La forma del futuro

Ripensami tra 20 anni ripensami, Foto di Mouhamed Yaye Traore

di Alessio Bertini

Per molti il 2020 è stato un anno vissuto in sospensione. Sospensione del lavoro, delle scadenze, dei viaggi, delle relazioni. In attesa di ritrovare la quotidianità sottrattaci dalla pandemia facciamo i conti con uno sfasamento che influisce sulla nostra capacità di vivere il presente e immaginare il futuro.

Sebbene l’emergenza sanitaria abbia riguardato tutti indistintamente, giovani e giovanissimi hanno subito i suoi effetti proprio nel momento in cui l’individuo inizia a esplorare il mondo oltre lo spazio domestico. Sappiamo ancora poco delle ripercussioni che tutto ciò avrà sulla loro generazione.

È pensando a questo contesto che Palazzo Strozzi sta portando avanti – in collaborazione con enti e amministrazioni di tutto il territorio toscano – una serie di laboratori guidati da artisti e dedicati a ragazze e ragazzi tra gli 11 e i 17 anni. Questo programma, Artisti vagabondi, nasce all’interno di Vagabondi efficaci. Seminare cultura per crescere insieme­­­­­­, il progetto dedicato al contrasto della povertà educativa finanziato dall’impresa sociale Con i Bambini e che riunisce un ampio partenariato coordinato da Oxfam Italia.

Un momento di attività presso Officina Giovani a Prato. Foto di Mouhamed Yaye Traore
Un momento di attività presso Officina Giovani a Prato. Foto di Mouhamed Yaye Traore

Il progetto, avviato nel 2018, nasceva con l’ambizione di realizzare in tre anni centinaia di attività in tutta la Toscana, proponendo laboratori interdisciplinari di 12 o 20 ore da realizzare in ambito scolastico ed extrascolastico. La programmazione ha però dovuto fare i conti con l’epidemia di COVID-19, che non ha solo limitato lo svolgimento di attività in presenza, ma ha posto di fronte la necessità di interpretare diversamente gli obiettivi dell’azione, mettendo le risorse umane e finanziare al servizio di un contesto radicalmente mutato.

In un nuovo scenario segnato da paure, insofferenza, spaesamento e dal distanziamento sociale, Palazzo Strozzi ha creato una serie di occasioni per permettere ad adolescenti residenti in diverse aree della Toscana di incontrarsi e di riflettere su questo momento storico per darne una rappresentazione. Il tutto, nel rispetto delle norme sanitarie e nonostante le sfide organizzative che hanno comportato.

Grazie all’aiuto di artisti come Jacopo Natoli e Danilo Innocenti del collettivo Sgorbio, e di Cristina Pancini, abbiamo ideato dei laboratori articolati in varie giornate di attività per stimolare nei partecipanti una risposta attiva a un tempo avverso. Con Sgorbio abbiamo organizzato un centro estivo nella splendida cornice del Parco Vivo di Castiglion d’Orcia, dove l’esperienza è stata dedicata al rapporto con la natura, riscoperto e riconfigurato grazie a un approccio artistico.

Attività presso il Parco Vivo di Castiglion d’Orcia. Foto di Jacopo Natoli e Danilo Innocenti
Attività presso il Parco Vivo di Castiglion d’Orcia. Foto di Jacopo Natoli e Danilo Innocenti

Jacopo Natoli e Danilo Innocenti hanno dato vita, insieme a un gruppo di under 15, a una «situazione di autoapprendimento» resa secondo i due artisti «ancora più sorprendente dal fatto che, invece che in uno spazio votato all’educazione come l’aula scolastica, sia successo tutto in un bosco». Il risultato concreto di questa esperienza di conoscenza dell’ambiente – e di sé – è stata la produzione di strumenti musicali realizzati con materiali trovati tra alberi e cespugli. Si tratta di un obiettivo che possiamo leggere come il pretesto per attivare un processo ben più importante e cioè, come dice Jacopo, «il fatto che potessimo creare degli strumenti musicali nel bosco senza che nessuno, nemmeno chi conduceva l’attività, avesse un’esperienza in ciò. Facevamo tutti cose che non sapevamo fare».

Attività presso Officina Giovani a Prato. Foto di Mouhamed Yaye Traore
Attività presso Officina Giovani a Prato. Foto di Mouhamed Yaye Traore

La proposta di Cristina Pancini si è sviluppata nei mesi autunnali e invernali, prima a Prato, presso Officina Giovani, e poi a Figline Valdarno negli spazi del Centro diurno EOS. Ripensami tra 20 anni ripensami è un’attività dedicata alla possibilità di immaginare se stessi nel futuro: un immaginario che la pandemia ha decisamente complicato.

In entrambe le occasioni i partecipanti, tra i 12 e i 17 anni di età, hanno dato forma e voce a ciò che non si può vedere né conoscere: il mondo nell’anno 2040. La difficoltà e il valore di questo lavoro emergono dalle paroledell’artista sul progetto: «In questi giorni così precipitosamente violenti tremiamo, ma proviamo a ritrovarci: alcuni si sentono spaesati, molto spaventati; altri pensano che un pessimismo così diffuso sia esagerato, almeno quanto l’ottimismo di ieri; altri si arrabbiano; altri ancora preferiscono pensare ad altro… Tra tutte, emergono delicate e chiare alcune voci, quelle di chi sente forte il bisogno di prendersi cura del presente e si chiede: Come saremo tra qualche anno? Come vogliamo essere? Cosa possiamo fare?».

Queste domande sono state rivolte dall’artista a chi ha l’età giusta per immaginarsi protagonista di quel futuro: ragazze e ragazzi nei primi anni delle scuole superiori, provenienti da contesti territoriali e familiari diversi, talvolta anche difficili, ma accomunati dagli stessi interrogativi verso il tempo che verrà. Attraverso conversazioni con l’artista, esercizi di rappresentazione, piccole indagini sociali che hanno coinvolto i passanti, ogni partecipante è riuscito a visualizzare, scrivere e illustrare le paure e i desideri che collega al proprio futuro, partendo dalle difficoltà e dalle gioie che già conosce.

Uno degli elaborati esposti all’evento conclusivo dell’attività di Figline Valdarno. Foto di Alessio Bertini
Uno degli elaborati esposti all’evento conclusivo dell’attività di Figline Valdarno. Foto di Alessio Bertini

In alcuni casi sono emerse fragilità, dolori, insicurezze e piccole crepe nel percorso di crescita che sono difficili da raccontare con leggerezza. Non è semplice chiedere a una persona di aprirsi con onestà su questioni tanto delicate. Per questo motivo nella seconda edizione dell’attività a Figline i partecipanti hanno scritto i pensieri con inchiostro bianco su carta bianca: uno stratagemma utile per far percepire a chi legge la profondità di certi contenuti, la difficoltà con cui sono affiorati, la loro non gratuità. I documenti sono stati esposti al pubblico in occasione di un evento finale, un momento fondamentale per il funzionamento di tutta l’esperienza. Alcune ragazze del gruppo di Figline non si sono presentate, preferendo che fossero le parole scritte con il bianco e lette in controluce a parlare per loro. Tutti però hanno firmato un contratto che li impegna simbolicamente a ritrovarsi tra vent’anni per verificare insieme quante di quelle previsioni si saranno avverate. Nel frattempo, tutti i testi rimarranno sigillati in un’urna conservata nelle biblioteche e negli archivi della città in cui sono stati scritti. Fino al 2040.

Il contratto che lega i partecipanti del progetto. Foto di Alessio Bertini
Il contratto che lega i partecipanti del progetto. Foto di Alessio Bertini

Per la realizzazione di Manifesto Ergo Vivo a Castiglion d’Orcia si ringraziano il Teatro Povero di Monticchiello e Parco Vivo di Vivo d’Orcia.

Per la realizzazione di Ripensami tra 20 anni ripensami si ringraziano il Comune di Prato, il Teatro Povero di Monticchiello, il consorzio E.Co, la cooperativa L’inchiostro, gli educatori Marianna Di Rosa e Antonio Filippone che hanno condotto le attività insieme all’artista.

In copertina: Attività nel centro storico di Prato in occasione di Ripensami tra 20 anni ripensami. Foto di Mouhamed Yaye Traore

Tomás Saraceno: Una speranza per il futuro

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di Arturo Galansino

Si è conclusa domenica 1° novembre 2020 Tomás Saraceno. Aria, la grande mostra dedicata a uno dei più originali e visionari artisti contemporanei del mondo, che con la sua straordinaria creatività ha trasformato Palazzo Strozzi in un luogo di partecipazione e condivisione, con opere talvolta impercettibili a volte monumentali e di forte impatto, simboli di una visione aperta e interconnessa col mondo, diventate fin da subito immagini iconiche, se non profetiche, per una riflessione sul nostro presente.

Nonostante la sospensione forzata di 3 mesi a causa dell’emergenza Covid-19, la mostra ha raggiunto un totale di oltre 60.000 visitatori, ponendosi come uno degli eventi culturali più importanti di Italia, ma anche come una originale occasione di riflessione sul mondo all’epoca del Coronavirus. In un momento di profonda crisi dei concetti di condivisione e socialità, Palazzo Strozzi si è trasformato in uno spazio di immaginazione e un luogo di ripartenza per una nuova idea di partecipazione creando un’esperienza totalmente inedita per i nostri visitatori per parlare di presente e futuri possibili, di connessioni e isolamento, di partecipazione e meditazione: riflessioni più che mai attuali per portare avanti nuove visioni di futuro e di realtà.

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Tomás Saraceno, Aerographies, 2020. Installation view of Aria, Palazzo Strozzi, Florence, 2020. © Photography by Studio Tomás Saraceno

Nuove attività e nuove modalità di visita

Dopo la sospensione tra marzo e maggio, la riapertura della mostra il 1° giugno è stata accompagnata da una revisione delle modalità di fruizione degli spazi: oltre alle misure legate alle normative vigenti, è stata aumentata la segnaletica nel palazzo e potenziato il sistema di prenotazione degli ingressi online, consentendo una gestione fluida degli accessi ed evitando assembramenti agli ingressi. Novità della riapertura sono stati l’audioguida della mostra, gratuita e direttamente utilizzabile dal proprio cellulare (oltre 18.000 utilizzi unici), e lo speciale Kit digitale dedicato alle famiglie (che ha visto la fruizione di oltre 1.200 famiglie). A tutto ciò si è affiancato un ampio programma di eventi e attività in presenza e online che hanno permesso il ritorno a una fruizione di partecipazione e condivisione: laboratori per le scuole, le famiglie e per tutto il pubblico, visite guidate condotte dagli studenti dell’Università di Firenze, letture delle Carte da Aracnomanzia (circa 130 letture effettuate) e le attività di accessibilità, tra cui spicca il progetto Corpo libero, dedicato all’inclusione delle persone con il Parkinson, che ha trovato la sua ripartenza dagli spazi del Cortile di Palazzo Strozzi.

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Corpo libero: together again, 17 settembre 2020, Palazzo Strozzi, Firenze. Foto Giulia Del Vento

Molte attività in presenza legate alla mostra (visite guidate, laboratori, conferenze) sono state proposte in versione online, altre sono state appositamente progettate solo per la dimensione digitale, consentendo una continuità sui progetti e mantenendo costante un’offerta rivolta a differenti target di pubblici che caratterizza da sempre lo spirito audience oriented di Palazzo Strozzi. La dimensione digitale ha permesso in alcuni casi di raggiungere nuovi pubblici e ampliare significativamente la partecipazione. Gli appuntamenti online, conferenze e lecture trasmesse sui nostri canali social, hanno registrato una copertura media di 8.000 visualizzazioni per appuntamento e sono stati seguiti in diretta da circa 800 persone.

Il nostro pubblico

Inevitabile è fare una riflessione sull’impatto che la pandemia ha avuto sulle caratteristiche dei visitatori della mostra. Fondamentale è stato il grande coinvolgimento del pubblico locale che ha rappresentato oltre il 50% dei visitatori della mostra, un dato che prova come Palazzo Strozzi rappresenti un punto di riferimento imprescindibile per la vita culturale di Firenze e dei suoi cittadini. Da segnalare tuttavia è anche come Palazzo Strozzi abbia mantenuto, nonostante le difficoltà del momento, un ruolo primario nella valorizzazione del nostro territorio come meta per il pubblico nazionale e come leva per la creazione di valore economico. Sono stati infatti oltre 30.000 i visitatori non locali, di cui oltre 20.000 si sono recati a Firenze appositamente per visitare la mostra. In generale si conferma altissimo il gradimento espresso dai visitatori, con il 97% del pubblico che si dichiara soddisfatto dell’esperienza.

Di grande partecipazione inoltre sono stati due appuntamenti speciali tenutisi nell’ambito della mostra. Dall’11 al 13 settembre 2020 si sono svolti gli ARIA DAYS,evento realizzato in collaborazione con Manifattura Tabacchi e Aerocene Foundation che ha coinvolto oltre 1000 partecipanti, diventati veri e propri “piloti” delle grandi sculture aerosolari ideate da Tomás Saraceno. Dal 15 al 18 ottobre 2020 si è tenuta invece l’iniziativa Educare al Presente. Immaginare il futuro, realizzata in collaborazione con Publiacqua, che ha coinvolto oltre 900 visitatori della mostra in quattro speciali giornate dedicate a promuovere una nuova consapevolezza del rapporto tra uomo e ambiente attraverso l’arte e la creatività e a ripensare in modo originale e creativo l’uso dell’acqua.

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Aerocene launches, 11-13 september 2020, Manifattura Tabacchi, Firenze, as part of exhibition Tomás Saraceno. Aria, Palazzo Strozzi, Firenze. Photo by Giancarlo Barzagli. Licensed under CC BY-SA 4.0

In copertina: Arturo Galansino © Photography by Ela Bialkowska, OKNOstudio

La cura delle piccole cose

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di Fiorella Nicosia e Caterina Monasta

Cosa significa prendersi cura delle opere di un artista che sono state affidate alla quotidiana attenzione di chi lavora in un centro espositivo come Palazzo Strozzi? Si tratta di una manutenzione quotidiana che diventa quasi una partecipazione a un environment e una relazione diretta e privilegiata con l’arte, e, nel caso della mostra Tomás Saraceno. Aria, anche con altre discipline come la scienza, la tecnologia, l’architettura e la biologia. Sono piccoli gesti che quotidianamente ripetiamo nella nostra relazione con la mostra, per riparare, ricostruire, pulire e persino nutrire ogni singola opera.

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Manutenzione di Sounding the Air, Caterina Monasta e Fiorella Nicosia.
Foto Matthias Favarato

Prendersi cura delle opere di Tomás significa sentirsi parte di esse, viverle piuttosto che osservarle, immergersi in un sistema di equilibrio che si instaura tra noi esseri umani e gli elementi naturali e fisici che le caratterizzano, come frequenze sonore, raggi laser, aria, polvere, gas, inchiostro, fili di ragnatele, organismi vegetali e piante, come le meravigliose tillandsie, e animaletti, quali la piccola araña che vive all’interno di Particular Matter(s).

Ciò che più di ogni altra cosa abbiamo imparato dalle idee di Tomás, applicate visivamente alle sue opere, è che il nostro mondo fisico è fatto di tanti piccoli organismi, di elementi microscopici e separati. Su piccola scala, per dirla con Carlo Rovelli, “tutto è granulare”, non c’è continuità ma granularità, in una rete di interazioni che è importantissima. Ogni opera della mostra, pertanto, è un mondo a sé, un sistema autonomo fatto di singoli elementi che riflettono la propria complessità nella materia, nella relazione con gli altri e nel loro funzionamento. Così ogni singolo elemento di ogni singola opera che compone la mostra ha necessità di essere curato per apparire poi come un tutto armonico e coerente.

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Manutenzione di How to Entangle the Universe in a Spider/Web?, Fiorella Nicosia.
Foto Matthias Favarato
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Manutenzione di How to Entangle the Universe in a Spider/Web?, Fiorella Nicosia.
Foto Matthias Favarato

Nella sala dedicata a How to Entangle the Universe in a Spider/Web?, la manutenzione avviene dal “dietro le quinte”, entrando in uno spazio nascosto al pubblico, attraverso una porta nera ricoperta di tessuto morbido: un piccolo ambiente in cui sono allestite le 3 spider frames. Queste architetture affascinanti e labirintiche, costruite da numerosi ragni, vengono illuminate da un raggio laser che si muove in senso orizzontale su un binario. Il movimento del laser di natura meccanica ed elettrica ha bisogno di essere talvolta da noi accompagnato, controllato, aiutato nel suo funzionamento. Per noi restare in quella saletta buia e segreta in compagnia di quelle ragnatele maestose e silenziose possiede un fascino particolare di quiete e intimità.

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Manutenzione di Particular Matter(s), Fiorella Nicosia.
Foto Matthias Favarato
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Tomás Saraceno, Particular Matter(s), 2020. Installation view of Aria, Palazzo Strozzi, Florence, 2020. © Photography by Studio Tomás Saraceno

Particular Matter(s) Jam Session è costituito da una lunga pedana in mezzo a vari elementi tecnologici come una lampada alogena, una videocamera, una cassa acustica e dei piccoli sensori, all’interno di una ragnatela, vive un piccolo ragno femmina, che abbiamo battezzato Arianna, e che rappresenta per noi la stabilità, la resistenza, la tenacia e la continuità. Questa “ragnetta” ha vissuto nella ragnatela – tessuta in precedenza nello studio di Tomás da altri ragni – dall’inaugurazione della mostra in febbraio, attraversando illesa persino due mesi e mezzo di chiusura della mostra per il lockdown. È rimasta lì, al buio, senza nemmeno l’acqua quotidiana che spruzziamo per idratarla. Si è adattata, non si è spostata se non di pochi centimetri per mangiare o muoversi. Non è così comune che un ragno viva tanto a lungo e da solo nella stessa ragnatela (che non è neanche la propria). Tomás l’aveva inserita in febbraio l’ultima domenica dell’allestimento, senza dirlo a nessuno, e lì è rimasta e c’è ancora. Arianna, l’araña.

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Manutenzione di A Thermodynamic Imaginary, Fiorella Nicosia.
Foto Matthias Favarato
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Manutenzione di A Thermodynamic Imaginary, Caterina Monasta.
Foto Matthias Favarato

Muoversi tra i proiettori e le sfere gonfiabili di A Thermodynamic Imaginary è come immergersi in un ambiente sospeso nel tempo e nello spazio, alla ricerca delle sculture in vetro e specchi da accudire e spolverare, così come in Connectome, l’altra installazione aerea della prima sala della mostra. Anche altre opere hanno necessità di essere “spolverate”, ma la nostra sensazione è sempre quella di togliere qualcosa di importante che per l’artista andrebbe valorizzato e reso visibile, ossia la polvere, oggetto di tante sue opere e speculazioni sull’Universo.

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Manutenzione di Flying Gardens, Caterina Monasta e Fiorella Nicosia.
Foto Matthias Favarato
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Manutenzione di Flying Gardens, Fiorella Nicosia.
Foto Matthias Favarato
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Manutenzione di Flying Gardens, Caterina Monasta e Fiorella Nicosia.
Foto Matthias Favarato
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Manutenzione di Flying Gardens, Caterina Monasta.
Foto Matthias Favarato

Ogni pianta dei Flying Gardens occupa uno spazio proprio all’interno di sfere di vetro composte in sculture “volanti”. Nella sala luminosissima nulla tocca il pavimento, se non i piedi delle persone che la attraversano. Per raggiungere le tillandsie da innaffiare – ogni due giorni con acqua rigorosamente potabile – dobbiamo sporgerci, salire su scale, sollevarci sulla punta dei piedi e ci sembra quasi di entrare in uno spazio vivo e magico, un giardino fluttuante e galleggiante, in una relazione anche fisica con ciascuna pianta che viene raccolta tra le mani per essere annaffiata.

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Manutenzione di Aerographies, Caterina Monasta e Fiorella Nicosia.
Foto Matthias Favarato

Particolarmente affascinante è la sala finale della mostra: Aerographies. Anche qui le opere hanno una vita propria, soprattutto per il movimento dei palloncini gonfiati a elio che si spostano, volando sulla carta e lasciando tracce di penna e disegni aggrovigliati. I grandi fogli bianchi, di tre misure diverse, sono stati da noi tagliati, srotolati, arrotolati e sostituiti numerose volte durante la mostra, seguendo un rigoroso calendario che lo studio dell’artista ci ha fornito, al fine di archiviare ciascun disegno con un numero di inventario prestabilito.

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Manutenzione di Aerographies.
Foto Matthias Favarato
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Manutenzione di Aerographies, Caterina Monasta.
Foto Matthias Favarato

Le penne si consumano, i palloncini si sgonfiano, la polvere arriva sui fogli e sulle cornici sul pavimento, i pesi sulle penne vanno calibrati. È un lavoro costante e quotidiano che va fatto con cura, sempre pensando a far prevalere la leggerezza, il fascino, la poesia e il senso artistico profondo che quest’opera possiede per tutti.

Essere dietro le quinte di tutto ciò è davvero un privilegio.

Il cielo sopra Firenze

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di Ludovica Sebregondi

Il primo collage per Aria, realizzato da Tomás Saraceno nell’estate del 2019 per l’esposizione di Strozzi, mostra Firenze vista da Monte alle Croci su cui si librano le tre grandi sfere dell’installazione Thermodynamic Constellation destinate al cortile rinascimentale del Palazzo. Fluttuano nell’aria serena, sospese sulla città, insieme ad altri prototipi di sculture aerosolari in grado di volare intorno al mondo, libere da confini e da combustibili fossili, libere di navigare attraverso i fiumi dell’atmosfera. Poi l’acqua alta su Venezia del mese di novembre ha cambiato la visione di Tomás, che per il collage definitivo si è ispirato – con il nero predominante, la diffusa sensazione di inquietudine, il grande ragno nella sua capsula d’aria – agli stravolgimenti causati dai cambiamenti climatici, dall’uso sconsiderato delle risorse naturali da parte dell’uomo. E, nei mesi della pandemia, è stata l’immagine che ha incarnato lo “spirito del tempo”.

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Tomás Saraceno, Collage per Aria, 2019.
Courtesy l’artista. © Studio Tomás Saraceno, 2019
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Tomás Saraceno, Collage per Aria, 2020.
Courtesy l’artista. © Studio Tomás Saraceno, 2020

Nel primo collage per Aria in alto a destra compare una delle “macchine del volo” di Leonardo, la Vite aerea (Manoscritto B, 1489, Parigi, Institut de France), sollevata da una vela a elica che si avvita nell’aria. Sono numerose le invenzioni leonardesche legate alla volontà di permettere all’uomo di elevarsi da terra: forse il tentativo più famoso è quello in cui coinvolse l’amico e collaboratore Zoroastro da Peretola, avvenuto sul Monte Ceceri, una collina alle porte di Firenze, presso Fiesole.

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Parigi, Institut de France, Leonardo da Vinci, Manoscritto B di Francia, Ms B, f. 83v.
Foto Luc Viatour

Un esperimento non riuscito, di cui resta traccia nel Codice sul volo degli uccelli (1505 circa, Torino, Biblioteca Reale), che include schizzi e descrizioni di apparecchi e di principi aerodinamici relativi al volo meccanico, anticipando di circa quattro secoli l’invenzione dell’aeroplano. Scrive Leonardo, e le sue parole sono riportate su una stele in pietra posta sulla sommità del colle: “Piglierà il primo volo il grande uccello sopra del dosso del suo magno Cecero, empiendo l’universo di stupore, empiendo di sua fama tutte le scritture e gloria eterna al nido dove nacque”.

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Stele a Monte Ceceri che ricorda l’esperimento di Leonardo e riporta le sue parole.

Altre sperimentazioni, coronate però da successo, si sono susseguite a Firenze, come quella del 1784, quando da un prato nei pressi di ponte alla Carraia Francesco Henrion ripeté, con un “globo aerostatico” pieno di aria riscaldata, quanto riuscito l’anno precedente vicino a Lione a Joseph ed Étienne Montgolfier con una macchina volante che si era sollevata da terra. Il tentativo fiorentino riuscì perfettamente, analogamente a quello compiuto poco dopo da un pallone realizzato da due gesuiti che giunse fino a Santa Sofia, in Romagna. Il primo uomo a volare su Firenze fu, nel 1795, Giovanni Battista Luder che sostituì il pilota designato – impaurito dall’impresa – ed ebbe l’ardire di salire sulla navicella in Piazza del Carmine. Ne scese tranquillamente alla Pieve di Remole, e per il suo gesto di coraggio fu premiato dal granduca con 24 zecchini d’oro e la promozione da semplice “trombaio”, l’idraulico a Firenze, a “fontaniere regio”.

L’articolo il Volo di una mongolfiera, apparso sulla “Gazzetta di Firenze” del 7 agosto 1826, dimostra come ancora dopo decenni un’ascensione venisse trasformata in spettacolo, con piazza Santa Maria Novella convertita in anfiteatro per accogliere gli astanti, tra cui il granduca e la sua famiglia. Francesco Orlandi, l’intrepido “aerobata”, dopo aver porto un sonetto e dei fiori al monarca, si sollevò sulla sua “macchina aerobatica”, un pallone a idrogeno e aria calda costituito da strisce di seta “a forma di fusi”, e dopo un’ora atterrò a circa 7 miglia dalla capitale.

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Dettaglio della copertina del volume Firenze. Cinquanta fotografie dell’Ottocento tratte dagli Archivi Alinari, Firenze, 1981

Da fine Ottocento non mancano neppure testimonianze fotografiche, come quella della mongolfiera guidata dal “signor Jules” o “Juhles”, che si innalzò su Firenze il 19 maggio 1884 alla presenza di un folto pubblico arrampicato persino sui tetti. Un’immagine tanto iconica da essere stata scelta per la copertina di una mostra sugli Archivi Alinari.

E, recentemente, una donna, Leticia Marqués, pilota di mongolfiere, ha portato a Firenze, durante l’Aria Talk tenutosi al Cinema Odeon il 22 febbraio 2020, la testimonianza del suo ardito e coraggioso volo avvenuto il 28 gennaio 2020, nelle Salinas Grandes in Argentina nell’ambito del progetto di Tomás Saraceno Fly with AerocenePacha in cui – sollevata da un’enorme scultura aerosolare – ha stabilito sei record mondiali per altezza, distanza e durata di volo effettuato grazie solo al calore del sole e all’aria, senza l’uso di combustibili fossili, pannelli solari, elio o batterie al litio. Grande coraggio, quello dimostrato facendosi sollevare fino a un’altezza di 270 metri, per un’ora e 21 minuti, coprendo una distanza di 2,55 chilometri. Forse, in un utopico futuro, l’impresa di Saraceno e Leticia sarà vista come noi oggi rileggiamo le memorie dei primi pioneristici, e visionari, voli dei secoli scorsi.

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Fly with Aerocene Pacha. A project by Tomás Saraceno for Aerocene. 21-28 January 2020, Salinas Grandes, Jujuy, Argentina. Human Solar Free Flight as part of Connect, BTS, curated by DaeHyung Lee. Courtesy the artist and Aerocene Foundation. Photography by Studio Tomás Saraceno, 2020. Licensed under CC BY-SA 4.0 by Aerocene Foundation
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Aria Talk, Cinema Odeon, Firenze, 22 febbraio 2020. © Photography by Ela Bialkowska, OKNOstudio

In copertina: Tomás Saraceno, Around the world collage for Aria, 2020 Courtesy l’artista

Dall’arte alla scienza: i ragni nel mondo biologico

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Ricercatrice della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, Malayka Picchi è stata coinvolta nella preparazione della mostra Tomás Saraceno. Aria come consulente per comprendere al meglio i ragni e le loro caratteristiche.

Sono rimasta affascinata, lo devo ammettere.
Io, abituata a osservare i ragni all’aperto o allo stereoscopio, ho avuto un immenso piacere nel vedere come queste piccole creature siano state delle muse ispiratrici per un grande artista come Saraceno. La seta finemente intrecciata, tesa e vibrante dei ragni come opera d’arte.
Da entomologa non avevo mai visto la ragnatela con gli occhi di un artista, o meglio – la natura tutta è arte, soprattutto il microcosmo – non avevo mai pensato a come un artista vede la ragnatela e come, volutamente e visionariamente, la spinge a essere qualcosa di più. Tanto reale quanto astratta. Saraceno è riuscito ad andare oltre la mera biologia funzionale della ragnatela. Ha creato qualcosa di unico: ha unito in modo profondo l’aracnologia con l’arte. Con l’arte, il linguaggio scientifico si colora, si abbellisce e raggiunge i cuori anche di coloro che sono terrorizzati dai ragni, svelando il loro reale fascino. Infatti, questi animali generano delle profonde scosse emotive nelle persone. Ignorati dai più, fonte di terrore per molti altri, ma esiste una minoranza che li osserva con occhi curiosi, in cerca di forme e comportamenti che lasciano incantati.
Quello dei ragni è un gruppo antico e vasto. Sono degli artropodi (e non insetti) che appartengono al grande mondo degli aracnidi, lo stesso mondo di cui fanno parte le zecche, gli scorpioni e altre svariate e bizzarre forme, meno conosciute perché difficili – se non impossibili – da incontrare in Italia. Nel mondo esistono più di 48mila specie e ogni giorno se ne scoprono di nuove; l’Italia si difende bene con le sue 1677 specie finora conosciute. Sono animali predatori (a eccezione della sola specie Bagheera kiplingi che integra la propria dieta con pinnule di acacia), in cima alla catena alimentare, che regolano la quantità di insetti. In poche parole, se non ci fossero i ragni saremo completamente invasi dagli insetti: un recente studio ha evidenziato che, nel mondo, annualmente, i ragni mangiano tra i 400 e gli 800 milioni di tonnellate di insetti. Tra questi anche quelli che potrebbero far fuori le nostre scorte di cibo. Sono degli utili alleati in agricoltura, sebbene l’utilizzo di sostanze di sintesi li riduca drasticamente come numero e come specie.

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Tomás Saraceno, TREMOR, 2019-in corso, Courtesy l’artista, © Studio Tomás Saraceno
In basso, nella carta, le differenti fasi della costruzione di una ragnatela.

La caratteristica fondamentale dei ragni, che viene ripresa e reinterpretata da Saraceno, riguarda la capacità di generare e usano in modi differenti la seta: una proteina che concilia resistenza ed elasticità, che i ragni utilizzano per catturare le prede, costruire dei ripari o per proteggere la prole. In base alla funzione, possono regolare le qualità della seta secreta per la ragnatela. La spirale di cattura deve trattenere le prede, ma senza rompersi. Quindi dovrà essere capace di dissipare l’energia dell’urto, mentre la cornice e i fili di ancoraggio devono essere forti e resistenti tali da sorreggerne la struttura. La seta viene poi talvolta lavorata e increspata o arricchita di gocce di colla che aumentano la possibilità che la preda rimanga nella ragnatela.
La biodiversità nel mondo dei ragni riguarda anche la ragnatela, non solo per la qualità della seta, ma anche per le forme che questi modellano pazientemente. Ci sono quelli precisi e ordinati come gli Araneidae, che tessono ragnatele regolari e verticali, con il ragno che sovente si trova al centro ad attendere una vibrazione, uno stimolo che indichi la presenza di una preda incappata casualmente nella trappola. Oppure ci sono quelli più estrosi come i Theridiidae, che costruiscono ragnatele irregolari e su più direzioni. Poi, ci sono gli estremisti, come i ragni del genere Mastophora che utilizzano un solo filo di seta con una piccola goccia di colla per catturare al lazo le falene; o ancora i rappresentanti del genere Deinopis che, mentre con le zampe posteriori restano appesi a qualche sostegno, con la seta costruiscono tante cornicette quadrate, una dentro l’altra, che trattengono con le zampe anteriori e scagliano sulla preda quando questa incappa nella rete di fili di avvertimento, diligentemente costruita in prossimità del suolo.
Una biodiversità che permette ai ragni di colonizzare molti ambienti diversi con successo. Un esempio straordinario di adattamento riguarda il ragno palombaro, Argyroneta acquatica, che, come suggerisce il nome, si è adattato a vivere in acqua dolce. Riesce a passare la maggior parte della vita sott’acqua grazie alla capacità di trattenere un piccolo strato di aria sul proprio corpo e a ricaricarlo all’occorrenza.

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Tomás Saraceno, Outer Space seems not so Unfamiliar, 2014, Courtesy l’artista

Invece, parlando di guinness dei primati, provate a immagine la più grande ragnatela esistente. Quando può essere grande? Caerostris darwinii, una specie del Madagascar, costruisce una ragnatela che ha un filo di ancoraggio di venticinque metri, con una spirale di cattura ampia ben tre metri quadrati. Questo “lenzuolo” di ragnatela le serve per intercettare gli insetti che sfarfallano dai grandi fiumi, costruendo sopra l’alveo la propria trappola.
Il mondo degli aracnidi è fatto così; sembrano esseri di poco conto, ma in realtà hanno mille peculiari sfumature piene di fascino.
Vi invito a scoprirlo questo mondo, così da vivere la mostra di Saraceno come farebbe un vero aracnofilo.

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Tomás Saraceno, Webs of At-tent(s)ion, 2020. Installation view of Aria, Palazzo Strozzi, Florence, 2020. © Photography by Ela Bialkowska, OKNOstudio

In copertina: Tomás Saraceno, Particular Matter(s), 2020. Installation view of Aria, Palazzo Strozzi, Florence, 2020. © Photography by Studio Tomás Saraceno

Buio pesto e caduta massi

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Professore Ordinario di Cosmologia alla Scuola Normale Superiore di Pisa e Joint Professor dell’Institute for the Physics and Mathematics of the Universe di Tokyo, Andrea Ferrara è stato coinvolto nella preparazione mostra Tomás Saraceno. Aria come consulente per approfondire e ampliare i riferimenti astrofici presenti nelle opere dell’artista.

Buio pesto, era. Inizia così il racconto del vecchio Qfwfq, un essere senza tempo nato con l’Universo, a cui Calvino fa raccontare la sua esperienza dell’origine e evoluzione del mondo nelle Cosmicomiche. In Sul far del giorno, Qfwfq ci narra la formazione del sistema solare. Prima c’era una nebula buia, fredda e rotante in cui si galleggiava tra particelle di gas e polvere (che davano un prurito fastidioso – aggiunge Qfwfq). Ma ad un certo punto la materia nella nebula comincia a condensarsi: si tocca!, urla il padre di Qfwfq. Un concetto del tutto nuovo, che marca la formazione dei primi detriti solidi. L’agglomerazione dei detriti per gravità procede in maniera rapida fino a formare entità rocciose più grandi. Infine, all’orizzonte appare una specie di ebollizione che altro non è che una sorgente di luce da un corpo incandescente, il Sole. La luce illumina la superficie terrestre gibbosa ed incrostata di ghiaccio sporco che evapora rabbiosamente in immensi geyser. Tutto il resto continuava a ruotare aggrumato in vari pezzi. Era nato il sistema solare.

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Il cielo notturno con lo sciame meteoritico delle Perseidi. © ESA

La Natura ci permette ogni anno di avere un assaggio dell’esperienza che Qfwfq deve aver vissuto in quei tempi antichi, circa 4,5 miliardi di anni fa, quando si formò il sistema solare. Intorno al 10 agosto cade quella che comunemente è nota come la notte delle “stelle cadenti”, in cui nel cielo notturno possiamo intravedere le magnifiche scie di oggetti celesti che penetrano l’atmosfera terrestre. Questi oggetti sono degli sciami di detriti lasciati dalla formazione del sistema solare. La Terra incontra diversi sciami lungo la sua orbita nel corso dell’anno. Quello di agosto, detto sciame delle Perseidi, è senz’altro uno dei più famosi. Un altro sciame molto famoso è quello delle Leonidi, che si può osservare nelle notti di novembre. Questi sub-detriti, detti meteoriti, si sono staccati da altri corpi che popolano il sistema solare: le comete. Le Perseidi sono associate alla cometa Swift-Tuttle, passata nelle nostre vicinanze nel 1992; le Leonidi sono invece detriti della cometa Tempel-Tuttle. A questo punto dobbiamo però fare un po’ di ordine e capire l’intera storia della formazione di una stella, del suo sistema planetario e dei corpi minori che le girano intorno.

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Immagine artistica della formazione del sistema solare in cui, oltre al Sole ed al disco protostellare, sono visibili i pianeti ed i corpi minori. © NASA

Le stelle si formano dal mezzo interstellare, un gas che in media ha una densità molto bassa (circa 1 atomo di idrogeno per cm3, quasi un vuoto perfetto rispetto all’aria che respiriamo!). Così come nell’atmosfera, a causa di vari processi fisici tuttavia si possono condensare delle nubi 100-1000 volte più dense. Queste immense nubi, di dimensioni pari a decine di anni luce, contengono 1 milione di volte la massa del Sole; pertanto la forza di gravità le costringe a collassare su sé stesse. Durante il collasso il gas cade rapidamente verso il centro ed aumenta la sua densità in maniera costante, arrivando a valori miliardi di volte più alti di quello iniziale.

È anche molto probabile che fin dall’inizio la nube ruoti su sé stessa. In questo caso il gas in collasso non cade direttamente verso il centro, ma forma un disco intorno alla condensazione centrale che rappresenta la protostella, la cui crescita è alimentata dal disco stesso. L’aumento di densità fa aumentare la temperatura della protostella fino a oltre un milione di gradi. A questo punto s’innescano le reazioni nucleari, principalmente la fusione di idrogeno in elio. L’energia sviluppata da questa reazione è esattamente quella necessaria a controbilanciare quella gravitazionale ed il collasso si arresta. La stella si è formata! Nel frattempo, il disco si è frammentato in una serie di sotto-strutture più piccole, che rappresentano i semi del sistema planetario della stella stessa. Il Sole contiene il 99,85% di tutta la materia nel sistema solare; i pianeti solo lo 0,135% della massa del sistema solare. Giove contiene più del doppio della massa di tutti gli altri pianeti messi insieme.

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La cometa Neowise osservata dal Libano nel luglio 2020. © Maroun Habib (Moophz)

Tutto il materiale che non entra a far parte della stella o dei pianeti, rimane in orbita intorno alla stella stessa. Questi oggetti solidi, fatti di ghiaccio e roccia, sono i corpi minori del sistema solare. Tra i corpi minori, le comete sono senza dubbio gli oggetti più appariscenti. A luglio 2020 abbiamo appena assistito al passaggio di una di queste comete, Neowise. Le comete sono composte da un nucleo roccioso circondato da strati di ghiaccio misto a polvere. Avvicinandosi al Sole nel corso della loro orbita, il calore della radiazione fa vaporizzare il ghiaccio, liberando così i grani di polvere. Parte di questo materiale crea una specie di nube intorno alla cometa, la “chioma”, mentre la polvere viene spinta in una scia (la “coda”) che si può estendere per milioni di km. Ad ogni passaggio lo strato di ghiaccio diminuisce (di metri) e la cometa diventa meno luminosa fino a scomparire quando non ne rimane che il nucleo.

Ci sono due “magazzini” di comete nel sistema solare: la nube di Oort, una struttura sferica 50000 volte più distante della Terra dal Sole, e l’anello di Kuiper, posto oltre l’orbita di Nettuno. Quest’ultima struttura è stata scoperta solo meno di vent’anni fa ma ha attratto l’attenzione dei planetologi perché le comete al suo interno sembrano essere i corpi più antichi del sistema solare. A partire dalla sonda Giotto, che visitò Halley negli anni ’80 fino a Rosetta/Philae che è recentemente atterrata sulla cometa 67P/Churyumov–Gerasimenko, diverse missioni ci hanno fornito immagini ed analisi del materiale cometario. Grazie a questi dati verificheremo la fondatezza dell’ipotesi che l’acqua (e forse anche componenti della vita) sulla Terra sia stata portata dalle comete.

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La superficie dell’asteroide Vesta ripresa dalla sonda Dawn della NASA. © NASA/JPL-Caltech/UCLA/MPS/DLR/IDA

Gli asteroidi sono invece corpi puramente rocciosi di considerevole diametro (centinaia di km) e di varia composizione. Ceres, l’asteroide più grande, scoperto nel 1801, è costituito di materiale carbonaceo; Vesta è basaltico; altri ancora sono metallici. Molti asteroidi si muovono su orbite comprese tra Marte e Giove ma alcuni si trovano nella zona dei pianeti interni e dunque possono costituire un serio pericolo per gli esseri viventi in caso di collisione con la Terra, come probabilmente è avvenuto con la scomparsa dei dinosauri.

I meteoriti, infine, sono piccoli “sassi” o particelle di polvere lasciate dalle scie delle comete che entrando nell’atmosfera si riscaldano per attrito, si illuminano in maniera fantasmagorica come “stelle cadenti”, e vaporizzano. Alcuni di essi sopravvivono a questo processo e raggiungono la superfice terrestre. Se identificati, grazie ad una attenta analisi chimica, ci aiutano a rispondere ai quesiti ancora aperti sulla nascita del sistema solare e degli altri sistemi planetari intorno alle stelle. Osservare le “stelle cadenti”, quindi, non solo rappresenta un’esperienza affascinante, ma anche un importante esperimento scientifico.

In copertina: Tomás Saraceno, Particular Matter(s) (dettaglio), 2020. Installation view of Aria, Palazzo Strozzi, Florence, 2020. © Photography by Ela Bialkowska, OKNOstudio

Tre scienziati, una pilota e un artista

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Assistere a un dialogo tra un artista, due curatori, tre scienziati, una politologa, un giornalista e una pilota di mongolfiere può sembrare un evento assai raro e quasi inverosimile. Tuttavia, per celebrare l’apertura della sua mostra a Palazzo Strozzi, Tomás Saraceno è riuscito a far dialogare tra loro queste persone, unendo la propria arte alle più varie forme di sapere. Le sue opere sono per definizione poliedriche e polisemiche. Riferimenti al mondo dell’astronomia, della biologia e delle scienze sociali si uniscono a creare un punto di incontro tra scienze e arti: un intreccio profondo, capace di affascinare anche gli esperti più diversi, che trovano così un’occasione unica per dialogare.

L’Aria Talk, tenutosi al Cinema Odeon di Firenze il 22 febbraio scorso, è stato il grande evento di apertura della mostra Tomás Saraceno. Aria, che ha visto la partecipazione di Tomás Saraceno, Arturo Galansino (direttore generale, Fondazione Palazzo Strozzi), Melisa Argento (politologa e ricercatore), Stavros Katsanevas (direttore, Osservatorio europeo gravitazionale), Stefano Mancuso (direttore, LINV, Laboratorio internazionale di neurobiologia vegetale), Lisa Signorile (biologa e giornalista scientifica) e Marco Filoni (giornalista e ricercatore).

Più che una semplice conversazione aperta al pubblico è stata innanzitutto una vera e propria festa per celebrare i record stabiliti con il progetto Fly with Aerocene Pacha. Il 28 gennaio 2020 infatti, nelle Salinas Grandes di Jujuy, in Argentina, Saraceno e la comunità di Aerocene hanno fatto volare un’enorme scultura simile a una mongolfiera. Per la prima volta nella storia un essere umano ha volato nel cielo con il solo calore del sole e dell’aria che tutti respiriamo, senza l’uso di combustibili fossili, pannelli solari, batterie al litio o elio. La pilota Leticia Marqués è così riuscita a stabilire sei record mondiali nelle categorie generale e femminile per altezza, distanza e durata di volo completamente libero, certificato dalla Fédération Aéronautique Internationale (FAI). La grande avventura, parte del progetto CONNECT, BTS a cura di Daehyung Lee, è stata documentata da punti di vista molteplici, secondo la sensibilità di diversi registi, dando vita al documentario Fly with Aerocene Pacha (2020, 28’).

Il progetto Fly with Aerocene Pacha è, come la stessa arte di Saraceno, fortemente interdisciplinare. L’arte è il collante tra diverse scienze e metodologie che riescono a cooperare per un fine ultimo: immaginare un mondo migliore guidato da una nuova sensibilità nei confronti della natura, delle comunità e degli altri esseri viventi. Per questo motivo l’artista ha chiamato a sé un gruppo di scienziati e ricercatori per poter leggere, con gli occhi dell’arte, il mondo che ci circonda.

Il pensiero di Tomás Saraceno, come quello della politologa Melisa Argento, non poteva non andare alle comunità Kollas e Atacamas che vivono attorno alle saline di Jujuy, dove si è svolto il progetto Aerocene Pacha. Qui, infatti, l’estrazione massiva del litio sta distruggendo il territorio, compromettendo l’integrità di questo luogo. Secondo la testimonianza di Saraceno:

«Le popolazioni che vivono in questo posto hanno un altro modo di relazionarsi con la terra, hanno un’altra ritualità e hanno un’altra memoria. Quindi, quando parliamo degli umani bisogna stare molto attenti, perché ci sono comunità nel mondo che hanno modi diversi di relazionarsi con il territorio. Il lago salato è un luogo sacro per loro, è un luogo diverso e hanno una memoria sul posto che continuano ad ereditare da molto più di 500 anni, quando si crede che l’America sia stata scoperta da qualcuno – quindi con un discorso postcoloniale che deve entrare in quanto stiamo facendo. E dobbiamo tentare di mettere in relazione questa memoria con l’intelligenza e la memoria delle piante, con l’intelligenza e la memoria dei ragni, con l’intelligenza e la memoria del pianeta Terra in relazione al Cosmo. Quindi possiamo parlare dell’intelligenza, come diceva James Lovelock, di Gaia, di un organismo che anche si può organizzare e reagisce».

Le comunità umane non sono le uniche in pericolo. Gli aracnidi e gli insetti sono i primi a vivere la cosiddetta “sesta estinzione di massa”. La biologa Lisa Signorile ha preso più volte le difese dei ragni. Sono infatti esseri antichissimi, sopravvissuti a numerose avversità evolutive, come le precedenti cinque estinzioni di massa.

«Quelli che nel Devoniano, stiamo parlando di 380 milioni anni, sono saliti sulla terra non erano ancora effettivamente i nostri ragni, ma ci somigliavano tantissimo: riuscivano già a fare la tela tra le altre cose. Quindi stiamo parlando di animali che hanno vissuto 380 milioni anni sulla terraferma passando indenni attraverso cinque estinzioni di massa, come se niente fosse. I ragni moderni hanno qualcosa come 200/250 milioni di anni in realtà. La ragnatela più antica di cui abbiamo traccia in Ambra del Sussex dell’Inghilterra ha 110 milioni anni. Noi ciabattiamo questi animali senza nessun ritegno. Noi abbiamo qualche centinaio di migliaia di anni, loro hanno 200 milioni anni, quindi alla fine sul piatto della bilancia dovremmo un attimo pensare a chi siamo noi e chi sono loro».

Il neurobiologo Stefano Mancuso (direttore del LINV, Laboratorio internazionale di neurobiologia vegetale) ha sottolineato come noi esseri umani siamo, in fin dei conti, una specie come tante altre e siamo soggetti anche noi alle leggi della natura. Eppure, il nostro grande vantaggio evolutivo, il cervello, potrebbe rivelarsi uno svantaggio considerando i problemi ambientali che stiamo provocando con le nostre stesse mani.

«Quanto vivono le altre specie in media? In media una specie vive cinque milioni anni. A me basterebbe che l’umanità arrivasse alla media, la media è qualcosa che tutti si aspettano, e noi ne abbiamo 300 mila di anni; il che vuol dire che noi dovremo sopravvivere altri 4.700.000 anni per essere nella media, non meglio, nella media delle specie di questo pianeta. Quanti su questo pianeta davvero ritengono non che potremmo sopravvivere altri 4.700.000 anni, ma quanti ritengono che potremmo sopravvivere altri 10.000 anni? Vi ricordo che negli ultimi 10.000 anni tutto quello che noi consideriamo civiltà, dall’invenzione dell’agricoltura a oggi, è avvenuta negli ultimi, vogliamo essere larghi, 12.000 anni. Questo è il tempo in cui noi abbiamo fatto tutto quello che abbiamo fatto. Come potremmo mai pensare di sopravvivere per arrivare alla media delle specie? Eppure ci toccherebbe, ed è questo quello che dovremmo almeno raggiungere, altrimenti vorrebbe dire che il nostro grande cervello, che è la cosa che ci differenza degli altri esseri viventi, è uno svantaggio in termini evolutivi, non è un vantaggio come abbiamo sempre pensato ma è letteralmente uno svantaggio».

L’astrofisico Stavros Katsanevas (direttore, Osservatorio europeo gravitazionale) lavora ogni giorno con dimensioni ancora più grandi: quelle dell’Universo. La difficoltà nello spiegare elementi infinitamente più grandi di noi è evidente, ma in questo l’arte può aiutarci.

«Mi sono ricordato ancora una volta le cose che Heinz Wismann, filosofo, diceva. Ci sono modi simbolici: il mito, la scienza e l’arte, che è tra queste due. Perché l’arte fa capire la realtà (non il mitico) con un modo affettivo; fa capire dentro di te quello che succede. Il vero artista è chi fa capire il problema scientifico della realtà e lo fa sentire “dentro”. E questo è fantastico».

La registrazione integrale dell‘Aria Talk è disponibile su YouTube.

Guarda il video

In copertina: Aria Talk, Cinema Odeon, Firenze, 22 febbraio 2020. © Photography by Ela Bialkowska, OKNOstudio

Fai volare le tue idee

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di Martino Margheri

Chi lavora nei musei e nelle istituzioni culturali conosce bene i lunghi tempi di programmazione e progettazione delle attività espositive. Che si tratti di un’esposizione di Old Masters, oppure della monografica di un grande artista contemporaneo, le riunioni preliminari avvengono anche quattro anni prima della data d’inizio. Per la mostra Tomás Saraceno. Aria le prime discussioni con l’artista e il suo studio sono iniziate nel 2017 e il sopralluogo di Saraceno a Palazzo Strozzi risale all’autunno del 2018.
Definiti i caratteri generali di un progetto, partono le discussioni che coinvolgono tutti i dipartimenti della nostra istituzione culturale. Lo scopo è usare al meglio la mostra in tutte le sue potenzialità, sviluppando attività e strategie che riguardano ogni aspetto del lavoro, dalla comunicazione alla promozione, fino ai progetti educativi.

Lavorare con Tomás Saraceno è stata una grande opportunità poiché nel suo studio sono presenti professionalità diverse: architetti, video maker, designer, allestitori che in maniera corale si interfacciano con l’artista e contribuiscono a dare forma alla sua visione. Nella varietà dei progetti realizzati da Saraceno e dall’Aerocene Foundation, fondato nel 2015, abbiamo individuato delle esperienze che ci avrebbero permesso di sperimentare formati educativi interessanti da indirizzare a studenti di comunicazione e progettazione proprio in occasione della mostra a Palazzo Strozzi.

Si è innescato così un dialogo con IED Firenze (Istituto Europeo di Design) che si è velocemente trasformato in un’importante partnership istituzionale e nel progetto dedicato al Museo Aero Solar con un gruppo selezionato di docenti e studenti. Il Museo Aero Solar è una grande scultura volante assemblata esclusivamente con sacchetti di plastica riutilizzati. Il progetto è nato nel 2007 da un’idea di Saraceno in conversazione con Alberto Pesavento, e da allora è stato realizzato in formati diversi in oltre ventuno Paesi. Il Museo Aero Solar incarna la visione di un futuro senza inquinamento attraverso la crescita di comunità create spontaneamente e geograficamente distanti che vi prendono parte.

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Museo Aero Solar, fotografie Studio Tomás Saraceno, courtesy Aerocene Foundation

Con questi presupposti ci siamo dati come obiettivo il coinvolgimento dei visitatori di Palazzo Strozzi nella realizzazione di un grande progetto partecipativo per Firenze, che sarebbe iniziato con la raccolta di sacchetti di plastica e sarebbe poi terminato con un’esperienza di volo nel Parco delle Cascine. Ma come fare? Che strumenti mettere in campo? Quali accorgimenti tecnici per costruire una scultura volante?

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Illustrazione tratta da Aerocene Journal

Inizialmente è stato importante analizzare l’identità e le caratteristiche del Museo Aero Solar nell’esperienza artistica di Tomás Saraceno. Una lecture introduttiva con gli studenti di IED ci ha permesso di affrontare l’aspetto concettuale e le necessità tecniche. La discussione ci ha portato velocemente al quesito più importante: come realizzare un Museo Aero Solar in città? Come comunicarlo? Come coinvolgere le persone nelle diverse fasi?
È partita una ricerca che ha portato allo sviluppo di una grafica unitaria declinata in cartoline, flyer e poster da distribuire nelle biblioteche, nelle scuole, nelle università e nelle accademie. La comunicazione doveva veicolare tre aspetti fondamentali: far conoscere il progetto, incentivare la raccolta di sacchetti di plastica e invitare al grande workshop finale di assemblaggio e volo.

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Incontro con gli studenti IED Firenze per progettare il raccoglitore e sviluppare la comunicazione

Utilizzando la stessa immagine coordinata abbiamo lavorato al progetto di un grande raccoglitore che i visitatori della mostra avrebbero usato per lasciare i loro sacchetti di plastica usati. Mentre gli studenti lavoravano alla produzione di tutti questi materiali abbiamo sempre mantenuto un filo diretto con lo studio di Tomás Saraceno per rispettare le linee guida della loro comunicazione. Il workshop al Parco delle Cascine sarebbe stato il tassello finale e per arrivare preparati avevamo organizzato un test per assemblare i sacchetti secondo le indicazioni ricevute. Avevamo messo in piedi una fitta rete di attività concatenate tra loro, coordinate dal Dipartimento Educazione in stretta collaborazione con un attento gruppo di docenti e studenti IED.

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Raccoglitore dei sacchetti per il Museo Aero Solar collocato in un ambiente di Palazzo Strozzi

Era appena partita la mostra, i primi sacchetti erano apparsi nel raccoglitore, quando Palazzo Strozzi ha chiuso insieme a tutti gli altri luoghi espositivi non solo italiani.
Addio al Museo Aero Solar? Sì, ma solo nel suo formato fisico.
Sono ripartiti gli incontri di progettazione condivisa e abbiamo elaborato una nuova strategia: abbiamo pensato che sarebbe stato interessante trasformare quel senso di appartenenza in un progetto online, adatto ai tempi di distanziamento sociale. Così come i visitatori di Palazzo Strozzi avrebbero contribuito con i loro sacchetti di plastica a formare una comunità, oggi ognuno può prendere parte al progetto con una riflessione o un’immagine attraverso questa pagina.
Tutto parte da qui: quali idee abbiamo per il futuro? Raccogliamo pensieri, discutiamone e facciamoli volare metaforicamente; dall’alto si ha un’altra prospettiva che permette di trovare nuove soluzioni al nostro modo di vivere.

Il progetto è stato possibile grazie alla collaborazione con IED Firenze, l’infaticabile lavoro di Alessandra Foschi coordinatrice del corso Comunicazione pubblicitaria, Cecilia Chiarantini coordinatrice del corso Interior Design, i consigli e l’esperienza dei docenti Marco Innocenti, Luca Parenti e Francesco Toselli e una grande squadra di lavoro formata dagli studenti Edoardo Bartoli, Fiamma Batini, Damiano Boragine, Sara Cabrini, Livia Ceccarelli, Lorenzo D’ Elia, Camilla Giachi, Serena Grazia, Eva Lazzeri, Davide Lichen Lu, Mariasole Monaci, Pietro Niccolini, Liliana Parlato, Alessio Pezzi, Davide Pisoni, Lisa Purini, Martina Oliva, Zössmayr Sebastian, Irene Spalletti, Taeko Shinjo, Eulalia Talamo, Luca Varricchio, Carlotta Zandon.

Vedi anche

Cosa succederebbe se tu fossi felice?

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Psicoterapeuta di orientamento gestaltico, Gianmarco Meucci è coinvolto nella mostra Tomás Saraceno. Aria per le letture delle Carte da Aracnomanzia, 33 carte create da Tomás Saraceno per entrare in contatto con se stessi tramite gli oracoli tessuti dai ragni. Ogni mercoledì dalle 18.00 alle 20.00 il dott. Meucci incontra online singole persone per una lettura delle Carte che diviene un appuntamento per scoprire noi stessi.

«La natura sembra preferire i rapporti agli individui, nulla si crea da sé.
Chiedetevi quante moltitudini racchiudete in voi».

Tomás Saraceno

Attraverso un’interpretazione intuitiva delle carte di Tomás Saraceno trasmutiamo la trappola della meccanicità del nostro comportamento abituale in una risorsa, intessendo, come fa il ragno con la ragnatela, nuove connessioni con la nostra natura più autentica e con il mondo che ci circonda. I ragni sono animali che comunicano con il mondo attraverso le trame delle loro ragnatele, ricordandoci come tutto è comunicazione, compreso il silenzio. Il ragno crea unendo gli elementi che lo circondano, mostrandoci come tutto è interdipendente.

In questo periodo di crisi ecologica, in cui la tecnologia finalmente sta rivelando prepotentemente a tutti l’inevitabilità delle interconnessioni, diventa vitale riconoscere la responsabilità delle proprie azioni per il futuro del nostro pianeta. La risonanza creata dalle immagini delle carte produce la poesia, ci mostra l’essenza, la sintesi di quel problema, di quel blocco, di quel dubbio, di quella domanda, di quella questione aperta che continua ad affiorare dal nostro passato e influisce sul nostro presente. La magia è nel movimento dallo spazio interno del pensare/sentire alla sua espressione esterna, dal non detto all’esplicito, offrendoci la possibilità di agire per cambiare il nostro punto di vista. Di magico c’è la connessione che si stabilisce tra chi fa la domanda e chi dà la risposta, tra chi dà e chi riceve, ed è questa la relazione che cura e genera il cambiamento.

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Tomás Saraceno, Webs of At-tent(s)ion, 2020. Installation view of Aria, Palazzo Strozzi, Florence, 2020.
© Photography by Ela Bialkowska, OKNOstudio

Lo scopo delle letture è fornire spunti creativi alla propria esistenza, prendendo ispirazione dalle ragnatele dei ragni, splendidamente orchestrate nella mostra di Tomás Saraceno. Alla lettura segue un compito, un’azione da compiere nelle tre settimane successive per sciogliere il problema. Qui entra in gioco la psicoterapia della Gestalt, che porta alla luce un rapporto fondamentale in tutte le cose: il rapporto tra la figura e lo sfondo. Quando guardiamo un quadro è impossibile estrapolare quell’opera dal contesto in cui la guardiamo e, proprio per questo motivo, dove poniamo l’attenzione è l’aspetto più importante. Ciò cambia il senso di quello che guardiamo e così il suo significato.

Più che scoprire qualcosa di nuovo, in genere, gli esseri umani inventano l’altro con le proprie allucinazioni proiettate o anticipazioni catastrofiche: una realtà esistenziale, una realtà cioè assolutamente soggettiva. Usando le carte di Tomás Saraceno come mediatori interculturali, cioè come immagini cariche di significati, la persona che richiede un colloquio può liberamente fantasticare sull’oggettività della figura, e sui particolari del disegno che la colpiscono. Come terapeuta, pongo l’accento sui particolari perché è importante tenere la persona ancorata ai dettagli della carta per entrare nella dinamica funzionale di figura-sfondo e per comprendere compiutamente quale sia la storia del suo mondo.

Risulta evidente che, in qualsiasi tipo di relazione in cui ci apriamo all’altro, quando qualcuno parla dei suoi problemi, per esempio, sta raccontando la sua visione delle cose, la sua storia così come la vede lui e non l’oggettività della stessa. La definizione del suo Sé è una storia, la storia del modo di intendere se stesso. Egli manifesta la sua autopoiesi ovvero il modo di costruire se stesso nell’interazione con l’altro. Questa costruzione relazionale, mediata dall’Aracnomanzia di Saraceno, ci porta prima a interagire con l’effetto emozionale che produce la carta sulla persona e poi sul collegamento tra la proiezione e la realtà.

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Tomás Saraceno, Arachnomancy Cards, 2020. Installation view of Aria, Palazzo Strozzi, Florence, 2020.
© Photography by Ela Bialkowska, OKNOstudio

La relazione che si instaura è di natura intersoggettiva e si costruisce all’interno di un rapporto dialogico, esprimendosi secondo una modalità che possiamo definire un circolo ermeneutico o virtuoso: “Io ti dò la mia interpretazione del mondo e tu mi dai la tua”. Entrambi siamo all’interno di una zona “sacra” in cui avviene un contatto dove si sceglie come realizzare i propri desideri. Il consultante si rappresenta come costrutto/metafora nella quale proietta il suo senso di identità attraverso la narrazione di sé all’interno di un continuo processo di cambiamento e mutazione nell’interazione con le carte e con chi le legge.

Il concetto di viabilità di Ernst von Glasersfeld definisce adeguata una metafora quando funziona, cioè quando realizza il proprio obiettivo ed è in grado di raggiungere il suo scopo. Se pertanto l’aspetto più importante di qualsiasi lavoro terapeutico è il suo risultato in termini di modifica del comportamento o quantomeno di miglioramento della qualità della vita, non importa, quindi, quale sia il metodo o approccio psicologico usato per risolvere un certo problema. Il metodo, come hanno sostenuto autori come Charles S. Peirce, è come una chiave per aprire una porta e la verità sta in ciò che funziona, appunto nella sua viabilità. Tale concetto di verità non va quindi più inteso in senso ontologico, ma piuttosto è funzionale nel suo utilizzo concreto.

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Tomás Saraceno, Arachnomancy Cards, 2020. Installation view of Aria, Palazzo Strozzi, Florence, 2020.
© Photography by Studio Tomás Saraceno

Ciò che conta nel nostro caso è che la chiave, ovvero l’abilità o metodo terapeutico, apra la porta dei problemi del consultante piuttosto che essere semplicemente una “bella chiave”, o che in altre parole appartenga a un approccio piuttosto che a un altro. La lettura delle carte di Tomás Saraceno diviene una possibile strategia, uno spunto per co-costruire un’alleanza con il consultante. Ogni sessione inizia e si conclude con la domanda più importante per ognuno di noi: cosa è in mio potere per rendere la mia vita e il mio mondo un posto migliore? Tutto è sempre nei fili delle nostre mani. Ad maiora semper.

Dall’Antropocene all’Aerocene

Aerocene Flights

di Martino Margheri e Caterina Taurelli Salimbeni

Antropocene è una parola che negli ultimi anni è stata utilizzata come titolo di mostre, film e pubblicazioni, ma la sua prima apparizione risale agli anni Ottanta in ambito scientifico, senza destare grande interesse. Nel 2000 il premio Nobel per la chimica e grande studioso dell’atmosfera Paul Crutzen iniziò a usarla nei sui interventi accademici decretandone progressivamente il successo e la diffusione.
Lo scienziato affermava che i comportamenti umani stavano modificando l’atmosfera e la superficie terreste a tal punto che l’uomo poteva essere considerato un vero e proprio agente geologico. L’analisi del fenomeno richiedeva una definizione per identificare la nuova epoca geologica, il termine Antropocene nasce da qui.
Ormai entrato a pieno titolo nei dizionari, Antropocene significa infatti età recente con impronta umana; in maniera più estensiva indica l’era caratterizzata dall’impatto devastante della specie umana sul pianeta. Le cause sono rintracciate nel costante aumento di emissioni di idrocarburi e anidride carbonica nell’atmosfera e dallo sfruttamento incontrollato delle risorse naturali.
Ci sono varie teorie sull’inizio dell’Antropocene, ma la maggioranza della comunità scientifica concorda sulla data simbolica del 16 luglio 1945, che corrisponde al primo esperimento atomico ad Alamogordo in New Messico. Da quel momento l’aria ha subito un processo di contaminazione crescente di cui oggi osserviamo l’impatto sulla vita degli esseri viventi.

“Dobbiamo cambiare il nostro comportamento e smettere di usare l’acqua e l’atmosfera del pianeta come se fossero il secchio dell’immondizia”.
intervista a Paul Crutzen (TG2, 12/10/2006)

L’Antropocene non è una fatalità, l’abbiamo plasmato con le nostre scelte e azioni. La mostra Tomás Saraceno. Aria a Palazzo Strozzi parte da questa consapevolezza, dal ripensamento del nostro modo di agire, dalla capacità di osservare i fenomeni da un altro punto di vista e dalla possibilità di uscire dall’Antropocene sviluppando nuovi modelli di pensiero.
Buckminster Fuller, architetto e filosofo americano famoso per la sperimentazione con strutture geodetiche, che ha influenzato la riflessione e il lavoro di Saraceno, diceva che non è possibile cambiare le cose combattendo la realtà esistente: per cambiarle è necessario costruire un nuovo modello che renda la realtà obsoleta.

L’arte di Tomás Saraceno ha un carattere visionario e utopico, ma al contempo pratico e pragmatico come il pensiero di Buckminster Fuller. Superare l’Antropocene e ritrovare l’armonia con la Terra non è solo uno slancio filosofico, ma è un vero e proprio progetto che si articola in molte forme. Tra gli sviluppi più complessi c’è Aerocene: una comunità artistica interdisciplinare che lavora a nuove espressioni di sensibilità ecologica, con l’obiettivo di avviare una collaborazione etica con l’atmosfera e l’ambiente, per una nuova era libera da combustibili fossili.

Come Saraceno racconta (l’intervista è disponibile qui sotto):
“nessuno sembra riuscire a immaginare che il calore fornito dal Sole potrebbe permetterci di sollevarci da terra e farci volare nell’aria. Che cosa potremmo diventare grazie a una relazione diretta con il Sole e il vento, e quale società potremmo essere in grado di sviluppare se pensiamo a diversi modelli di mobilità?”

Tomás Saraceno x Aerocene, Aerocene Archive(s), 2020. Video, 1’48” (colore, stereo, HD 1080p, 16:9)
Un film di Aerocene Community, prodotto da Studio Tomás Saraceno in collaborazione con Art/Beats, Courtesy l’artista e Aerocene Foundation

Queste domande hanno trovato una risposta pratica nelle attività di Aerocene che organizza il lancio di sculture aerosolari in grado di librarsi in aria grazie al calore del Sole e alle radiazioni infrarosse della superficie della Terra. Niente motori, niente batterie, niente combustibili, niente sfruttamento delle risorse, solo l’energia del pianeta. Negli ultimi cinque anni l’impegno della comunità si è consolidato, sono stati realizzati lanci in tutto il mondo e sono state progettate sculture aerosolari con caratteristiche diverse: ci sono quelle pilotabili come aquiloni, quelle che possono viaggiare liberamente da una città all’altra seguendo le rotte dei venti e anche una versione in grado di sollevare una persona a un’altezza superiore ai 200 metri trasportarla per quasi due chilometri.
Uomini e donne hanno sempre sognato di volare, la comunità Aerocene sta riuscendo in questa impresa ricorrendo a forme di energia che promuovono la consapevolezza ambientale e preservano l’aria che tutti respiriamo.

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Lancio Aerocene Explorer. 7 agosto, 2017, Salinas Grandes, Jujuy, Argentina
Con il supporto di CCK Buenos Aires, Courtesy Aerocene Foundation e CCK Agency, Fotografia Studio Tomás Saraceno, 2017

Per raggiungere questi obiettivi nel 2015 Tomás Saraceno ha creato la Aerocene Foundation, che lavora a stretto contatto con una comunità internazionale di scienziati e attivisti. Già nel 2012 l’artista si era affidato ai ricercatori del MIT Center for Art, Science & Technology (CAST) per trovare risposta a una delle sue domande (apparentemente) utopiche: “è possibile compiere un volo intorno al pianeta Terra usando come unica risorsa energetica il Sole?”
Da questo incontro è nato l’Aerocene Float – Predictor uno strumento che analizza le correnti del vento e traccia delle vere e proprie rotte di volo. Recentemente è stata messa a punto una nuova risorsa per la comunità Aerocene, la Float Predictor App. L’applicazione, disponibile per iOS e Android, ha più funzionalità: permette di simulare i percorsi di volo virtuali delle sculture aerosolari senza emissioni di CO2, sfruttando dati meteorologici aperti; consente di visualizzare la capillarità della comunità Aerocene in tutto il mondo; permette di vedere le diverse tipologie di sculture aerosolari, dove hanno volato negli anni e i luoghi di maggiore concentrazione.
Il messaggio è chiaro: siamo una comunità numerosa, aperta alla collaborazione e intenzionata a cambiare le forme di mobilità e la relazione con il pianeta. La tecnologia ci offre l’opportunità di confrontarci e rendere più forti i nostri progetti in pieno spirito DIT (Do it Togehter).

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Aerocene App (2020) è stata sviluppata da Aerocene Foundation in collaborazione con Studio Tomás Saraceno.
Courtesy Aerocene Foundation

“Realizziamolo insieme” è stato anche il motore della collaborazione tra Fondazione Palazzo Strozzi e Manifattura Tabacchi. Manifattura infatti ha supportato la mostra dedicata a Tomás Saraceno accogliendo nei propri spazi una selezione di video, pubblicazioni, materiali e workshop per approfondire la filosofia dell’Aerocene.
La sostenibilità, la relazione tra uomo e natura, nonché la costruzione di comunità e di forme alternative di abitazione e di interazione sono temi fondamentali a cui Manifattura Tabacchi non solo è sensibile, ma ai quali affida la costruzione di forme sperimentali e innovative, tanto nella produzione quanto nella fruizione artistica. Il legame con il lavoro di Tomás Saraceno trova conferma non solo nelle tematiche, ma anche nella condivisione del processo, costituito dal superamento delle barriere, dal coinvolgimento del pubblico e dall’integrazione di diverse discipline, interne ed esterne all’arte.

Manifattura Tabacchi è una grande fabbrica realizzata negli anni ‘30 a ovest del  centro di Firenze: dismessa dal 2001 e ora oggetto di un ambizioso progetto di rigenerazione urbana che prevede di dar vita a un nuovo quartiere per la città animato da un centro per l’arte e la cultura contemporanea complementare al centro storico, aperto al territorio e connesso col mondo. Il progetto interdisciplinare dedicato all’arte, attualmente articolato in residenze d’artista, spazi indipendenti, festival e laboratori, è la cornice ideale in cui si colloca la collaborazione tra Manifattura Tabacchi e Fondazione Palazzo Strozzi.

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Veduta aerea di Manifattura Tabacchi. Foto Marco Zanta

Dal cortile della ciminiera, su cui affacciano i due edifici attivati per gli usi temporanei, si accede a uno spazio di studio, raccoglimento e osservazione, allestito e disegnato sotto l’occhio attento di Tomás Saraceno. A catturare subito l’attenzione è l’Aerocene Explorer Backpack: uno starter kit da indossare come uno zaino che contiene tutto il necessario per l’esperienza di volo di una scultura aerosolare.

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Aerocene Backpack, 2016-in corso. Veduta della mostra presso Manifattura Tabacchi. Foto Alessandro Fibbi

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Pubblicazioni Aerocene. Veduta della mostra presso Manifattura Tabacchi. Foto Alessandro Fibbi

Sulla parete è riprodotto il Manifesto di Aerocene che richiama “l’attenzione di chi ha a cuore l’atmosfera”; il testo afferma di vedere “lo spazio come un luogo di proprietà comune, fisico e immaginario, libero dal controllo delle grandi società e dalla sorveglianza dei governi. Aerocene promuove un accesso libero, non soggetto a misure di estrema sicurezza, all’atmosfera. È una proposta, una scena nell’aria, sull’aria, per l’aria e con l’aria”.
Dichiarazione politica ed etica, il Manifesto è il punto di partenza per tutti i progetti della comunità. Tra i materiali esposti a Manifattura Tabacchi è possibile consultare anche un’ampia selezione di pubblicazioni che raccontano la progettualità di Aerocene nelle sue molteplici declinazioni.
Il percorso di scoperta prosegue in una sala di proiezione dove è possibile immergersi nella selezione di video e documentari dedicati all’artista e immaginare di vivere le esperienze di volo scoperte nelle pubblicazioni.
Bambini, adulti, anziani, intere comunità: lo sguardo li segue mentre insieme fanno volare le sculture aerosolari nei luoghi più affascinanti della Terra. Immagini evocative che non possono fare a meno di ricordare la meraviglia del mondo in cui viviamo e la bellezza di prendersi cura non solo della natura, ma anche delle persone.

In data 13 maggio, ore 18.30 sulle pagine Facebook di Fondazione Palazzo Strozzi e Manifattura Tabacchi si terrà una conversazione tra l’artista Tomás Saraceno, Arturo Galansino (Direttore Generale, Fondazione Palazzo Strozzi), Stefano Mancuso (Direttore del Laboratorio internazionale di neurobiologia vegetale LINV) e Lisa Signorile (biologa e giornalista scientifica) incentrata su arte, natura e impegno collettivo per ripensare il nostro modo di vivere e interagire con il pianeta.