a più di cento ragazze e ragazzi tra i 13 e i 17 anni di confrontarsi con le grandi tele di Yan Pei-Ming e scoprire in prima persona le possibilità espressive della pittura. Autoritratti, paesaggi notturni, ritratti di famiglia, personaggi storici e animali della tradizione cinese sono stati il panorama visivo di cinque giornate durante le quali si sono alternati momenti di visita nella sale della mostra e momenti di lavoro singolo e collettivo in laboratorio, guidati nell’esperienza da educatori museali e dell’artista Anna Capolupo.

Martino Margheri (Dipartimento Educazione Fondazione Palazzo Strozzi) in dialogo con Anna Capolupo

Conosciamo il lavoro di Anna Capolupo da diversi anni, il suo approccio alla pittura e all’insegnamento ci piace molto e abbiamo ritenuto che sarebbe stata la persona adatta con cui sviluppare un percorso rivolto agli adolescenti. La conversazione con Anna ha portato alla creazione di Estate in pittura: cinque giornate in cui l’arte del dipingere è stata affrontata da più prospettive. Ci siamo lasciati ispirare dalla mostra di Yan Pei-Ming e ogni giorno abbiamo esplorato un particolare tema: il ritratto e l’autoritratto, la pittura di grandi dimensioni, il rapporto tra colore ed emozioni, luce e oscurità, il valore simbolico degli animali.

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Estate in pittura, Palazzo Strozzi, 2023. Foto Sara Sassi

MM
Nel contesto della mostra dedicata a Yan Pei-Ming abbiamo sviluppato un laboratorio estivo indirizzato agli adolescenti. Progetti del genere richiedono un confronto con il progetto curatoriale, le opere esposte, tenendo conto delle caratteristiche dei partecipanti. Come racconteresti l’esperienza di Estate in pittura?

AC
È stata un’esperienza diretta con la mia materia: la pittura.
Era importante che piacesse, volevo riuscire a coinvolgere le ragazze e i ragazzi il più possibile, in modo che fossero totalmente presi da quello che avrebbero fatto. Quando insegni a scuola ti confronti per un anno sempre con gli stessi ragazzi, con Estate in pittura ogni giorno c’era un gruppo diverso e questo elemento ha reso l’attività molto stimolante, anche se ha contribuito a crearmi qualche preoccupazione. All’inizio non sapevo chi avessi davanti e cosa sarebbe potuto succedere, partivo sempre con una leggera apprensione, poi nel corso dell’attività lasciavo che le cose fluissero più liberamente, alla fine mi sono lasciata sorprendere dai lavori che i ragazzi sono stati in grado di realizzare. È stato molto intenso. La cosa più bella è stata il rapporto diretto con i quadri di un pittore importante come Yan Pei-Ming e allo stesso tempo ho colto l’occasione per mostrare tante opere di altri artisti che lavorano con la pittura creando un gioco di rimandi e relazioni.

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Estate in pittura, Palazzo Strozzi, 2023. Foto Sara Sassi
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Estate in pittura, Palazzo Strozzi, 2023. Foto Sara Sassi

MM
Ogni giornata iniziava con un percorso tra le opere. Come hanno reagito i ragazzi davanti all’osservazione di questi quadri?

AC
Le ragazze e i ragazzi erano magnetizzati e sconvolti dalla grandezza delle opere. Non avevamo mai visto una dimensione materica della pittura così forte. Poi oltre all’aspetto materiale sono emerse osservazioni inerenti ai contenuti dei dipinti, soprattutto quando abbiamo osservato i ritratti di Putin e Zelensky. Qualcuno ha avuto una risposta più sentimentale alla pittura di Pei-Ming, soprattutto osservando l’enorme ritratto della mamma Ma mère (2018). Devo dire che tutta la sala dedicata alla memoria della madre è quella che li ha maggiormente coinvolti emotivamente.

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Estate in pittura, Palazzo Strozzi, 2023. Foto Sara Sassi

MM
In fase di progettazione abbiamo individuato cinque percorsi da affrontare in altrettante giornate di lavoro: ritratto e autoritratto; pittura monumentale; pittura da indossare; notturno; animali simbolici. Quali tra queste giornate ha avuto un particolare riscontro?

AC
In occasione di “pittura da indossare” c’è stato un grande coinvolgimento, la partecipazione a quella giornata è stata molto mirata: si erano iscritti ragazze e ragazzi molto preparati, che sapevano già cosa avrebbero voluto dire. Io li ho guidati, ma in maniera minore rispetto alle altre giornate. Mi ha fatto piacere diventare il mezzo con il quale potessero esprimersi. Uscire dal formato della tela o dai confini della carta li ha stimolati molto, è stata una giornata molto intensa, sono anche emersi temi sulle disuguaglianze di genere, violenza sulle donne.

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Estate in pittura, Palazzo Strozzi, 2023. Foto Sara Sassi
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Estate in pittura, Palazzo Strozzi, 2023. Foto Sara Sassi
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Estate in pittura, Palazzo Strozzi, 2023. Foto Sara Sassi

MM
Con più giorni a disposizione ci sono altri temi legati alla pittura che avresti voluto esplorare?

AC
Probabilmente mi sarei dedicata alla natura morta e avrei lavorato anche sul sogno in quanto sono temi che affronto molto nel mio lavoro. Speravo che qualcuno, portandomi le fotografie preparatore della giornata dedicata ai notturni arrivasse con una natura morta, ma non è accaduto, hanno tutti portato paesaggi notturni. Sì, quella sarebbe stata una bella estensione ai temi che abbiamo trattato.

MM
Durante lo svolgimento dei laboratori le ragazze e i ragazzi erano molto concentrati, totalmente assorti nella loro produzione. Credi ci sia stato qualcosa in particolare che abbia favorito questa situazione?

AC
Il tempo è stata una componente importante: un tempo preciso entro cui svolgere l’attività rende tutti molto più concentrati. Probabilmente ha aiutato anche indirizzare verso temi ben precisi ed esplicitare le richieste in maniera diretta. Nonostante i partecipanti cambiassero ogni giorno erano sempre tutti assorti nella produzione; credo che gli adolescenti non siano abituati a questa modalità di lavoro totalizzante, proprio per questo in un’occasione del genere cercano di tirare fuori il meglio di sé. Noi non abbiamo mai dato l’opportunità per distrarsi, c’erano delle richieste precise e tempi da rispettare. Chi si era iscritto al laboratorio aveva deciso di dedicare quel tempo alla pittura, si sono sentiti liberi di farlo scegliendo di lavorare consapevolmente.

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Estate in pittura, Palazzo Strozzi, 2023. Foto Sara Sassi

MM
La tua pratica artistica si alterna all’insegnamento a scuola, che è un contesto di educazione formale. A Palazzo Strozzi c’è la possibilità di confrontarsi con l’arte in modo diretto, secondo altre modalità. Secondo la tua esperienza come metteresti in relazione i due diversi ambienti nella pratica educativa?

AC
I musei e le scuole dovrebbero essere più vicini nella quotidianità, soprattutto i licei artistici. Nelle scuole servirebbero degli spazi in cui lavorare direttamente con gli artisti, innescare un coinvolgimento più profondo. È quello che manca di più: sentirci vicini agli artisti, alle mostre, osservare le opere dal vero. Questo modello di laboratorio può aiutare molto i ragazzi e permette loro di far emergere aspetti che rimangono sopiti e inesplorati. A scuola lavoriamo per obiettivi e la parte più importante spesso non è la qualità del lavoro, ma la capacità di rimanere aderenti alla traccia. Le modalità che proponi devono essere uguali per tutti, tenendo conto dei limiti fisici degli spazi e delle attrezzature disponibili, inoltre gli studenti devono essere giudicati, pertanto devono presentare un progetto aderente a canoni ben precisi e questo ti richiede di indirizzarli. Tutto questo è molto diverso rispetto a una pratica artistica che si nutre di libertà. La scuola dovrebbe imparare a integrare maggiormente questo aspetto.

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Estate in pittura, Palazzo Strozzi, 2023. Foto Sara Sassi
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Estate in pittura, Palazzo Strozzi, 2023. Foto Sara Sassi

MM
Da artista che utilizza prevalentemente la pittura com’è stato confrontarsi con le tele di Yan Pei-Ming?

AC
Di Yan Pei-Ming invidio le dimensioni! È un pittore che ho guardato molto negli anni dell’Accademia, da giovane pittrice non avevo spazi per fare cose del genere e mi rendevo conto dell’immenso lavoro. Oggi è stato uno strano confronto: tecnicamente non è una pittura che seguo con particolare attenzione, ma è stato un artista che ha segnato la mia formazione. Mi ha scosso, guarda quanta forza puoi avere dipingendo.
Mi sarebbe piaciuto vedere una mostra del genere molti anni fa a Firenze.

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Estate in pittura, Palazzo Strozzi, 2023. Foto Sara Sassi

MM
Estate in pittura
potrebbe diventare un formato educativo a cadenza annuale. Nel panorama degli artisti italiani della tua generazione, chi vedresti bene nel ruolo di artista/educatore?

AC
Alcuni artisti non riuscirebbero mai a stare in un’aula a parlare di pittura a qualcuno, per alcuni semplicemente stare in una situazione di condivisione con altri artisti è impensabile, figurati con dei ragazzi o dei bambini. In questo processo di condivisione devi riuscire a creare un rapporto di empatia, altrimenti non arrivi a smuovere niente. Se questo aspetto non fa parte del tuo carattere è molto difficile insegnare.
Tra gli artisti della mia generazione ne conosco di molto bravi: Mattia Barbieri è un pittore e scultore molto comunicativo e anche la sua pratica è adatta all’insegnamento. Anche Matteo Coluccia, che lavora con la pittura, la performance e la scultura, ha un approccio multidisciplinare che gli permetterebbe di condurre esperienze di questo tipo. Monica Mazzone e Lucia Veronesi, che sono impegnate anche nell’insegnamento, hanno una pratica di lavoro che permette loro di creare un rapporto stimolante in un contesto educativo.

MM
Anna grazie per questo scambio e il tempo che hai dedicato a questo progetto.

AC
Grazie a voi.

Biografia

Anna Capolupo è nata a Lamezia Terme nel 1983, si diploma all’Accademia delle Belle Arti di Firenze nel 2008. Vive e lavora a Firenze. È vincitrice del Premio Behnoode Foundation, The Others art fair 2022, del Premio Combat Prize nel 2016 e finalista al Premio Terna del 2014. Nel 2019 è stata selezionata al programma di residenze presso LA CASAPARK Art Recidency di New York, la Residenza Facto di Montelupo Fiorentino e ha preso parte al Simposio di Pittura Landina presso Cars a Omegna e al Simposio di Pittura della Fondazione Lac o Le mon a San Cesario di Lecce. Collabora con diverse gallerie e spazi indipendenti sul territorio nazionale.

Guardare la guerra

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In occasione della mostra Yan Pei-Ming. Pittore di storie abbiamo chiesto ad Andrea Sceresini, giornalista freelance e autore di inchieste e reportage di guerra, di ispirarsi alle riproduzioni di Yan Pei-Ming delle copertine del «TIME» con Vladimir Putin e Volodymyr Zelensky per descrivere il conflitto tra Russia e Ucraina, partendo dalla sua esperienza diretta sul campo.
Andrea Sceresini è un giornalista freelance e ha seguito il conflitto in Ucraina fin dal 2014 per Rai, Sky, Mediaset, l’Espresso, la tv tedesca Rtl e altre testate. Come reporter ha lavorato anche in Venezuela, in Egitto e in Transnistria. Ha pubblicato, tra gli altri, il libro Ucraina, la guerra che non c’è (Baldini e Castoldi, 2022).
L’articolo è accompagnato dalle foto di Alfredo Bosco, fotoreporter freelance che si occupa del conflitto in Ucraina.

Attenzione: alcune immagini potrebbero turbare i lettori.

I volti di Vladimir Putin e Volodymyr Zelensky – messi l’uno di fronte all’altro in questi due trittici di Yan Pei-Ming – sono gli emblemi viventi del conflitto che dal 24 febbraio 2022 sta devastando l’Ucraina. Viste oggi, dalla nostra prospettiva, le posizioni di Mosca e quelle di Kiev appaiono assolutamente inconciliabili, proprio come i visi contrapposti dei due presidenti. Eppure, quando nel 2014 si iniziò a combattere nel Donbass, in pochi avrebbero immaginato un epilogo così catastrofico. Fino a pochi mesi prima, il separatismo filorusso nell’est dell’Ucraina era un fenomeno praticamente inesistente (il partito Doneckaja Respublika riusciva a portare in piazza, quando andava bene, una trentina di persone), e lo stesso valeva, dall’altra parte, per l’ultranazionalismo anti-moscovita. Il fatto è che russi e ucraini avevano sempre convissuto in pace: parlavano due lingue praticamente sovrapponibili, avevano la stessa religione e una storia comune che affondava le radici nell’antico impero degli zar.

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Yan pei-Ming, Vladimir Putin, Tsar of The New Russia (det.), 2008. Photography: Clérin-Morin © Yan Pei-Ming, ADAGP, Paris, 2023
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Yan pei-Ming, Volodymyr Zelensky & The Spirit of Ukraine (det.), 2022. Photography: Clérin-Morin © Yan Pei-Ming, ADAGP, Paris, 2023

Quando sono arrivato per la prima volta a Donetsk, nell’ottobre 2014, non era raro che all’interno della stessa famiglia ci fosse chi tifava per Kiev e chi per Mosca. La gente era tendenzialmente molto spaesata, e in tanti ancora si illudevano che tutto quell’affare si sarebbe risolto in tempi brevi e senza troppe conseguenze. Da allora, a colpi di propaganda – e di bombe, e di carri armati – il germe dello sciovinismo più brutale è stato seminato in abbondanza su entrambi i lati del fronte. A detta dei media moscoviti, gli ucraini sono tutti “nazisti”, mentre i telegiornali di Kiev hanno ribattezzato i russi con un termine decisamente più aulico: li chiamano “gli orchi”. In quest’ottica, anche le notizie di cronaca spicciola hanno subito una serie di sostanziali modifiche.

Nel 2014, mentre ero a Donetsk, la città fu colpita dall’esercito ucraino: “I separatisti si bombardano da soli per dar la colpa ai nostri”, scrissero i giornali governativi. Un paio di mesi dopo, quando i russi tirarono sul mercato di Mariupol, i quotidiani del Cremlino titolarono esattamente allo stesso modo: “Gli ucraini si bombardano da soli per dar la colpa ai separatisti”. Il tutto suonava così estraniante da risultare quasi comico, ma la propaganda del resto è sempre stata allergica all’autoironia. Paradossalmente, coloro che meno di tutti digeriscono questo tipo di réclame bellicistica sono proprio quelli che la guerra la vedono più da vicino. Non ho mai conosciuto – salvo rare eccezioni – dei soldati che fossero entusiasti di ammazzare o farsi sparare addosso.

La Russia e l’Ucraina sono due Paesi molto poveri e molto corrotti, dove chiunque abbia qualche capitale da parte non ci pensa due volte a pagare un medico per farsi esentare dalla naja. Il risultato è che nelle trincee ci finiscono spesso i più disgraziati, i quali appena possono gettano a terra il fucile e cercano di tornarsene a casa. Lo scorso anno, sul fronte di Lyman, ha fatto notizia la storia di un intero reparto ucraino che aveva deciso di abbandonare la prima linea e di nascondersi in un bosco. Episodi simili accadono spesso anche sul lato russo: giusto qualche settimana fa ho intervistato un ex ufficiale di San Pietroburgo che pur di farsi rispedire nelle retrovie aveva convinto un suo sottoposto a sparargli un colpo di Kalashnikov nelle gambe.

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Ucraina; Kharkiv; 2022. Oggetti tra le macerie di un edificio colpito ripetutamente dall’artiglieria dell’esercito russo nella periferia di Kharkiv.
Foto: Alfredo Bosco

Per capire qualcosa in più sul famigerato esercito di Putin, nell’ottobre 2022 sono volato in Buriazia, nella Siberia più profonda, che è il luogo da cui sono partiti molti dei volontari russi che hanno partecipato alle prime fasi dell’invasione. Non ho trovato villaggi popolati da guerrieri, ma solo tanta povertà e una lunga distesa di fosse fresche nei cimiteri. Ai soldati morti in Ucraina il governo locale corrisponde un risarcimento di 140mila dollari, che per chi vive nelle steppe attorno al lago Baikal è una cifra favolosa: in molti – banalmente – si sono arruolati per questa ragione.

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Ucraina; Donbass; 2022. SPG-9 utilizzato contro la posizione russa. Frontiera del Donbass con i membri di Svoboda Rossii. La legione fa parte dell’esercito ucraino ed è composta da disertori dell’esercito russo e altri volontari provenienti dall’ex blocco sovietico.
Foto: Alfredo Bosco
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Ucraina; Kyiv (Kiev); 2022. Ponte di Irpin. Ogni giorno centinaia di abitanti di Irpin attraversano i resti del ponte per raggiungere la stazione ferroviaria della capitale ed evacuare. Il ponte è stato distrutto per impedire un’avanzata russa. Gli abitanti di Irpin sono costantemente sotto il fuoco dell’artiglieria russa.
Foto: Alfredo Bosco

Un giorno, mentre cercavo testimonianze nei dintorni del capoluogo Ulan-Udė, mi sono imbattuto in un vecchio che raccoglieva patate. Gli ho chiesto cosa pensasse degli ucraini, e lui mi ha risposto la cosa più semplice del mondo: “Cosa devo pensare? Tutto ciò che so di loro è che sono contadini come noi e non mi hanno mai fatto nulla di male”. Quando al posto dei ritratti di Putin e Zelensky ci saranno i volti di due contadini con la barba ispida e le mani callose, forse allora la guerra finirà per davvero.

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Ucraina; 2023. Ritratto di Yatagan, combattente russo, membro di Svoboda Rossii nell’area del Donbas. La legione fa parte dell’esercito ucraino ed è composta da disertori dell’esercito russo e altri volontari provenienti dall’ex blocco sovietico.
Foto: Alfredo Bosco
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Ucraina; 2023. Ritratto di Cesar, membro di Svoboda Rossii nell’area del Donbas. La legione fa parte dell’esercito ucraino ed è composta da disertori dell’esercito russo e altri volontari provenienti dall’ex blocco sovietico.
Foto: Alfredo Bosco

Tra Pier Paolo Pasolini, Aldo Moro e Yan Pei-Ming

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In occasione della mostra Yan Pei-Ming. Pittore di storie abbiamo chiesto a Franco Zabagli, filologo ed esperto di Pier Paolo Pasolini, di approfondire il legame di Yan Pei-Ming con il poeta, scrittore e regista italiano.
Franco Zabagli lavora presso il Gabinetto Vieusseux di Firenze, dove ha curato il fondo dei manoscritti di Pasolini conservati nella sezione dell’Archivio Contemporaneo ‘Alessandro Bonsanti’. Su Pasolini ha scritto numerosi saggi raccolti nel volume Filologia minima su Pasolini e altro (Ronzani Editore, 2022). Ha curato con Walter Siti i ‘Meridiani’ Per il cinema (Mondadori); la monografia Mamma Roma. Un film di Pier Paolo Pasolini (Cineteca di Bologna), e la riedizione anastatica di Poesie a Casarsa (Ronzani Editore). Ha curato le mostre, e i cataloghi, Pier Paolo Pasolini. Dipinti e disegni dall’Archivio Contemporaneo del Gabinetto Vieusseux (2000) e Pasolini. Dal Laboratorio (2010).

Nell’arte di Yan Pei-Ming la presenza di temi figurativi riguardanti Pier Paolo Pasolini è una traccia rivelatrice dei forti significati che emanano dai suoi dipinti maestosi, dove la materia della pittura torna a confrontarsi con le forme e i linguaggi della contemporaneità, dando del nostro tempo una rappresentazione dai sorprendenti risultati poetici.

Nella mostra in corso a Palazzo Strozzi il trittico che accoglie il visitatore nella prima sala è un autoritratto a figura intera, dove l’artista si rappresenta con l’abbandono e l’inerme nudità di un uomo crocifisso. Un’intima assunzione in se stesso del simbolo cristiano come archetipo universale del dolore umano, che verso la fine della mostra ritroviamo ancora in una solenne Crocifissione esemplata dai fotogrammi finali del Vangelo secondo Matteo: collocata, quest’ultima, fra due quadri “storici” che si fronteggiano: il ritrovamento del corpo massacrato di Pasolini all’Idroscalo di Ostia, e quello di Aldo Moro, abbandonato nel bagagliaio della Renault in via Caetani. Entrambi, replicando in grandi dimensioni lo scatto fotografico diffuso dalle agenzie di stampa, e rimasto indelebile nella memoria di tutti.

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Aldo Moro e Pier Paolo Pasolini alla prima di Edipo re alla 28ª Mostra del Cinema di Venezia (settembre 1967). Foto Farabola / Bridgeman Images

L’acme tragica su cui Yan Pei-Ming concentra la scelta dei propri soggetti è desunta dalle foto dei giornali, da emblemi pop e immagini private come dai capolavori della storia dell’arte e dalla sublime iconografia religiosa, quella stessa su cui Pasolini, con la sua raffinata cultura figurativa, ricompone il particolare realismo del suo cinema, dove la passione di Cristo torna più volte a ripetersi nel destino di personaggi “umili”, come il ladrone affamato della Ricotta, o il figlio di Mamma Roma legato in carcere al letto di contenzione, e inquadrato dalla macchina da presa secondo il taglio prospettico di un “Cristo morto”. Proprio da quest’ultima immagine di Mamma Roma Yang Pei-Ming aveva ricavato un quadro esposto in una mostra romana a Villa Medici, per la quale l’artista aveva ridipinto a suo modo anche il più eminente fotogramma del Neorealismo italiano, quello di Anna Magnani crivellata dalle mitragliatrici tedesche in Roma città aperta.

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Yang Pei-Ming, Pasolini, Mamma Roma, 2015.
Photographie: André Morin © Yan Pei-Ming, ADAGP, Paris, 2023
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Yang Pei-Ming, Rossellini, Roma città aperta, 2015.
Photographie: André Morin © Yan Pei-Ming, ADAGP, Paris, 2023

La Storia che Yang Pei-Ming dipinge non è più quella interpretata dalle articolazioni di un pensiero o mossa dalle forze di un’ideologia, ma un mausoleo di tragedie diventate atemporali, di potenti della Terra fissati nel trono e nella polvere della loro parabola, dove insieme alla morte di Pasolini e di Moro si allineano i d’après della “Morte di Marat” di David, le fucilazioni del “3 maggio 1808” di Goya, il Mao dei ritratti ufficiali di Grande Timoniere, Putin e Zelensky incorniciati nella copertina di “Time”, Mussolini e la Petacci appesi a Piazzale Loreto, con una potenza di effetto che richiama l’immagine iniziale dei Pisan Cantos di Ezra Pound: “Thus Ben and la Clara a Milano / by the heels at Milano…” (“Così Ben e la Clara a Milano / per i calcagni a Milano…”).

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Yang Pei-Ming, Ostia, 2 novembre 1975, 2023.
Photographie: André Morin © Yan Pei-Ming, ADAGP, Paris, 2023
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Yang Pei-Ming, Aldo Moro (9 May 1978, Rome), 2017.
Photographie: André Morin © Yan Pei-Ming, ADAGP, Paris, 2023

In alcuni versi scritti all’inizio degli anni Sessanta, di fronte alla rapidissima mutazione che il Neocapitalismo planetario operava ormai ovunque e in ogni cosa, Pasolini riconosce una sorta di apocalisse ormai accaduta, e definisce il suo tempo una “Dopostoria”, o “nuova Preistoria”. Sempre in quegli anni, nel film La rabbia, una sorta di poema d’immagini fatto di spezzoni di cinegiornali, Pasolini allinea in una lunga sequenza le guerre del Novecento e le voraci espansioni della modernità, stragi e splendori mondani, nuove metropoli e Terzo mondo, megalomanie del denaro ed epifanie del Potere, Kruscev e Kennedy, Pio XII e Papa Giovanni, l’incoronazione di Elisabetta II e, struggente, Marylin Monroe, quasi un simbolo sacrificale del passaggio dal “mondo antico” al “mondo moderno”. Proprio a questa “fine della Storia”, così precocemente riconosciuta da Pasolini, Yan Pei-Ming sembra voler erigere una galleria di icone monumentali: un voto immenso e severo, da eseguire manualmente, con pazienza religiosa, e pennelli, spatole, parsimonia di colori.

In questi suoi quadri, ciò che accomuna la compresenza di temi storici e temi privati è una nobile meditatio mortis, dove sembrano compenetrarsi l’idea della vacuità buddhista e della cristiana vanitas, che, come tema iconografico, ricorre in mostra nel “Campo di crani rossi”, dove su una larga superficie orizzontale l’artista ha replicato ad acquerello la TAC del suo stesso cranio. Immaginare la propria morte anche in simili dettagli figurativi è del resto un esercizio spirituale comune alle due tradizioni. Pasolini, sempre esistenzialmente aperto ai misteri del sacro, ha immaginato più volte in forma poetica la propria morte (ricordo la poesia in friulano Il dì de la me muart, o il poemetto Una disperata vitalità); e Yan Pei-Ming, nella sala dove campeggia il complesso polittico dei “Funerali di Monna Lisa”, colloca un ritratto di se stesso giovane e defunto di fronte a un ritratto del padre anziano, creando un’enigmatica corrispondenza famigliare col volto della Gioconda, e soprattutto col paesaggio di sfondo, dilatato in due immensi pannelli laterali verso un orizzonte ultimativo di roccia e tenebre.

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Yan Pei-Ming, Champ de crânes rouges, 2023.
Photographie: André Morin © Yan Pei-Ming, ADAGP, Paris, 2023

Ancora un’analogia: l’amore, la devozione di entrambi per la madre. Scrive Pasolini nella celebre Supplica a lei dedicata: “Ti supplico, ah, ti supplico: non voler morire. / Sono qui, solo, con te, in un futuro aprile…”. Yan Pei-Ming dedica in questa mostra alla madre un’iconostasi di tre quadri: un gigantesco ritratto del suo volto minuto di vecchia dove quasi ci ipnotizza la mitezza, l’umiltà dello sguardo, un Buddha arancio dorato, memoria di quelli che l’artista disegnava da bambino per lei, e il Paradiso dove s’immagina che la madre ora sia: una rarefazione pressoché tutta bianca, un vuoto immacolato dove appena si arriva a distinguere – “in un futuro aprile…” – un ramo fiorito.

Tra Oriente e Occidente, guidati dal Piccolo Drago

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In occasione della mostra Yan Pei-Ming. Pittore di storie abbiamo chiesto a Xiuzhong “Gianni” Zhang, da anni amico di Yan Pei-Ming, di condividere un’intima riflessione sull’arte del maestro franco-cinese. I due sono accomunati da origini ed esperienze di vita simili, caratterizzate da una commistione profonda tra Oriente e Occidente.
Xiuzhong Zhang si stabilisce a Firenze dopo la laurea in Scultura all’Accademia di Belle Arti e nel 2013 avvia un’attività come operatore culturale tra l’Italia e la Cina. Ha fondato la Zhong Art International, un’organizzazione che promuove e realizza progetti volti a favorire la conoscenza, il dialogo e gli scambi fra i due paesi nel campo artistico e ha istituito nel 2020 il Fán Huā Chinese Film Festival, di cui è Presidente.

Ho sentito parlare di Yan Pei-Ming per la prima volta nel 2012, quando ero studente all’Accademia di Belle Arti a Firenze e sono andato a Milano per vedere la sua mostra alla Galleria di Massimo De Carlo. Pochi anni dopo, nel 2016, in occasione della mostra di Liu Xiaodong a Palazzo Strozzi, ho avuto un primo contatto diretto con lui: è stato un incontro molto amichevole e dietro suo suggerimento sono andato a Roma per vedere una sua mostra. Durante la sua prima permanenza a Firenze ci siamo frequentati spesso, abbiamo molto parlato di arte e mi ha raccontato degli artisti cinesi che vivono a Parigi. Nel 2021 ci siamo rivisti per caso, ancora a Firenze: si vede che era destino o “yuánfèn”, come dice il buddhismo, ovvero una buona opportunità. Da allora ci scriviamo su WeChat e siamo diventati amici.

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Xiuzhong Zhang e Yan Pei-Ming. Foto Chen Zhenhao

L’anno scorso, avendo saputo che avrebbe esposto a Palazzo Strozzi, gli ho mandato un messaggio di congratulazioni: con grande modestia, mi ha ringraziato e qualche mese dopo mi ha scritto che sarebbe venuto dalla Francia per l’organizzazione della mostra. Ci siamo quindi nuovamente incontrati con grande piacere a Firenze durante la chiusura del nostro Fánhuā Chinese Film Festival.

Mi considero fortunato per aver potuto conoscere di persona questo artista. Yan Pei-Ming è una persona speciale, attenta e riservata. Personalmente lo stimo molto, sia dal punto di vista umano che per la sua ricerca artistica. Abbiamo in comune le radici orientali e un’esperienza formativa importante in Occidente: io sono nato e cresciuto in Henan, poi all’età di 20 anni sono arrivato a Firenze, dove mi sono laureato all’Accademia di Belle Arti e ho approfondito la conoscenza e l’analisi dell’arte occidentale; Yan Pei-Ming, nato e cresciuto a Shanghai, è partito per Parigi a 20 anni con il sogno di studiare arte. All’inizio, per mancanza di risorse economiche ha fatto vari lavori e, proprio lavorando in un ristorante, ha conosciuto un artista giapponese che lo ha indirizzato all’Accademia di Digione. Durante la sua formazione è stato aiutato anche dall’amico Zhu Dequn, affermato pittore cinese attivo a Parigi. Anch’io, come Yan Pei-Ming, dopo gli studi sono entrato in contatto con importanti artisti cinesi, che mi hanno incoraggiato nella mia scelta di intraprendere l’attività di promotore e organizzatore culturale tra Cina e Italia. Formati in Oriente, ci siamo stabiliti tutti e due in Europa, immergendoci nell’arte e nel pensiero occidentale, e questo ha arricchito la nostra formazione artistica grazie all’apporto di due culture.

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Yan Pei-Ming. Pittore di storie, Palazzo Strozzi, Firenze, 2023. Photo Ela Bialkowska, OKNOstudio

Yan Pei-Ming è da sempre molto attento alle vicende storiche e all’attualità, ai personaggi del passato e del presente. Con la sua pittura restituisce con grande talento espressivo la sua visione, spesso dolorosa e drammatica: volti asiatici, totem spirituali cinesi, tradizioni culturali e simboli popolari rappresentati con colori puri, segni e tratti freschi e immediati. La sua è una fusione inedita di elementi diversi, che colpisce i nostri sensi e il nostro spirito.

L’attenzione ai personaggi storici e alla società contemporanea lo orienta su opere monocrome, con forti contrasti chiaroscurali e pennellate decise. I suoi ritratti sembrano travalicare i limiti del tempo e dello spazio geografico, creando un ponte tra Oriente e Occidente, tra passato e presente, forse per affermare che le vicende e i destini del genere umano sono strettamente legati.

Nell’era post-pandemica le comunità di tutto il mondo sembrano non essersi ancora riprese dall’isolamento sociale e dai traumi psicologici subiti. Le persone hanno messo da parte passioni e ideali di fronte alle priorità dettate dalle difficoltà economiche e la vera comunicazione fra le persone stenta a riprendere. I conflitti spesso nascono da differenze e incomprensioni, per scarsa conoscenza reciproca e assenza di dialogo, come se un fiume invalicabile creasse un ostacolo invalicabile. Personalmente credo che si debbano creare presto dei ponti per rimettere in comunicazione le nostre esistenze.

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Yan Pei-Ming. Pittore di storie, Palazzo Strozzi, Firenze, 2023. Photo Ela Bialkowska, OKNOstudio

L’attore Bruce Lee, il cui nome cinese Li Xiaolong significa “piccolo drago” è uno dei soggetti più trattati nei ritratti di Yan Pei-Ming. Le arti marziali e i relativi concetti filosofici espressi nei film hanno ampiamente contribuito ad aprire relazioni tra Oriente e Occidente, presentando dei prodotti cinematografici caratterizzati da elementi delle due culture. Questo personaggio rimane per il mondo occidentale un rappresentante “predefinito” della cultura asiatica ma per tutta la vita Bruce Lee ha sfidato il razzismo e gli stereotipi – attraverso la sua fisionomia orientale, l’aspetto atletico, il taglio dei capelli e un abbigliamento tipicamente americano – cambiando l’immagine convenzionale dei cinesi e dimostrando che possono essere combattivi, forti e sexy. Nel lavoro dell’artista, il ritratto di Bruce Lee sembra voler esprimere al di là degli stereotipi, un desiderio di riconciliazione.

L’Arte è il miglior ponte possibile, di cui gli artisti sono oggi gli architetti, grazie ai quali possiamo sperare di superare le barriere che ci dividono.

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Yan Pei-Ming, Bruce Lee, 2007, Collezione privata.
Yan Pei-Ming. Pittore di storie, Palazzo Strozzi, Firenze, 2023. Photo Ela Bialkowska, OKNOstudio

Fino al 3 settembre 2023 a Palazzo Strozzi sarà possibile apprezzare il talento creativo, l’energia e lo stile personale di Yan Pei-Ming, che ci mostra la sua visione del mondo attraverso storie e personaggi, affrontando temi cruciali del passato e del presente, come il potere, l’ingiustizia, la morte, l’oblio, e stratificando con le sue visioni la nostra comune memoria sociale.

In copertina: Yan Pei-Ming, Bruce Lee, 2007. Collezione privata. Photography: Alessandro Zambianchi, Yan Pei-Ming, ADAGP, Paris, 2023.