Mentre è in corso di preparazione il convegno L’arte accessibile, Musei e progetti per persone con disabilità (Palazzo Strozzi, 10-11 novembre 2016) riusciamo a fare qualche domanda ad Irene Balzani del Dipartimento Educazione della Fondazione Palazzo Strozzi. Irene si occupa di varie attività tra le quali l’ideazione e organizzazione dei progetti di accessibilità, dedicati alle persone con disabilità, ai ragazzi con autismo, alle persone affette da Alzheimer, a chi se ne prende cura, agli educatori e agli operatori professionali.
Un programma intenso di incontri, visite e laboratori che rendono Palazzo Strozzi e le sue mostre un luogo accogliente e aperto a tutti.
Come hai iniziato a lavorare alla Fondazione Palazzo Strozzi?
Ho iniziato con una collaborazione al progetto Open Studios del CCC Strozzina quando ancora ero una studentessa dell’Università di Firenze. Accompagnare i visitatori a scoprire gli studi degli artisti in Toscana è stato il mio primo contatto con la Fondazione Palazzo Strozzi. Poi nel 2010, dopo aver passato una selezione, sono entrata a far parte del Dipartimento Educazione della Fondazione, inizialmente occupandomi dei progetti dedicati alle famiglie.
Puoi raccontarci cosa fa un Dipartimento Educazione?
Il lavoro del Dipartimento Educazione è molto vario: ci occupiamo di tutto quello che riguarda il rapporto tra le mostre e i visitatori. Con i miei colleghi Alessio e Martino progettiamo percorsi per le scuole, le famiglie, gli adulti e tutto il campo dell’accessibilità. “Accessibilità” è una parola fondamentale perché credo che il nostro lavoro consista principalmente nel rendere “accessibile” l’arte a chiunque voglia provare ad avvicinarvisi, creando progetti che aiutino a riflettere ma anche a divertirsi, e che inoltre abbiano una continuità nel tempo. All’interno del Dipartimento ogni giornata lavorativa è fatta da riunioni e momenti di scambio con gli altri colleghi della Fondazione, che si alternano alla gestione e alla conduzione di attività in mostra: oltre al coordinamento, una parte dei progetti viene infatti seguita direttamente da noi perché il contatto con le persone è fondamentale per non perdere di vista il senso del nostro lavoro.
Quale progetto ti ha appassionato di più?
Tra i progetti che ho seguito un posto speciale lo occupa A più voci, dedicato alle persone con Alzheimer e a chi se ne prende cura.
Nato nel 2011, il progetto si è sviluppato grazie alla collaborazione con educatori geriatrici specializzati e il confronto con loro mi ha arricchito moltissimo da un punto di vista personale e professionale, insegnandomi a valorizzare le potenzialità di ognuno. Partendo da questa esperienza sono nati progetti simili in tutta la Toscana e anche internamente ha dato l’avvio ad altri due programmi: Connessioni, dedicato alle persone con disabilità (fisica, psichica e cognitiva) e Sfumature, indirizzato a ragazzi con il disturbo dello spettro autistico.
Quale mostra di Palazzo Strozzi ti ha più ispirata nell’ideazione di una nuova attività?
Ogni mostra offre nuove ispirazioni, ogni opera dà infinite possibilità. Sicuramente gli artisti presenti nella mostra Da Kandinsky a Pollock. La grande arte dei Guggenheim hanno offerto spunti ricchissimi da questo punto di vista: l’idea che l’arte possa nascere dalla traccia di un gesto non del tutto controllato è stata d’ispirazione per trovare nuove forme di comunicazione che andassero oltre quella verbale.
Anche la mostra Ai Weiwei. Libero ha fornito nuove prospettive e insieme ai ragazzi del centro Casadasé – Autismo Firenze abbiamo lavorato alla progettazione di un percorso indirizzato ai loro coetanei. L’uso di un linguaggio contemporaneo e di mezzi a noi familiari ha reso questa idea più facilmente realizzabile.
Raccontaci qualcosa che la maggior parte delle persone ignora del tuo lavoro.
Credo che talvolta per le persone sia difficile rendersi conto quanto impegno ci sia dietro a ogni singola attività. Progettazione, studio, ricerca dei materiali, test di prova, rimodulazione, valutazione: è un lavoro complesso! Una professione che spesso non ha ancora un nome: ci chiamano mediatori, educatori, operatori per arrivare fino a nomi più fantasiosi… anche tra gli addetti ai lavori ancora non abbiamo trovato una definizione univoca.
In cosa è diversa la Fondazione Palazzo Strozzi sul tema dell’accessibilità rispetto ad altre realtà museali o espositive?
Palazzo Strozzi è uno dei centri culturali che investe maggiormente sui progetti dedicati a questo tema. Ogni settimana c’è un incontro di A più voci, due attività di Connessioni e una volta al mese una di Sfumature. È richiesta una grande attenzione e un investimento importante, non conosco altre organizzazioni a livello regionale ma anche nazionale che facciano altrettanto.
Che consiglio daresti a chi come te vuole lavorare nell’ambito dell’accessibilità nei musei?
Prima di tutto crederci, come in ogni cosa che si fa. Consiglierei inoltre di formarsi il più possibile andando nei musei e partecipando alle attività possibilmente anche all’estero (nel mio caso sono state molto importanti le esperienze formative fatte presso l’Ecole du Louvre a Parigi e alla School of the Art Institute of Chicago). Oltre a questo è fondamentale stare il più possibile a contatto con le persone e con l’arte. Si impara moltissimo se ascoltiamo; è sorprendente quante cose possa suscitare un’opera d’arte se ci concediamo il tempo di osservarla, sentirla, viverla.
Il 10 e 11 novembre si terrà a Palazzo Strozzi il convegno L’arte accessibile, Musei e progetti per persone con disabilità, cosa ti aspetti da questo incontro?
Ogni convegno che abbiamo organizzato (nel 2012 e 2014 sui progetti per persone con Alzheimer, nel 2015 dedicato al rapporto con la scuola) sono stati l’occasione per conoscere altre esperienze e scambiare idee, prospettive, sfide. Credo che anche il convegno di quest’anno possa essere una preziosa opportunità per condividere e costruire reti, oltre a servire come ispirazione per gli altri musei del territorio.
Quali sono le tue ambizioni per il futuro?
Domanda difficile… Direi continuare a lavorare divertendomi, e contribuire a creare una cultura sempre più aperta.