Per la prima volta nella sua storia, il Tour de France partirà dall’Italia con tre giornate speciali dal 27 al 29 giugno 2024 a Firenze. Anche Palazzo Strozzi è incluso nell’itinerario del Grand Départ fissato per sabato 29 giugno 2024: un evento di rilevanza mondiale che vedrà i ciclisti attraversare il cuore della città, coinvolgendo buona parte del centro storico.
La carovana partirà dal Villaggio presso il Parco delle Cascine all’incirca alle ore 12.00 in modalità non competitiva e raggiungerà piazza della Signoria, dove si fermerà per uno avvio istituzionale, prima di iniziare il vero e proprio percorso di gara di 206 km che da Firenze porterà i ciclisti fino a Rimini.
Accesso a Palazzo Strozzi il 29 giugno 2024
Il percorso del Tour de France del 29 giugno 2024 interesserà buona parte del centro di Firenze, inclusa via Strozzi, adiacente a Palazzo Strozzi. Per garantire il passaggio degli atleti e la sicurezza degli spettatori, l’intera via Strozzi e i suoi marciapiedi rimarranno interdetti al passaggio per tutta la durata dell’evento. All’incrocio tra via Strozzi e via Tornabuoni sarà garantito uno dei varchi pedonali di attraversamento del percorso di gara.
Dalla mattina di sabato 29 giugno 2024 e fino alla fine della manifestazione, il portone di via Strozzi rimarrà chiuso. L’accesso a Palazzo Strozzi sarà possibile esclusivamente attraverso i portoni di via Tornabuoni e piazza Strozzi.
La mostra Anselm Kiefer. Angeli caduti rimarrà aperta con il consueto orario dalle 10.00 alle 20.00 (ultimo ingresso un’ora prima della chiusura).
Consigli utili in occasione del Grand Départ
Il Grand Départ del Tour de France è un evento eccezionale che attrae appassionati di ciclismo e curiosi da tutto il mondo. Dal 27 al 30 giugno 2024, la viabilità del centro storico subirà notevoli modifiche e il flusso di persone può essere notevole.
Per visitare la mostra Anselm Kiefer. Angeli caduti consigliamo di: – utilizzare i mezzi pubblici e prediligere gli spostamenti a piedi per raggiungere Palazzo Strozzi, poiché il traffico veicolare sarà fortemente limitato; – considerare maggior tempo di percorrenza per raggiungere la mostra e di arrivare da via Tornabuoni o piazza Strozzi; – seguire le informazioni sui canali ufficiali del Comune di Firenze e del Grand Départ del Tour de France per ulteriori modifiche e variazioni.
Ci scusiamo per eventuali disagi nei giorni del Grand Départ e vi ringraziamo per la comprensione. Non vediamo l’ora di accogliervi a Palazzo Strozzi e di contribuire allo spettacolo imperdibile della corsa ciclistica più famosa al mondo.
A monito degli orrori della guerra che colpiscono le persone, ma possono colpire anche le opere d’arte, vogliamo pubblicare queste immagini di due sculture che hanno subito l’oltraggio di danneggiamenti gravissimi durante le fasi terminali della Seconda Guerra Mondiale.
L’allora Kaiser-Friedrich-Museum (oggi Bode-Museum), venne devastato dai bombardamenti aerei. Due importantissime Madonne col Bambino di Donatello in terracotta che saranno esposte a Palazzo Strozzi erano state evacuate prima in un bunker, ma subirono due terribili incendi nel maggio 1945 e furono ridotte in pezzi.
Portate a Leningrado, sono state restaurate alla metà degli anni Cinquanta e in seguito restituite alla Repubblica Democratica Tedesca, tornando nel settore Est di Berlino solo nel 1958.
Donatello, Madonna col Bambino e angeli, 1440-1445 circa, Berlino, Staatliche Museen, Skulpturensammlung und Museum für Byzantinische Kunst
Prima della Seconda Guerra Mondiale questo rilievo era ancora magnificamente policromato, come attesta una foto pubblicata da Wilhelm von Bode nel 1923. Gli incendi nel maggio 1945 causarono notevoli danni all’opera, compresa la perdita della policromia (a parte qualche traccia sulla manica della Vergine). Questo trauma ha però reso evidente la modellazione dell’argilla, il cui virtuosismo rende indiscutibile l’attribuzione a Donatello. L’ultimo restauro risale al 2018 grazie alla Fondazione d’Arte Ernst von Siemens.
Crediti: Berlino, Staatliche Museen, Skulpturensammlung und Museum für Byzantinische Kunst. Archiv (foto antiche); A. Voigt (foto moderne).
Si è conclusa domenica 29 agosto la mostra American Art 1961-2001. Da Andy Warhol a Kara Walker, uno straordinario viaggio alla scoperta dell’arte moderna degli Stati Uniti a cura di Vincenzo de Bellis e Arturo Galansino, realizzata grazie alla collaborazione con il Walker Art Center di Minneapolis. In appena tre mesi di apertura e nonostante le limitazioni dovute alla situazione sanitaria, la mostra ha raggiunto la cifra di oltre 55.000 visitatori. Questo straordinario successo (assieme alla dirompente arte pubblica di JR) dimostra la forza dell’arte e della cultura anche in un momento di forte difficoltà e incertezza come quello che stiamo vivendo e pone Palazzo Strozzi come un punto di riferimento nel dibattito artistico e culturale a livello nazionale e internazionale.
Dalle analisi sul pubblico di American Art 1961-2001 emergono dati importanti come la partecipazione record dei giovani e l’importante coinvolgimento del pubblico locale, ma anche la conferma della capacità di Palazzo Strozzi di proporre un’offerta in grado di contribuire all’attrazione del turismo italiano e straniero.
Il 46% del pubblico della mostra è costituito da abitanti dell’area metropolitana di Firenze, un dato che testimonia come Palazzo Strozzi rappresenti un imprescindibile punto di riferimento per la vita culturale della città. Tuttavia, Palazzo Strozzi è anche riuscito a mantenere un ruolo primario nella valorizzazione del territorio come meta per il pubblico nazionale e internazionale. Sono stati infatti circa 30.000 i visitatori non locali, italiani e stranieri, di cui oltre 20.000 si sono recati a Firenze appositamente per visitare la mostra, generando un importante impatto sull’economia locale.
In generale si conferma altissimo il gradimento espresso dai visitatori, con il 97% del pubblico che si dichiara soddisfatto dell’esperienza.
Dato rilevante della mostra American Art 1961-2001 è la grande partecipazione del pubblico under 30, pari al 40% del totale dei visitatori. Grazie alla collaborazione degli studenti coinvolti nel progetto Plurals (Alternanza Scuola-Lavoro) è stata realizzata un’indagine specifica che ha evidenziato alcuni tratti e caratteristiche significativi di questo target di pubblico: il 50% dei visitatori under 30 ha visitato Palazzo Strozzi per la prima volta in occasione di questa mostra e il gradimento positivo si attesta al 96%. Il 70% di loro vorrebbe essere attivamente coinvolto nella realizzazione di progetti futuri con Palazzo Strozzi.
I canali web e social sono stati i principali veicoli di informazioni sulla mostra e condivisione dell’esperienza di visita: l’80% degli intervistati hanno scattato fotografie per condividerle online. Questo dato registrato tra i nostri visitatori più giovani conferma il trend generale sull’utilizzo dei social media e, nello specifico, l’interazione con i nostri canali online. Nel periodo tra febbraio e agosto 2021, infatti, l’engagement online del pubblico attraverso i social e il sito di Palazzo Strozzi è stato straordinario: oltre 3 milioni di profili individuali coinvolti su Facebook (con più di 250mila interazioni dirette), quasi 2 milioni di account Instagram raggiunti e oltre 200mila singoli utenti del sito palazzostrozzi.org.
Sono state numerose le attività legate alla mostra, realizzate in presenza o in versione online, mantenendo costante l’offerta rivolta a differenti target di pubblici che caratterizza da sempre lo spirito audience oriented di Palazzo Strozzi.
Il Kit Famiglie e il nuovo Kit Teenager, disponibili in una rinnovata doppia versione fisica e online, sono stati usati 5mila volte, offrendo così a bambini e adulti un’importante chiave per visitare mostra in modo divertente e creativo. I laboratori per le famiglie e l’Art Camp (gli speciali centri estivi realizzati a Palazzo Strozzi in collaborazione con artisti) hanno coinvolto in tutto un centinaio di bambini e ragazzi che hanno così potuto avere un rapporto privilegiato con l’arte.
American Art 1961-2001 è stata anche un’occasione per conoscere in modo più profondo e ampio la grande arte americana. Grazie ad un ampio variegato di approfondimenti per i visitatori (realizzati in mostra e attraverso Zoom sui protagonisti della mostra e le loro opere) e ad una serie di progetti che hanno visto la collaborazione con le università e le accademie del territorio fiorentino, Palazzo Strozzi ha coinvolto centinaia di persone in tutti i canali e modalità possibili.
A tutto ciò si sono affiancate le attività dedicate all’accessibilità. Mantenendo una modalità ibrida, sia in presenza che da remoto, i progetti sono riusciti a coinvolgere anche i pubblici più fragili, come le persone che vivono con l’Alzheimer o con il Parkinson.
Vincenzo de Bellis (Curator and Associate Director of Programs, Visual Arts, Walker Art Center) spiega così il successo della mostra: «L’organizzazione di American Art 1961-2001 è stata stimolante e complessa allo stesso tempo. La movimentazione di così tanti capolavori durante alcuni dei mesi più intensi della pandemia ha messo a dura prova sia il Walker Art Center sia Palazzo Strozzi. Il successo di pubblico ripaga i grandi sforzi messi in atto. La forza delle opere e la scelta di raccontare l’arte americana mettendo in luce anche gli aspetti più critici della cultura di questo paese – fatto sia di grandi successi che di contraddizioni – è stata la scintilla che suscitato così tanto interesse nei nostri visitatori».
Per il Fuorimostra di American Art 1961-2001 sono stati selezionati ventuno luoghi in Toscana capaci di narrare o evocare la vita e l’arte statunitense. Tra questi, nel Piccolo museo del diario di Pieve Santo Stefano – attraverso le memorie raccolte dall’Archivio diaristico nazionale – sono narrate in modo vivido le storie di quanti hanno vissuto o hanno avuto rapporti con gli Stati Uniti. Alice Belfiore ha selezionato per Palazzo Strozzi alcuni brevi, ma straordinari, ricordi.
Esistono testi preziosi e intimi, animati dalla voglia di raccontare e confidarsi. Storie coraggiose, dense di emozioni, in cerca di un futuro florido da garantire ai propri cari o semplicemente a se stessi. Sono le storie di tanti italiani che nel tempo si sono avventurati verso terre lontane per cercare fortuna, amore, avventure o arricchire il proprio bagaglio culturale. Molte di queste storie le troviamo all’interno del Piccolo museo del diario di Pieve Santo Stefano, un borgo che durante la Seconda guerra mondiale venne raso al suolo dai soldati tedeschi in ritirata, nel tentativo di cancellarne la memoria. Fu proprio da queste ceneri che risorgerà come una fenice una casa della memoria collettiva italiana: l’Archivio diaristico nazionale, fondato nel 1984 dal giornalista e scrittore Saverio Tutino per raccogliere e conservare diari, memorie, epistolari della gente comune.
Alcuni quaderni conservati all’interno dell’Archivio dei diari, foto Luigi Burroni
Molti anni più tardi, nel 2013, per dare modo a tutti di scoprire, leggere e ascoltare queste storie, venne aperto il Piccolo museo del diario, diventato sin da subito la tappa prediletta da quanti interessati a scoprire una parte insolita della nostra storia. Si tratta di un museo molto piccolo, ma allo stesso tempo potenzialmente infinito, grazie agli strumenti digitali: le storie che qui sono raccolte e raccontate sono quelle conservate in Archivio, ma sono state appositamente digitalizzate così da renderle facilmente fruibili, intercambiabili e sostituibili. Chi entra nel museo, decide di accogliere nella propria vita le storie di queste persone come atto di conoscenza e amore del nostro passato, come – in occasione della mostra American Art 1961-2001 – le testimonianze dei diaristi che hanno vissuto un periodo negli Stati Uniti o che hanno avuto una relazione con il Paese tra il 1961 e il 2001.
Tommaso Bordonaro, contadino siciliano, descrive la “spartenza” dall’Italia nel 1947 utilizzando una lingua impastata di vocaboli dialettali e inglesi, tanto sgrammaticata quanto autentica. Emozionante la parte in cui, dalla nave, intravede la Statua della Libertà:
Io sono stato fino alle 23 in guardia di vedere di più, così ho visto la illuminazione: era una bellissima veduta. Alle ore una di notte del 27 abiamo arrivati quasi alla statua, e che si vedi una belleza! Una illuminazione bellissima. Le nave chi va chi vieni tutti illuminati: una veduta per me mai vista. La mattina alle ore 5 abiamo passato la statua e ci siamo entrati in porto con la Marine Shark. La emuzione era forte a vedere, con quella neve che il freddo era tremente, tutta quella genti che chiamava chi un nome chi un altro, chi piangeva, chi gridava, tutte quel macchine, chi correva, chi fischiava, insomma una folla immensa, chi non conosceva la sua famiglia e una veduta di palazi che facevano impressione a guardarli, macchine, villi che pareva veramente il paradiso che noi non abiamo ancora visto.
Il diario di Tommaso Bordonaro, foto di Luigi Burroni
Salvatore Di Biase ci regala uno spaccato di vita americana negli anni del New Deal:
“Arrivarono le election day, andai ha votare mi sentivo tutto orgoglioso di andare a votare, era tutto diverso, a New York e come quasi tutti gli stati uniti si votava senza scheda con pulsanti automatici, era molto semplice, una cosa da niente tutto fatto. La sera già si sapeva che aveva vinto Kennedy”.
Un percorso storico ricostruito attraverso le memorie di chi, nonostante le difficoltà, riesce a coronare il sogno di visitare l’America di Jack Kerouac e del celebre romanzo On the Road, una delle letture predilette da Gloria Bartolotti che, nel 1978, scrive:
Ma quella era l’ultima occasione per visitare il paese che ci era venuto in casa nell’età dell’adolescenza con la letteratura e la poesia beat (…) stavo per andare in America come una solitaria pellegrina del Maiflower, come una pioniera dell’avventura. «Almeno terrò un diario!»
Andrea Luschi, nel 1996, affida al diario la cronaca minuziosa del viaggio effettuato in Florida insieme ai figli per assistere al lancio di una navicella spaziale:
Alle 15:18, in perfetto orario sulla tabella di marcia, scorgiamo in lontananza una nuvola di fumo che segnala l’accensione dei motori di Columbia; lo shuttle si alza lentamente verso il cielo, con una fiammata ed un rombo di tuono che mano a mano aumenta di intensità (…) Via via che Columbia sale verso il cielo, aumenta la mia commozione e non posso fare a meno di farmi scappare qualche lacrima di gioia per aver visto realizzato un mio grande sogno .
Qualche anno più avanti l’evento che sconvolse il mondo intero: l’11 settembre 2001. Maria Pia Farneti, dall’animo inquieto e creativo, compone dei disegni che per sempre imprimeranno questa data.
Maria Pia Farneti, foto di Luigi Burroni
Alcune di queste testimonianze si animeranno in un video composto da immagini e voci di attori che interpreteranno le emozioni dei diaristi, visibile, dai primi di agosto, sui canali social del Piccolo museo del diario e online nei canali dell’Archivio dei diari.
All’interno del Piccolo museo del diario tutti possono immergersi nei ricordi intimi e descrittivi di un passato che vivrà per sempre, e che continuerà ad alimentarsi attraverso la sensibilità di chi deciderà di raccontarsi e raccontare.
In copertina: Piccolo museo del diario, foto Luigi Burroni
Servire il futuro: Peggy Guggenheim e l’arte americana
La Collezione Peggy Guggenheim ospita a Palazzo Venier dei Leoni a Venezia una delle collezioni di arte moderna e contemporanea del XX secolo più importanti al mondo. Già protagonista della mostra Da Kandinsky a Pollock. La grande arte dei Guggenheim, con il suo mecenatismo Peggy Guggenheim ha saputo riunire attorno a sé i più grandi artisti dell’epoca, portandoli alla fama negli Stati Uniti che in Europa. Gražina Subelytė (Associate Curator della Collezione Peggy Guggenheim), in occasione della mostra American Art 1961-2001, sottolinea l’importanza del collezionismo della filantropa americana e di come abbia influenzato l’arte d’oltreoceano, e non solo, per gli anni a venire.
Dopo essere fuggita dalla Francia occupata dai nazisti e aver fatto ritorno, nell’estate del 1941, nella natia New York, nell’ottobre del 1942 Peggy Guggenheim apre il suo museo/galleria Art of This Century, e nel comunicato stampa afferma: “Questa impresa avrà raggiunto il suo obiettivo solo se riuscirà a servire il futuro invece di registrare il passato”. Di fatto Art of This Century diventa ben presto il luogo più innovativo e stimolante dove poter assistere alle più recenti sperimentazioni artistiche.
La prima mostra temporanea qui organizzata comprende delle bottiglie di Laurence Vail, artista Dada e primo marito di Peggy Guggenheim, e delle scatole magiche dell’americano Joseph Cornell, alcune delle quali oggi esposte alla Collezione Peggy Guggenheim, a Venezia. Cornell raccoglieva oggetti disparati che poi assemblava in composizioni tematicamente coerenti. Il suo archivio, una sorta di gabinetto delle curiosità, comprendeva migliaia di oggetti, anche effimeri, raccolti nell’arco di una vita. Appassionato narratore, riusciva a trovare un’unità di fondo nella diversità ed era inoltre profondamente affascinato e influenzato dal cosmo e dall’astronomia, come emerge da alcune sue opere, quali Untitled (Canis Major Constellation) (c. 1960), e Eclipsing Binary, Algol, with Magnitude Changes (c. 1965), esposte nella mostra American Art 1961-2001.
Marcel Duchamp, Scatola in una valigia (Boîte-en-Valise), 1941, cm 40,7 x 37,2 x 10,1. Collezione Peggy Guggenheim, Venezia (Fondazione Solomon R. Guggenheim, New York). Photo Matteo De Fina
Accanto alle creazioni di Vail e Cornell, quella prima esposizione ad Art of This Century include anche Scatola in una valigia (1941) di Marcel Duchamp, amico e fedele consigliere di Peggy. Questa valigetta da viaggio, che la collezionista porta con sé dall’Europa, raccoglie 69 riproduzioni di opere dell’artista create prima del 1935 e un “originale”. Tra le riproduzioni figurano, ad esempio, La sposa messa a nudo dai suoi scapoli, anche (Il grande vetro) e alcuni dei più celebri ready-made, come una miniatura dell’orinatoio rovesciato, Fontana, del 1917. Simile alla valigetta di un rappresentante, la “scatola” simula perfettamente, e in scala, l’ambiente di una stanza. Realizzata poco prima che Duchamp si trasferisse a New York durante la seconda guerra mondiale, la “scatola” diventa il modo in cui poter conservare in forma simbolica, in una sorta di piccolo museo portatile, una selezione in miniatura dei lavori. Insieme alle opere della collezione di arte cubista, astratta e surrealista della mecenate americana, lo spirito rivoluzionario delle creazioni di Duchamp, come la nozione stessa di ready-made, esercita una grande influenza sulle generazioni a venire degli artisti d’oltreoceano. Nella mostra American Art 1961-2001, tale aspetto emerge ad esempio nelle opere di artisti come Sherrie Levine, con la sua Fountain (1991), Andy Warhol con Campbell’s Tomato Juice Box (1964), Robert Rauschenberg con décor for Minutiae (1954/76), Jasper Johns con Set Elements for Walkaround Time (1968).
Mark Rothko, Sacrificio (Sacrifice), aprile 1946, acquerello, guazzo e inchiostro di china su carta, cm 100,2 x 65,8. Collezione Peggy Guggenheim, Venezia (Fondazione Solomon R. Guggenheim, New York)
Soprattutto, Art of This Century (1942-1947) serve il futuro invece di registrare il passato, andando a esporre molti giovani artisti americani allora sconosciuti, tra cui Jackson Pollock, Mark Rothko e Clyfford Still, le cui opere sono tuttora esposte a Venezia. All’epoca il lavoro di Rothko era ancora figurativo e carico di valenze mitologiche di matrice surrealista, ma alla fine degli anni ’40 volge alla completa astrazione, contribuendo allo sviluppo della pittura Color Field, basata su ampie campiture di colore, come si osserva nel suo dipinto No. 2 (1963), attualmente in mostra a Palazzo Strozzi.
Grazie a Peggy Guggenheim, il lavoro di questa nuova generazione di artisti americani viene presentato per la prima volta al di fuori dagli Stati Uniti in occasione della Biennale di Venezia del 1948, dove la mecenate viene invitata a presentare la sua collezione negli spazi del Padiglione greco, allora vuoto a causa della guerra civile che imperversava in Grecia. È la prima volta che in Italia viene esposta una raccolta così esaustiva di arte moderna. Ma il padiglione di Peggy Guggenheim assume un’importanza ancora maggiore, poiché quell’anno il Padiglione degli Stati Uniti apre in ritardo, diverse settimane dopo, e così è il suo padiglione a rappresentare in qualche modo il paese durante l’inaugurazione e ad accogliere l’allora ambasciatore degli Stati Uniti in Italia, James Dunn.
Jackson Pollock, Alchimia (Alchemy), 1947, olio, pittura d’alluminio, smalto alchidico con sabbia, sassolini, filati e bastoncini spezzati di legno su tela, cm 114,6 x 221,3. Collezione Peggy Guggenheim, Venezia (Fondazione Solomon R. Guggenheim, New York)
Al termine della Biennale, la collezione di Peggy Guggenheim attraversa una fase “nomade” che dura circa due anni, durante la quale viene esposta anche a Palazzo Strozzi, nel 1949, dove sono presentate anche Scatola in una valigia di Duchamp e opere di artisti americani come Robert Motherwell, Pollock e Rothko. La mecenate continua a promuovere Pollock e nel 1950 organizza una sua personale nell’Ala Napoleonica del Museo Correr, in piazza San Marco a Venezia. Si tratta della prima personale dell’artista al di fuori degli Stati Uniti e vi sono esposti anche dieci suoi dripping. Suscita shock ed entusiasmo negli artisti italiani di generazioni differenti, dai più anziani ai più giovani, poiché l’idioma visivo astratto di Pollock è senza precedenti e decisamente radicale. E altrettanto radicali e progressisti sono gli sforzi compiuti da Peggy Guggenheim nel sostenere gli artisti americani e nell’introdurli a un nuovo pubblico, garantendo l’importanza e la continuità della loro eredità che, attraverso la contestazione, il cambiamento o l’accettazione, è oggi riflessa nelle opere esposte nella mostra American Art 1961-2001. L’obiettivo di servire il futuro piuttosto che registrare il passato è stato raggiunto.
Gli Amici di Palazzo Strozzi entrano gratuitamente alla Collezione Peggy Guggenheime i possessori del biglietto di American Art 1961-2001 hanno diritto a un ingresso ridotto al museo veneziano (€ 13 invece di € 15).
I soci della Collezione Peggy Guggenheim entrano gratuitamente a Palazzo Strozzi. I possessori del biglietto della Collezione hanno diritto al biglietto ridotto per la mostra American Art 1961-2001(€ 12 invece di € 15).
In copertina: Peggy Guggenheim nella sala da pranzo di Palazzo Venier dei Leoni, Venezia, anni ’60. Da sinistra: Vasily Kandinsky, Paesaggio con macchie rosse, n. 2 (Landschaft mit roten Flecken, Nr. 2, 1913); Georges Braque, Il clarinetto (La Clarinette, estate autunno 1912); Giacomo Balla, Velocità astratta + rumore, 1913–14; Louis Marcoussis, L’Habitué (1920); Umberto Boccioni, Dinamismo di un cavallo in corsa + case (1914–15); Albert Gleizes, Donna con animali (Madame Raymond Duchamp-Villon) (La Dame aux bêtes [Madame Raymond Duchamp-Villon]), terminato nel febbraio 1914; tutte le opere sono in Collezione Peggy Guggenheim. Foto Archivio Cameraphoto Epoche. Fondazione Solomon R. Guggenheim, Venezia, Donazione, Cassa di Risparmio di Venezia, 2005.
A Punta della Dogana, Venezia, dal 23 maggio 2021 al 9 gennaio 2022 è in mostra Bruce Nauman: Contrapposto Studies, a cura di Carlos Basualdo (The Keith L. and Katherine Sachs Senior Curator of Contemporary Art al Philadelphia Museum of Art) e Caroline Bourgeois (conservatrice presso la Pinault Collection). La mostra rende omaggio alla figura di Bruce Nauman, presente anche nella mostra American Art 1961-2001 con l’opera Art Make-Up (1967-1968). Di seguito un estratto da Volver sobre sus pasos di Carlos Basualdo, pubblicato nel catalogo della mostra, edito da Marsilio Editori.
Dal 2015 Bruce Nauman è impegnato nella realizzazione di una serie di opere, per lo più videoinstallazioni ma anche un collage preparatorio e un modellino in scala, che a prima vista sembrano un riesame o una continuazione di uno dei suoi primi video, Walk with Contrapposto del 1968. Nauman lavora spesso in serie, creando gruppi di opere che insieme vanno a comporre un’espressione artistica che abbraccia, o definisce nei suoi limiti, uno o più interrogativi. Prima di iniziare a realizzare la serie di proiezioni confluita nei Contrapposto Studies, aveva ampiamente esplorato i cambiamenti dei giorni della settimana in installazioni come Days e Giorni del 2009, e le possibili combinazioni delle posizioni delle sue dita in diversi disegni, video (For Beginners (all the combinations of thumb and fingers), 2010) e registrazioni sonore. Il suono e la composizione hanno sempre suscitato l’interesse di Nauman e sono un elemento centrale anche di questa serie recente. La differenza più sorprendente rispetto ai lavori precedenti sta nella scelta di una vecchia opera come punto di partenza. Sebbene questo sia un gesto ricorrente per molti artisti, a Nauman non accade spesso. Nell’ambito della sua pratica, la decisione di tornare sui suoi passi sembra costituire un’eccezione radicale.
Nauman ha affermato che con queste nuove opere intendeva realizzare qualcosa che non era stato tecnicamente possibile, o fattibile, alla fine degli anni sessanta, quando aveva registrato Walk with Contrapposto. In quel video, vediamo l’artista camminare avanti e indietro lungo un corridoio stretto, che lui stesso aveva realizzato, con le mani intrecciate dietro la testa e il corpo che ondeggia mentre cerca di camminare in linea retta mantenendo una posa in contrapposto. Lo vediamo camminare fino alla fine del corridoio, il suo corpo si allontana a ogni passo, poi torna verso di noi, mentre lo sfondo rimane invariato. Nauman ha deciso di invertire il rapporto tra uomo e contesto per farli agire esattamente all’opposto: la figura è ferma mentre lo sfondo si muove[1]. Qualche decennio prima, i mezzi tecnologici a sua disposizione non gli avevano permesso di raggiungere questo risultato, e ora la possibilità di farlo sembra sia stata la motivazione per rinnovare il tentativo nei nuovi lavori. L’unico modo per ottenere l’effetto desiderato è riprendere la figura in movimento e poi utilizzare uno zoom digitale in postproduzione, facendo sì che l’inquadratura sul corpo dell’artista rimanga invariata. Esattamente ciò che Nauman intendeva fare.
Nauman ha accennato al fatto che, prima di scegliere Walk with Contrapposto, aveva guardato alcuni dei suoi primi video con l’intenzione di individuarne uno adatto a essere rivisitato. Cosa di per sé notevole, poiché notoriamente Nauman evita di guardare i suoi primi film e video, anche durante le mostre. Una delle opere che ha preso in considerazione è Slow Angle Walk (Beckett Walk) (1968), ma ha abbandonato presto l’idea a causa della complessità dei movimenti che richiede. Da ciò si deduce che fin dall’inizio avesse intenzione di eseguirli di persona. Tuttavia, ha anche accennato al tentativo di usare qualcun altro al suo posto per i nuovi video, e di avere poi cambiato idea. All’epoca Nauman si stava riprendendo da una malattia che lo affliggeva da diversi mesi e questo lavoro gli offrì l’opportunità di mettere alla prova il senso di equilibrio e la resistenza fisica. L’impulso alla base della realizzazione dei Contrapposto Studies sembra essere stato il desiderio di tornare a un’opera giovanile per ottenere qualcosa che non era stato possibile realizzare in origine – essenzialmente ribaltando il concetto alla base del lavoro esistente – e per mettere alla prova il suo equilibrio allo scopo di valutare la propria condizione fisica. L’obiettivo iniziale dunque era sia concettuale sia puramente pratico.
[1] Le considerazioni di Bruce Nauman riportate in questo saggio sono tratte dalle interviste fatte all’artista da chi scrive nel 2016 e 2017, durante le quali si discusse della genesi e della creazione dei Contrapposto Studies.
I titolari della Membership di Palazzo Grassi e Punta della Dogana entrano gratuitamente a Palazzo Strozzi. I possessori del biglietto della mostra di Punta della Dogana hanno diritto al biglietto ridotto per la mostra American Art 1961-2001(€ 12 invece di € 15).
Negli ultimi mesi segnati dalla chiusura dei nostri spazi espositivi, i due grandi progetti site specific di Marinella Senatore e JR hanno permesso di riflettere sull’idea di comunità, condivisione, fruizione della cultura, creando un inedito dialogo tra Palazzo Strozzi e lo spazio pubblico, fisico e digitale. Sono stati progetti che hanno avuto un’eco enorme, dalla stampa ai social media, passando per il passaparola delle persone che sono riuscite a vedere le due grandi installazioni. Con American Art 1961-2001, finalmente, torniamo ad aprire una grande mostra all’interno del Palazzo dopo sette mesi dalla chiusura di Tomás Saraceno. Aria. Si tratta di un’occasione speciale, sia perché questa esposizione segna la riapertura di Palazzo Strozzi, ma anche per l’eccezionalità dell’esposizione: uno straordinario percorso fatto di capolavori della storia dell’arte del Novecento, importanti e iconiche opere di artisti che hanno segnato l’arte americana dall’inizio della Guerra del Vietnam fino all’attacco dell’11 settembre 2001.
Sono oltre 80 le opere che sono arrivate a Firenze direttamente dagli Stati Uniti, in prestito dal Walker Art Center di Minneapolis. L’arrivo delle casse nel cortile è stato, per Palazzo Strozzi e per la città, un simbolo di rinascita: l’arte diventa nuovamente fruibile in presenza e non più solo a distanza. Il trasporto e l’installazione di così tante opere, in un’epoca così difficile, sono stati resi possibili dal lavoro degli staff di Palazzo Strozzi e del Walker Art Center che si sono ritrovati ad affrontare nuove sfide logistiche, per realizzare secondo i protocolli di sicurezza aggiuntivi tutte le operazioni necessarie all’apertura della mostra.
A cura di Vincenzo de Bellis (Curator and Associate Director of Programs, Visual Arts, Walker Art Center) e Arturo Galansino (Direttore Generale, Fondazione Palazzo Strozzi) American Art 1961-2001 è il frutto di quattro anni di lavoro e di stretta collaborazione tra i due istituti. La mostra testimonia la poliedrica produzione artistica americana propone un’inedita rilettura di quarant’anni di storia affrontando temi come lo sviluppo della società dei consumi, la contaminazione tra le arti, il femminismo, le lotte per i diritti civili. Il percorso espositivo parte da figure fondamentali come Mark Rothko, Robert Rauschenberg e Andy Warhol, di cui sono presentate ben 12 opere, celebrando la grande stagione dell’arte degli anni Sessanta, testimoniata anche dalle opere di maestri come Donald Judd, Robert Morris, Bruce Nauman.A questi fanno seguito la riflessione sulla figura della donna di Cindy Sherman, le appropriazioni dal mondo della pubblicità di Richard Prince e Barbara Kruger, la fotografia provocatoria e allo stesso tempo intimista di Robert Mapplethorpe, o le inquietanti narrazioni posthuman di Matthew Barney. Un focus speciale è dedicato inoltre alle più recenti ricerche artistiche, tra cui spiccano autori centrali nella riflessione sull’identità americana come Paul McCarthy e Catherine Opie o figure di riferimento per la comunità afroamericana quali Kerry James Marshall e Kara Walker.
A conclusione del primo weekend di mostra, oltre 2000 visitatori hanno ammirato le opere dei grandi maestri dell’arte americana a Palazzo Strozzi. Questo numero costituisce un importante segnale di ripartenza della vita culturale, sociale ed economica del nostro territorio. I visitatori hanno dimostrato da subito grande entusiasmo e questo testimonia non solo la qualità delle nostre proposte, ma soprattutto quanto sia importante che le persone riprendano a frequentare mostre, musei e luoghi della cultura per riappropriarsi delle città all’insegna dell’arte e della bellezza.
“Cosa state facendo?” “E ora che i musei sono di nuovo chiusi su cosa lavorate?” “Che cosa fate tutti i giorni?” Queste sono solo alcune delle domande che ci sentiamo rivolgere in questo periodo. In realtà, ogni giorno, in presenza o da remoto, ognuno di noi a Palazzo Strozzi sta lavorando per portare avanti tanti progetti, alcuni destinati a compiersi nei prossimi mesi, altri che vedranno la luce negli anni a venire.
A un anno esatto dall’inizio della pandemia che ha cambiato il nostro mondo, come tutte le istituzioni culturali italiane ci ritroviamo nuovamente di fronte alla chiusura di mostre e musei, questa volta a intermittenza. Le conseguenze sul mondo dell’arte, e non solo, sono sotto gli occhi di tutti. Abbiamo dovuto adeguare i nostri programmi all’insegna della flessibilità, modificare la programmazione delle grandi mostre e delle attività quotidiane con i nostri visitatori, cambiare le modalità con cui interagiamo con ogni singola persona. L’abbiamo fatto negli ultimi dodici mesi con la riapertura della mostra Tomás Saraceno. Aria a giugno, sperimentando nuove forme di visita e di interazione con il nostro pubblico, e a dicembre con la grande installazione We Rise by Lifting Others di Marinella Senatore, che ci ha dato l’opportunità di ricreare un senso di comunità tra il fisico e il digitale. Abbiamo dato il meglio di noi, e continueremo a farlo.
Laboratorio famiglie durante la mostra Tomás Saraceno. Aria. Foto Giulia Del Vento.
Ogni giorno, tutto il nostro gruppo di lavoro è all’opera, da chi si occupa di comunicazione e promozione a chi elabora progetti educativi, da chi è impegnato sulle pubblicazioni e da chi gestisce gli spazi e gli allestimenti fino a chi sovrintende alla nostra amministrazione. Si lavora ai prossimi progetti espositivi e artistici, alle nuove modalità di dialogo con i nostri pubblici, all’analisi dell’anno che abbiamo da poco lasciato alle spalle. Sono attività che hanno da sempre caratterizzato il lavoro della nostra Fondazione, fin dalla sua nascita ormai quindici anni fa. Proprio in questo periodo stiamo dedicando ancora più attenzione ai piccoli dettagli, per poter offrire il meglio in un anno che si prospetta ancora difficile e ricco di sfide.
Le sale del piano nobile preparate per la mostra American Art 1961-2001. Foto Matthias Favarato.
Per questo 2021 stiamo lavorando – anzi, siamo in dirittura d’arrivo –nella preparazione di American Art 1961-2001. I lavori per l’allestimento delle sale sono già quasi terminati: i nostri spazi sono in attesa di accogliere le opere in arrivo dal Walker Art Center di Minneapolis e i futuri visitatori che potranno così scoprire una straordinaria selezione di opere che testimoniano la storia dell’arte americana, da Andy Warhol a Kara Walker. Insieme alla mostra, stiamo predisponendo un ricco public program, con appuntamenti fisici e online, che permetterà di far conoscere a fondo i grandi artisti esposti ma anche questi quarant’anni di storia. In parallelo, il nostro direttore Arturo Galansino e il curatore Joachim Pissarro continuano a lavorare alla grande mostra Jeff Koons. Shine, in calendario per il prossimo autunno.
La nostra attività, tuttavia, non si ferma qui. Ci sono molti altri progetti e fondamentali spazi del palazzo sono interessati da importanti interventi, come la nostra biglietteria, che sarà più accogliente e luminosa e allo stesso tempo adeguata alle nuove necessità dettate dalle regole di distanziamento. Ma stiamo lavorando anche per i prossimi anni. Per rispettare l’alternarsi a Palazzo Strozzi di mostre di arte moderna, contemporanea e di cosiddetti “old masters”, per la primavera del 2022 stiamo organizzando una straordinaria esposizione su uno dei più amati artisti del Rinascimento fiorentino. Infine, non mancano molti giorni a un grande appuntamento che vedrà protagonisti gli spazi pubblici del Palazzo: una sorpresa che sicuramente lascerà un segno per il forte significato e l’impatto visivo dell’intervento.
Ecco perché alla domanda “cosa state facendo?” rispondiamo: “stiamo lavorando per voi!”.
Le sale del piano nobile preparate per la mostra American Art 1961-2001. Foto Matthias Favarato.
In copertina: il cortile di Palazzo Strozzi. Foto Alessandro Moggi.
La fruizione di un’opera d’arte sollecita facoltà sensoriali e aree motorie diverse: quando osserviamo un quadro, una scultura, un’installazione o un video non solo i nostri occhi ma tutto il nostro corpo è coinvolto e attivato. È su questo principio che si basa Corpo libero, progetto della Fondazione Palazzo Strozzi dedicato all’inclusione delle persone con Parkinson nato grazie al confronto con le esperienze di Dance Well della Città di Bassano del Grappa e del Centro Parkinson di Villa Margherita (Kos Care) di Vicenza, con il supporto del Fresco Parkinson Institute.
In occasione di ogni mostra è organizzato un calendario di appuntamenti condotti da educatori museali e insegnanti di danza che propongono la sperimentazione di varie forme di relazione con l’arte. La parola e il linguaggio corporeo diventano modalità per esplorare le opere esposte nelle sale di Palazzo Strozzi, che costituiscono il punto di partenza dell’esperienza.
Attraverso la danza si entra in relazione con le opere esposte e si crea un dialogo con gli altri partecipanti fatto di gesti e azioni. Ogni movimento è un modo per comunicare e un potente mezzo per costruire un gruppo che ogni volta si è fatto più unito fino a diventare una vera “collettività danzante”. Studi medici come quelli del dottor Daniele Volpe hanno dimostrato come la danza aiuti le persone con il morbo di Parkinson producendo un impatto positivo sul sistema neurologico e sulle prestazioni fisiche toccate dalla malattia. Il progetto Corpo libero parte da ciò sfruttando l’arte come strumento di espressione per lasciarsi andare, ognuno con le proprie fragilità. Sebbene con una prerogativa strettamente creativa e non terapeutica, Corpo libero, nelle parole di uno degli stessi partecipanti, diviene “un’eccezionale risposta di libertà a un corpo che tenderebbe sempre più a imprigionarmi”.
Corpo Libero, performance per la mostra Natalia Goncharova. Foto Giulia Del Vento
Abbiamo incontrato le sculture del Verrocchio, osservato i quadri di Natalia Goncharova, vissuto le performance di Marina Abramović. Questi incontri sono stati occasioni per ridurre l’isolamento che può essere conseguenza della malattia, nel confronto con gli altri partecipanti e con altri visitatori. Osservare e produrre gesti e azioni ha suggerito nuovi possibili modi di avvicinarsi all’arte. E anche per questo a conclusione di ogni esposizione è stata organizzata una performance pubblica nelle sale: azioni a coppie o collettive vivevano in stretto dialogo con le opere esposte, mentre la forza del gruppo aumentava nel sostenersi a vicenda fino quasi a respirare insieme come un unico organismo.
Con le restrizioni imposte dall’attuale emergenza sanitaria, Corpo libero ha dovuto trovare una nuova forma che permettesse di rimanere connessi gli uni agli altri e garantisse una continuità nella pratica della danza. Attraverso un gruppo WhatsApp appositamente creato, Corpi liberi – a casa, sono stati condivisi contenuti legati alla mostra di Tomás Saraceno, che ancora nessuno aveva avuto modo di vedere, e pratiche di danza. È stato scelto come formato l’audio, che, rispetto al video, apre a una maggiore libertà interpretativa da parte di chi ascolta.
Il distanziamento ha richiesto di trovare una modalità alternativa a un’esperienza che fino a quel momento era incentrata sul contatto, sulla presenza fisica e sulla dimensione corale, una nuova strada che possa mantenere salde le due anime del progetto: l’arte e la danza, da esperire ognuno nella propria casa. In questa nuova dimensione domestica, come ha detto Laura Scudella, una delle insegnanti di danza del gruppo Corpo libero, è stato fondamentale “percepire l’assenza dell’opera come un arricchimento della nostra sfera immaginativa e come un riconoscimento della possibilità di fraintendimento”.
Settimana dopo settimana la modalità audio è diventata più familiare e gli esercizi proposti hanno rotto simbolicamente l’isolamento cui tutti eravamo costretti. Partecipare insieme, anche se a distanza, ha aumentato il senso di appartenenza e ha unito il gruppo in modo nuovo.
Un incontro di Corpo Libero per la mostra Verrocchio, il maestro di Leonardo. Foto Giulia Del Vento
Il 17 settembre è stato possibile incontrarci di nuovo in presenza nel cortile di Palazzo Strozzi sotto l’installazione Thermodynamic Constellation di Tomás Saraceno. Ritrovarsi ha significato sperimentare un nuovo modo di stare insieme, pur mantenendoci a distanza: nascondere i sorrisi dietro alle mascherine, cercare negli sguardi le emozioni e quindi prestare ancora più attenzione ai gesti propri e altrui.
Il contatto fisico crea vicinanza e relazione ed è simbolo di rispetto e ascolto reciproco. Permettere ad altri di entrare nel proprio spazio significa affidarsi, secondo un processo graduale. Il Covid-19 ha bruscamente interrotto questo percorso e ha cambiato le nostre percezioni: toccarsi e stare vicini sono diventati qualcosa di potenzialmente pericoloso. Per questo motivo anche in presenza è stato necessario trasformare le modalità di interazione, evitando contatti ravvicinati ma continuando lo stesso a “toccare” gli altri in modo nuovo. Le installazioni di Saraceno ci hanno aiutato in questa delicata fase di transizione in quanto parlano, coinvolgono emotivamente, attivano reazioni profonde anche attraverso la distanza che intercorre con l’osservatore e secondo un’idea di interazione che non si basa sul contatto fisico: gli intrecci di sguardi negli specchi di Connectome; le Tillandsie di Flying Gardens che vivono appoggiate su altre piante senza danneggiarle, i grovigli di segni di luce e ombra delle tele dei ragni.
Oggi, 25 novembre 2020, celebriamo la giornata nazionale del Parkinson con la restituzione pubblica della nuova dimensione del progetto nata in occasione della mostra Tomás Saraceno. Aria. Riprendendo il formato che aveva caratterizzato i mesi del lockdown, è stato chiesto a ciascun partecipante di condividere la suggestione più evocativa, il ricordo più vivido, la sensazione più forte lasciata dall’arte di Tomás Saraceno attraverso una traccia audio. Come nelle ragnatele collettive della sala Webs of At-tent(s)ion, tutte le voci sono state unite in un’unica composizione, Ensemble. Questa condivisione vuole superare i confini della mostra e di Palazzo Strozzi, poiché è pensata per essere ascoltata, interpretata o trasformata in gesto e movimento da chiunque la senta. Ensemble non vuole solo raccontare un’esperienza vissuta ma desidera farne vivere una nuova, trasportando altre persone nei mondi esplorati dai partecipanti di Corpo libero.
Corpo Libero: together again, 17 settembre 2020, in occasione della mostra Tomás Saraceno. Aria. Foto Giulia Del Vento
Ensemble fa parte del palinsesto della giornata nazionale del Parkinson organizzata da Dance Well in diretta sulla pagina Facebook di Dance Well. Il programma in dettaglio è consultabile alla pagina dell’evento.
Le voci di Ensamble sono di: Fiora, Giorgio, Raniero, Marco, Lavinia, Cristina, Ginevra, Valentino, Nicoletta, Chiara, Irene, Ada, Azzurra, Laura, Fabio, Ilaria, Maho, Amina, Nicoletta, Enzo, Alessandro, Alessandro, Margherita, Laura. Montaggio audio a cura di Carola Haupt Musiche: Kai Engel, Ketsa, Blue Dot Sessions (released under CC BY-NC 4.0)
In copertina: Corpo Libero: together again, 17 settembre 2020, in occasione della mostra Tomás Saraceno. Aria. Foto Giulia Del Vento
Sullo Schermo dell’arte e altre considerazioni in tempi incerti
Direttrice dello Schermo dell’arte – Festival di cinema e arte contemporanea, Silvia Lucchesi porta una riflessione sul festival di quest’anno, arrivato alla sua XIII edizione, che ha dovuto necessariamente reagire alla situazione attuale spostandosi in una nuova dimensione online.
Esterno giorno. Campagna. Bianco/nero. Primo piano di un uomo anziano. Un viandante, impermeabile stropicciato, sciarpa, borsa a tracolla, si muove vacillando in una strada secondaria alberata. Appoggiate al suolo delle tubazioni industriali, un impianto idrico a cielo aperto, deturpano il paesaggio. Appare la scritta 2020. L’inquadratura si sposta sui piedi dell’uomo. Sta camminando sopra a quei brutti lunghi cilindri metallici in equilibrio precario. Che ci fa quell’uomo in questa improbabile situazione, al limite dell’assurdo? Appare un titolo: A Metaphor. L’uomo sembra quasi divertirsi come quando da ragazzini si saltava, accorti, di pietra in pietra evitando di sfiorare le intersezioni tra queste. Chi non l’ha mai fatto? Alla fine l’uomo desiste e sorridendo verso la telecamera torna a camminare con i piedi per terra. È l’ironica sigla che l’artista britannica Kasia Fudakowski ha realizzato per l’edizione 2020 dello Schermo dell’arte.
Ringrazio gli amici di Palazzo Strozzi che mi hanno chiesto di scrivere un testo sullo Schermo dell’arte per la piattaforma In Contatto. Come l’uomo del video di Kasia, anche tutti noi viviamo oggi un presente incerto e irregolare. E chi come me lavora nel campo dell’arte non può sottrarsi dal riflettere sull’esperienza di questo annus horribilis. Così, desidero approfittare di questo spazio non solo per dare informazioni sul programma della XIII edizione del festival. Voglio qui condividere un’esperienza di lavoro straordinariamente nuova in cui la velocità di reazione alla situazione fluida e inaspettata che stiamo sperimentando in questi mesi convive con la riflessione sui contenuti e sulle pratiche dell’arte che rimangono l’elemento centrale della proposta culturale.
Lo schermo dell’arte lavora tutto l’anno su differenti progetti. Cinema e arte contemporanea. Ma è il festival di novembre il momento in cui la nostra attività ha la maggiore visibilità e intensità. È un momento atteso dal pubblico. Si vivono le opere degli artisti che dalla realtà che ci circonda traggono le ragioni stesse del loro fare, elaborando in una forma estetica le suggestioni del tempo in cui siamo immersi. È l’occasione in cui una comunità di artisti e professionisti che lavorano con le moving images si incontra e scambia pensieri e riflessioni su nuovi progetti. Un festival ha una prospettiva dinamica e diacronica, accoglie il tempo, il suo trasformarsi, il suo succedere. È un’esperienza complessa in cui si intrecciano aggregazione sociale e arricchimento personale.
Rudolf Herz, Szeemann and Lenin Crossing the Alps, 2019. Courtesy l’artista
Il DPCM del 4 novembre ha decretato ulteriori restrizioni. Proprio adesso, mentre sto scrivendo, arrivano a raffica sulla mia casella di posta elettronica le notizie di annullamento, sospensione, rinvio, chiusura di tante attività previste che avrebbero dovuto svolgersi in questo periodo in musei e centri d’arte. Teatri, sale da concerto, cinema avevano già chiuso i battenti. Che dispiacere. Quanta amarezza.
All’espressione resistere preferisco reagire perché più che sopportare una condizione avversa, Lo schermo dell’arte 2020 agisce rispondendo con scelte consapevoli. Per esempio, oltre ai film in streaming, il programma prevede l’ampia proposta di contenuti dei Festival Talks, eventi trasmessi live con conversazioni e tavole rotonde con artisti e curatori perché, in questo anno così difficile, confrontarsi e lavorare insieme è questione ancor più essenziale. O la scelta di non interrompere il progetto VISIO rivolto a promuovere e sostenere la giovane generazione di artisti, certamente l’anello più debole e meno tutelato del sistema dell’arte, i più colpiti dalla interruzione delle attività culturali ed espositive. La mostra ad esso correlata, dal titolo quanto mai attuale Resisting the Trouble. Moving Images in Time ofCrisis, è allestita e pronta ad accogliere i visitatori, appena sarà possibile, alla Manifattura Tabacchi.
Valentina Furian, 55, 2019, 1’53’’. Video installazione a due canali. Courtesy l’artista
Ma ci sono altre parole a cui sto pensando in questi tempi di semi-isolamento.
Fruizione: basata sull’esperienza insostituibile della condivisione sociale della cultura, si è adesso spostata in rete, strumento la cui modalità di visione, al di là di ogni demonizzazione, si è straordinariamente espansa nei mesi della chiusura permettendo di aumentare l’accessibilità ai contenuti dell’arte.
Libertà: perché oggi gli artisti, e noi tutti con loro, abbiamo bisogno di tempo e spazio per recuperare, procedere e immaginare un futuro.
Curiosità: che nessun lockdown potrà mai spegnere. Quella che ci ha spinto a guardare tantissimi film per arrivare a costruire una proposta con opere scelte tra la recente produzione internazionale: da una parte gli artisti in quanto autori dei film, dall’altra gli artisti come soggetto di osservazione da parte del cinema. Tra gli oltre 40 film disponibili in streaming sulla piattaforma Mymovies.it che trattano temi di attualità, dalla violenza domestica all’omofobia, dalle politiche post coloniali al nazionalismo, dall’impatto della tecnologia sul quotidiano all’ecologia, vi sono rimandi e assonanze che lo spettatore anch’esso curioso potrà scoprire costruendo il proprio percorso di visione e trovando risposte al proprio desiderio di contemporaneità.
Lo schermo dell’arte – Festival di cinema e arte contemporanea XIII edizione diretto da Silvia Lucchesi 10 – 14 novembre 2020 I film saranno visibili in streaming dall’Italia fino al 22 novembre https://www.mymovies.it/ondemand/schermodellarte abbonamento standard € 9,90
Resisting the Trouble – Moving Images in Times of Crisis mostra a cura di Leonardo Bigazzi prodotta con NAM – Not A Museum Firenze, Manifattura Tabacchi L’apertura prevista il 9 novembre è posticipata a causa delle restrizioni previste dal DPCM del 5 novembre
Lo schermo dell’arte è un progetto nato a Firenze nel 2008 dedicato all’esplorazione, all’analisi e alla promozione delle relazioni tra arte contemporanea, moving images e cinema. Tra gli artisti internazionali ospiti delle passate edizioni: Hito Steyerl, Isaac Julien, Omer Fast, Simon Starling, Alfredo Jaar, The Otolith Group, Phil Collins, Melik Ohanian, Adrian Paci, Sarah Morris, Shirin Neshat, Runa Islam, Roee Rosen, Yael Bartana, Hassan Khan, Peter Greenaway, Jeremy Deller.