di Riccardo Lami
Parlare di famiglia significa affrontare un argomento personale e intimo nella vita di ogni individuo, un tema a cui chiunque è legato secondo specifiche esperienze di rapporti e contesti. Come affrontato nella mostra Questioni di famiglia tenutasi a Palazzo Strozzi nel 2014, riflettere su come gli artisti trattano questo tema non comporta tanto domandarsi cosa sia la famiglia ai loro occhi: significa bensì investigare come essa svolga, oggi più che mai, un ruolo fondamentale nella vita di ognuno.
Il titolo della serie fotografica di John Clang Being Together (“Stare insieme”, 2010-2014) è un’espressione che risuona come quasi fuori luogo in questi giorni segnati da termini come isolamento, quarantena, distanziamento. Allo stesso tempo questa espressione sembra rispondere a una nostra urgenza profonda, mai come ora attuale: non essere soli, far parte di una “famiglia”, sia essa quella di origine sia quella che abbiamo scelto.
John Clang, Being Together (Family), 2010. Courtesy l’artista e Pékin Fine Arts, Beijing
John Clang, Yeo family (New York, Sengkang), 2010, Courtesy l’artista e Pékin Fine Arts, Beijing
La serie di Clang è costituita da oltre quaranta ritratti di famiglie i cui membri sono fisicamente separati tra loro, lontani a volte migliaia di chilometri. In ogni fotografia, attraverso l’utilizzo di una webcam proiettata in scala 1:1 su una parete, alcune persone sono in collegamento con il luogo in cui si trovano uno o più membri della loro famiglia. Tutte le fotografie sono scattate tramite collegamenti internet in diretta, come in una normale videochiamata, e tutti gli ambienti ritratti sono le reali abitazioni delle persone che vivono lontane dalle proprie famiglie. Sono soggiorni o camere da letto, stanze popolate di oggetti che esprimono la vita quotidiana. Ogni ritratto crea una sorta di “riunione di famiglia” nel non-luogo dell’immagine fotografica, facendo emergere una ricerca di identità e appartenenza ma anche, al contrario, un profondo senso di estraneità e alienazione.
John Clang, Goh family (Bellevue, Bedok), 2011, Courtesy l’artista e Pékin Fine Arts, Beijing
John Clang, Lim family (London, Upper Serangoon), 2012, Courtesy l’artista e Pékin Fine Arts, Beijing
Cruciale nel ritratto di famiglia è la tensione tra dimensione pubblica e privata, un elemento che sta alla base del lavoro dell’artista israeliano Guy Ben-Ner. Nel video Soundtrack (2013) Ben-Ner, i propri figli e alcuni amici creano una sequenza di immagini che vengono sovrapposte a una parte del sonoro del film hollywoodiano La guerra dei mondi. L’invasione aliena del film di Spielberg diviene la colonna sonora per una serie di improbabili eventi domestici. La forza dell’opera sta nella sua capacità di creare un cortocircuito tra realtà e immaginazione in cui la figura della famiglia diviene un luogo ambiguo, sicuro e pericoloso allo stesso tempo, fulcro della ironica follia che domina tutto lo svolgimento del video.
Guy Ben-Ner, Soundtrack, 2013
Courtesy l’artista e Pinksummer, Genova
Fin dagli anni Ottanta, in parallelo alla sua produzione su altri temi, il fotografo tedesco Thomas Struth ha lavorato alla serie Familienleben (“Vita familiare”), serie di ritratti nati da incontri specifici con famiglie di amici, colleghi o conoscenti colti nei rispettivi spazi domestici. Tipico di tutto il lavoro di Struth è il forte controllo formale che qui esalta la messa a fuoco di ogni singolo dettaglio: gli sguardi e le espressioni dei soggetti, il loro abbigliamento, lo spazio. Ciascuna opera diviene una sorta di lente di ingrandimento tramite cui far emergere la specificità ma anche il valore esemplare di ogni famiglia. Ai soggetti è richiesto di guardare direttamente in camera con il massimo di immobilità e concentrazione. «Niente bambini o bambine sorridenti, niente madri o padri allegri. Quello che mi interessa veramente è dare al pubblico un posto da osservare che sia un po’ incerto e, al tempo stesso, un po’ ambiguo».
Thomas Struth, The Falletti Family, Florence, 2005
De Pont museum of contemporary art, Tilburg NL
Ogni immagine presenta volti e contesti particolari, ma diviene anche modello per la chiara costruzione di ruoli, gerarchie, dinamiche. Citando quanto scrive Alois Riegl sul ritratto di gruppo olandese nel Seicento: «[Il ritratto di famiglia] non è né un’estensione del ritratto singolo né meccanica composizione di ritratti singoli in un quadro: esso è molto di più, la rappresentazione di una corporazione». Il singolo individuo rappresentato è definito dalla relazione con gli altri: essere il padre o la madre di, la figlia o il figlio di, e via dicendo. Parallelamente, chi osserva un ritratto di famiglia sembra quasi invitato a decodificare relazioni e parentele in funzione della propria realtà, ricollegando quelle immagini alla propria vita, ai propri legami, alla propria famiglia. A differenza di ritratti individuali o di gruppo in cui i soggetti rappresentati sono esaltati nelle loro caratteristiche uniche, il ritratto di famiglia non crea la rappresentazione di una realtà lontana o distaccata, bensì comune e, appunto, familiare.
Thomas Struth, Untitled (New York Family 1), New York, 2001, De Pont museum of contemporary art, Tilburg NL
Thomas Struth, The Richter Family 2, Cologne, 2002, De Pont museum of contemporary art, Tilburg NL
L’idea del ritratto di famiglia trova nelle opere di Nan Goldin una contrapposta rielaborazione. Celebre per un’impronta diaristica e fortemente realistica, il suo lavoro è sempre espressione di un legame inestricabile con la propria biografia. Nelle sue opere, la famiglia appare come il risultato un’esigenza esistenziale: «stare raggruppati insieme, basato sul senso di incompletezza del singolo individuo». La fotografia diviene uno strumento relazionale e la sua intera carriera diviene un viaggio per immagini di incontri e connessioni: «Non ho mai creduto che un solo ritratto possa determinare un soggetto, ma credo in una pluralità di immagini che testimoniano la complessità di una vita». Un forte senso di spontaneità si unisce a un rigoroso controllo formale che risulta evidente nell’uso della messa a fuoco, nella costruzione di piani prospettici ribaltati, nell’accurata composizione di luci e linee.
Nan Goldin, Guido with his mother, grandmother and shadow, Turin, 1999, Guido Costa Projects & Matthews Marks Gallery
Nan Goldin, My parents kissing on their bed, Salem, MA, 2004, Courtesy l’artista
In alcune immagini Nan Goldin crea un confronto generazionale all’interno di uno stesso gruppo familiare, in altre invece ritrae tabù come la sessualità dei genitori. Come lei stessa afferma: «Non credo che un solo ritratto possa esprimere ciò che una persona è». Le sue opere non hanno come scopo l’attestazione dell’identità di un soggetto, bensì l’affermazione di uno sguardo che testimonia una relazione umana, trasformandola in un ricordo che sopravviva al passare del tempo.
In copertina: John Clang, Tye family (Paris, Tanglin), 2012, Courtesy l’artista e Pékin Fine Arts, Beijing