di Arturo Galansino
Dal 3 dicembre, grazie alla grande installazione di Marinella Senatore We Rise by Lifting Others, il cortile di Palazzo Strozzi torna a essere una piazza viva, un luogo di partecipazione e coinvolgimento. Durante questi giorni sono migliaia le persone che fotografano e condividono sui social network punti di vista, interpretazioni, visioni dell’opera di Marinella, alimentando una riappropriazione personale dello spazio di Palazzo Strozzi attraverso la fruizione di un’opera che ci propone, nel cortocircuito estetico con la forma della luminaria, frasi che richiamano all’empowerment individuale e collettivo.
Marinella pone alla base del suo lavoro le connessioni sociali che, innestate nel tessuto di una comunità, sono attivate con processi di partecipazione e di condivisione. Nel corso della sua carriera, i suoi progetti hanno coinvolto milioni di persone, da Venezia a Palermo, da New York a Johannesburg attraverso diverse modalità e dispositivi. A Firenze per Palazzo Strozzi, in un momento storico segnato dal distanziamento sociale, parte essenziale del progetto è stata la progettazione di workshop digitali che permettessero di unire le persone in una nuova idea di condivisione: non una trasposizione online di un’esperienza dal vivo, ma una forma nuova concepita appositamente per la dimensione digitale a distanza. Le frasi inneggianti all’idea di comunità e di sostegno reciproco dell’installazione del cortile sono un punto di partenza per i laboratori, pensati come un ulteriore livello di attivazione delle persone nel dibattito, nello scambio e nell’espressione di sé.
I workshop si concentrano sull’uso del corpo per una narrazione non verbale di idee, riflessioni e punti di vista: ogni persona diviene protagonista attiva ed è chiamata a seguire e interpretare le indicazioni coreografiche che nascono dal dialogo con l’artista e con le sue collaboratrici, le coreografe Elisa Zucchetti e Nandhan Molinaro, membri del collettivo berlinese ESPZ. Sono oltre 150 i partecipanti ai workshop, suddivisi in cinque gruppi di lavoro: studenti, educatori, utenti di centri diurni, detenuti, artisti e tante altre persone che negli ultimi anni hanno partecipato a varie iniziative di Palazzo Strozzi, che sono entrate a far parte della nostra comunità. A queste si aggiunge un sesto gruppo di soli quindici partecipanti, formato da ospiti di RSA, persone con Alzheimer in compagnia dei loro carer e familiari, persone che stanno vivendo con maggiori difficoltà i periodi di confinamento che hanno caratterizzato questo lungo 2020.
I partecipanti, tranne poche eccezioni, non hanno confidenza con la danza e questo tipo di workshop porta con sé una specifica sfida: utilizzare il corpo in movimento di fronte a uno schermo. Sono proposti piccoli esercizi di riscaldamento che si concentrano su azioni specifiche: respirare correttamente, liberare la mente, muovere una mano o un piede immaginando di avere una matita.
Gli esercizi permettono ai partecipanti di prendere confidenza con il movimento e con lo spazio. Il corpo diventa espressività, il mezzo per connettersi al proprio luogo fisico ma anche oltre lo schermo. Le coreografie nascono dall’interpretazione personale dei partecipanti di concetti e idee emerse dalla discussione con l’artista, e i singoli movimenti diventano espressione visiva e dinamica di un pensiero complesso.
Nella relazione tra partecipanti mediata dallo schermo del computer, e dalle tante “finestre” aperte su singoli mondi privati, l’immagine dei diversi partecipanti arriva così a restituire un’impressione di presenza quasi più forte, più libera e più efficace di quanto possa fare la sola dimensione verbale. I corpi incasellati nella griglia di Zoom danno forma a un movimento di insieme, fatto di assonanze e dissonanze, poetico e libero anche in virtù della sua spontaneità.
La libertà è un aspetto fondamentale dell’attività. «Forse è più semplice ballare davanti a un video che insieme a tanta gente, nel comfort della propria casa uno forse si sente più libero, più a suo agio», afferma infatti una delle partecipanti, Rossana. Ed è proprio la casa, la stessa in cui abbiamo passato la maggior parte del tempo in quest’ultimo anno, che dà un senso di sicurezza tale da permettere anche a chi non ha esperienza di proporsi liberamente in passi di danza di fronte a sconosciuti.
Gli esercizi coreografici permettono di dare sostanza a forme del pensiero che la sola parola non può permettere e riescono a creare comunità, adesione, aggregazione. Come afferma una partecipante, Lucia: «È stato un momento intenso. Mi sto regalando dei momenti per me, insieme a voi; è questa la cosa bella e importante. Anche se abbiamo un video, però vi sento, è come avervi qui. È incredibile come pensiamo tutti che il video e le cose digitali siano fredde e invece non lo sono». Nella dinamica coreografica ideata da Marinella fondamentale è infatti la dimensione del presente, del “qui e ora”, in cui le sue indicazioni ai partecipanti servono come stimoli e non come istruzioni, andando a favorire l’emancipazione affinché ciascuno di appropri delle indicazioni dell’artista in modo autonomo e libero.
Parole come quelle di Lucia testimoniano come un’esperienza possa includere persone con provenienza e abilità diverse per dare forma attraverso l’arte a quella comunità plurale e variegata che è al centro del lavoro dell’artista. Fine ultimo dell’attività non è infatti solo mettere in comunicazione persone diverse. Come sempre nel suo lavoro, Marinella attua un principio di “cura” delle persone e tra le persone, portando avanti una forma di arte partecipativa realmente aperta, entropica e permeabile, che di principio elude schemi aprioristici mirando all’ascolto e alla ricezione, sollecitando una attiva e libera creazione di relazioni e dinamiche umane e sociali. Le connessioni virtuali che si vengono a creare durante i workshop hanno uno spessore emotivo tangibile, forte, capace di attraversare la distanza imposta dallo schermo e le diverse capacità e possibilità di comunicazione di ognuno. Ed è in questo senso che persone con Alzheimer collegate da una RSA o dalla propria casa o detenute collegate dal carcere di Sollicciano diventano parte del progetto, protagonisti liberi, attivi, chiamati a un contributo individuale nella creazione di quest’opera collettiva.
Gli ultimi incontri del workshop sono previsti per la prima metà di gennaio. Si tratterà di un ultimo e fondamentale passaggio prima che l’artista possa dare forma a una restituzione che farà tesoro di tutte le attività svolte. Questa restituzione non sarà un punto di arrivo, bensì l’inizio di una ulteriore relazione con tutto il pubblico. Come dice la stessa Marinella Senatore: «Pensarsi comunità significa anche questo: persone che attivano altre persone. Pur non entrando in contatto direttamente, le istanze di ognuno di noi, nelle mani degli altri, filtrate da diverse memorie, autobiografie, desideri e pensieri, verranno portate a un risultato completamente diverso».
In copertina: Marinella Senatore, We Rise by Lifting Others, Installation view, Palazzo Strozzi, Florence, 2020. © Photography by Ela Bialkowska, OKNOstudio