di Ludovica Sebregondi
Ipocondriaco, lunatico, “al quanto selvatico e strano”, “ghiribizzoso” cioè capriccioso, “fantastico e solitario”, così ci viene descritto Jacopo Carucci, nato il 24 maggio 1494 a Pontormo (Puntormo o Puntorme), borgo prossimo a Empoli da cui ha tratto il soprannome. Secondo Vasari non “andò mai a feste, né in altri luoghi dove si ragunassero genti, per non essere stretto nella calca e fu oltre ogni credenza solitario”. Manifestava un carattere introverso anche nell’abitazione, un “casamento da uomo fantastico e soletario”, dove la camera da letto si raggiungeva per mezzo di una scala di legno che Jacopo poteva ritirare con una carrucola affinché nessuno potesse raggiungere la stanza a sua insaputa. L’edificio era posto in quella che allora si chiamava via Laura (oggi via della Colonna), e non aveva un prospetto ampio sulla strada, ma si apriva su un cortile interno dove Pontormo aveva un orticello (“comperai canne e salci per l’orto”), alberi da frutto (“la mattina posi quegli peschi”) e cercava refrigerio nella stagione calda (“domenica mattina stetti, subito levato che io fui e vestito, ne l’orto che era fresco”).
Cucina della casa natale di Pontormo. Foto Comune di Empoli
Un uomo, dunque, che non si sarebbe trovato a disagio nella situazione che stiamo vivendo oggi al tempo della quarantena: solitario, soprattutto durante la lunghissima reclusione durante il giorno tra i tavolati di un cantiere blindato, eretto nel coro della chiesa di San Lorenzo a Firenze dal 1546 fino alla morte, avvenuta il primo gennaio 1557. Di questo ultimo periodo, dall’11 marzo 1554, è testimonianza il suo diario manoscritto che fornisce informazioni non solo sull’attività artistica di Jacopo ma anche sul suo mondo e sulla sua epoca: insieme taccuino di lavoro, memoria autobiografica e fonte fondamentale di notizie sull’alimentazione del tempo.
Diario di Jacopo da Pontormo, 1554-1556,
Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, ms. Magl. VIII, 1490, c. 67r.
Nonostante il carattere introverso, Pontormo aveva cari amici: intellettuali e artefici, operai e imprenditori e poi i suoi allievi, come il preferito, Agnolo di Cosimo detto il Bronzino. Mangiava con loro a casa e alla taverna, scegliendo agnello, “migliaci e fegategli e ’l porco”, “fegato fritto d’agnello”, “porco lesso nel vino”, “vermicegli”, “pipioni lessi”, “uno germano”, “gallina d’India”, “pollo e vitella”, “colombacci”, “pollo e lepre”, “acegia” (cioè beccaccia) e “farciglioni” (uccelli acquatici), uno “rochio di salsiccia” e tordi. Si diceva felice per dei “crespelli mirabili”, oppure seccato quando un cibo cattivo gli provocava malessere: “la sera cenai un poco di carnaccia, che mi fece poco prò”.
Quando era solo si preparava brodo di castrone o testa di capretto (lessa o fritta), “curatella”, verdure come il “cavolo buono cotto di mia mano”, ma mangiava anche pane con fichi secchi e cacio, formaggio e baccelli o ricotta. Adorava le uova, cucinate “afrettellate” “nel tegame” o “in pesce d’uovo”, come la frittata veniva chiamata a Firenze per la forma, simile a quella dell’odierna omelette, e poi uova con piselli, asparagi o carciofi. La verdura rivestiva un ruolo importante: in parte la produceva nell’orto, il resto lo comprava al mercato, ma era “companatico”, cioè accompagnava il pane, base della dieta, sua come della maggioranza della popolazione.
Bacelli e pecorino. Photo James O’Mara/O’Mara Mc Bride
In occasione della mostra Pontormo e Rosso Fiorentino. Divergenti vie della “maniera”, tenutasi a Palazzo Strozzi nel 2014, Maschietto Editore ha pubblicato, con il Patrocinio della Fondazione Palazzo Strozzi, La tavola del Pontormo. Ricette di grandi chef: ingredienti senza tempo e suggestioni d’arte. Proprio in base alla considerazione che le materie prime della cucina toscana non sono cambiate in cinque secoli, è stato chiesto a diciannove famosi cuochi della regione una ricetta che avesse come base ingredienti citati da Pontormo nel Diario. Diciannove cuochi professionisti e un personaggio speciale, Padre Sisto Giacomini, bibliofilo e restauratore di libri, che ha offerto la ricetta, nella tradizione della Certosa del Galluzzo alle porte di Firenze, della Trota al bianco d’uovo con foglie di maggiorana e fiori di borragine
Eviscerare una trota, lavarla e farcirla con uno spicchio d’aglio e un rametto di rosmarino; cuocere alla brace e sfilettare. Mettere in un tegamino un po’ d’olio extra vergine Ipg toscano e unirvi il bianco dell’uovo, salare, aggiungere un po’ di foglie di maggiorana e fiori di borragine. Aggiungere i filetti della trota e cuocere finché il bianco dell’uovo si rapprende.
La preparazione voleva evocare le parole del Diario di Pontormo: “Domenica fumo adì 10 detto: desinai con Bronzino e la sera a hore 23 cenarne quello pesce grosso e parechi picholi fritti che spesi soldi 12, che v’era Attaviano; e la sera cominciò el tempo a guastarsi ch’era durato parecchi dì bello senza piovere”.
Padre Sisto Giacomini alla mostra Pontormo e Rosso Fiorentino, davanti alla Visitazione di Pontormo (1514-1516), Photo James O’Mara/O’Mara Mc Bride
In copertina: Pontormo, Autoritratto, particolare della Deposizione, 1526-1528, Firenze, Chiesa di Santa Felicita, Cappella Capponi