L’arte dell’essere e l’essere dell’arte di Manuela Barbarossa

Il non visibile suscita da sempre un profondo interesse. Non più del visibile, questo non lo si può affermare. Ma lo suscita in forma affatto differente, lasciando intravvedere l’idea o fors’anche la speranza che, in quanto non visibile, possa essere più rivelatore e illuminante dell’essere.

Tuttavia, il visibile, anche se tale, non è detto che… lo si veda. O meglio. Lo sguardo che coglie il visibile è un momento di un tutto, una sorta di percezione “fermo immagine”, poiché la sola funzione visiva, non connessa a una struttura complessa sentimentale, ideativa e simbolica, non è in grado di dirci nulla di più di ciò che vediamo. Quello che vediamo non è poco, certo. Ma vediamo ciò che è nel suo mostrarsi. Nel venire a noi.

La strutturazione linguistica ci consente di identificare quello che vediamo attraverso il nome. Le parole e le cose. O più precisamente L’Ordre des choses, “L’ordine delle cose” di cui ci parla Foucault, dove la rappresentazione della cosa è sempre il suo essere ciò che è. Ma la capacità di rappresentare laldiladelladiqua, scritto rigorosamente tutto attaccato, come oramai propongo da tempo, e scandendo la parola con un unico respiro, ci consente anche di cogliere il non visibile in quanto parte integrante dell’universo tutto.

La psicoanalisi, la filosofia e prima ancora la produzione artistica, ci hanno insegnato che il non visibile produce il suo effetto attraverso il visibile. Spesso in forma eclatante, fantastica, violenta e come tale disarmante. Come nell’arte. Altre volte in modo più silente, ma non meno incisivo, come nei sogni notturni, quella fantastica produzione onirica che ci avvicina al mondo degli Dei e alla stessa realizzazione artistica. O nei lapsus. Ancora di più, nei sintomi. Il sintomo quale emergenza dell’essere è un venire alla luce e rappresenta la punta di un iceberg che fuoriesce ma nello stesso tempo si rivela celandosi nella sua forza significante.

Il non visibile della psicoanalisi esalta e qualifica il visibile, lo eleva sottraendolo alla “funzione visiva” tout court, al factum brutum. Lo sottrae al qui ed ora. Alla letteralità. Alla pochezza strumentale della reificazione, consegnandolo alla magica forza del simbolico. Eccolo laldiladelladiqua! Scritto rigorosamente tutto attaccato, che consente l’emergere di un sapere che è una sorta di “logosantilogos”. Sempre rigorosamente tutto attaccato. Si, perché “neltuttoattaccato” l’effetto scenico, fonico, ideativo impatta e offre un sussulto emotivo non indifferente. Offre l’idea. Offre la cosa non cosificata.

Tracey Emin. Thriving on Solitude (det.), 2020. JHA Collection © Tracey Emin. All rights reserved, DACS 2025

Nell’arte assistiamo alla potenza trasformativa e prorompente del simbolico che accompagna il non visibile in un percorso che gli consente di essere ciò che è. E lo fa esaltando il visibile. Una sorta di metafisica della forma. Il non visibile non è infatti ciò che non si vede. É ciò che, pur vedendosi, non si mostra. Il non mostrarsi, monstrum, è il celarsi che va portato alla luce.

Arte e psicoanalisi che spesso si intrecciano portano alla luce connettendo attraverso il simbolico il particolare all’universale. Nella psicoanalisi il sintomo è quel particolare di un universale, come la punta dell’iceberg che si diceva. Nell’arte è la rappresentazione estetica dell’essere, nelle sue declinazioni. Siamo al cospetto metaforicamente della mitica trasmutazione del piombo in oro. L’oro, il non visibile, emerge. Si mostra. Viene alla luce. Nella potenza trasformativa e disvelativa dell’alchimia il simbolico trova una sorta di apoteosi e irrompe.

L’intensità risolutiva e medianica della psicoanalisi eleva a concetto ciò che non si mostra ma che esiste, e questo passaggio affonda le proprie radici nel mondo pulsionale e sensitivo, nel vortice delle passioni dell’anima e del corpo. Attraverso un atto di comprensione intuitiva e rapiti da un sentimento fondativo di noi stessi ci traghettiamo come Caronte nell’aldiladelladiqua.

Il simbolico non va confuso con l’etereo o con l’indefinito. Come si è detto, il non visibile che si vede ma non si mostra, eleva il visibile sottraendolo alla fenomenica presenza. Il non visibile, il simbolico, il particolare che dice di sé dell’universalità dell’essere, che lo sottende, è una sorta di formula alchemica che trasmuta il piombo in oro. Il corpo è alchimia. La vita è alchimia. Per Freud l’Io corpo con il quale veniamo al mondo e sentiamo il mondo e attraverso il quale siamo nel mondo, nel suo essere ciò che è, è anche altro da sé. Visibile e non visibile nel corpo si fondono. Non vi è necessità di precisare che oltre al corpo vi è un’anima. Il corpo è anima, come l’anima è corpo. Nessuna giustapposizione, ma appartenenza.

E così la potenza della psicoanalisi, come la potenza dell’arte è quella di utilizzare ancora oggi e per sempre la scrittura geroglifica quale strumento di comprensione dell’essere. Segni potenti scolpiti nellanimacorpo. Azioni, scene di quotidianità, di guerra, di morte, di natura, d’amore, figure che descrivono attraverso un universo simbolico l’esistente nella sua plastica verità. Un sogno, un sintomo, una tela, una scultura da guardare e interpretare come un antico muro egizio nel quale si consegna un sistema di scrittura del visibile e del non visibile, che eleva il visibile a forma dell’essere informandolo di sé.    

Tracey Emin. A Different Time – May 2020 (det.), 2020. Stiftung Der bewohnte Garten, Pullheim © Tracey Emin. All rights reserved, DACS 2025

Il simbolico è potente. Sovverte l’ordine costituito della ragion d’essere del Logos, trasformandola nell’essere che trova ragione. Facendo emergere anche il suo lato oscuro. Oscurato. Oscurante. Nulla di più trasgressivo. Il ritrovamento del senso passando attraverso gli antichi geroglifici dellanimacorpo, dellaldiladelladiqua.

Il ritrovamento del senso attraverso il simbolico è fortemente rivoluzionario e mostra l’incanto del mondo, fungendo da passaggio tra l’umano e il divino. Tra il visibile e l’invisibile. Il simbolico diventa l’“arma” della rivoluzione che consente di fondare quel Sono Io identitario attraverso il ritrovamento del significato. Il significato non è un preciso contenuto stigmatizzato o ideologicamente orientato. Ma una condizione esistenziale di apertura all’invisibile. Una predisposizione. Una velocità della luce che illumina. Una parola. Un’immagine. Un suono.

L’alchimia trasformativa del simbolico è raccontata egregiamente da Paulo Coelho nel suo libro L’Alchimista, dove si racconta la storia di un giovane pastore in cerca di un tesoro. È la rappresentazione di un viaggio metafora dove il tesoro è l’anima del mondo, la cui scoperta consente di ricongiungersi con sé stessi. Questa alchimia trasformativa del simbolico è un fondamento fondativo dello sviluppo della coscienza creativa dell’esistenza.

Ma vi è anche il contraltare del simbolico che può trasformarsi nel buio dell’anima, nel disincanto prodotto dell’alienazione, dall’essere fuori di sé… dalla perdita di senso, della mortificazione dell’essere e che, come dice Adorno, fa amare la prigione, le inferriate rappresentate dalla finitezza del concreto, scambiato e frainteso come realtà. Il contraltare del simbolico, il suo lato oscuro e oscurante è dato infatti dalla fatticità che annovera tra le sue non doti, per dirla con lo stile di Alice del paese delle meraviglie il dominio, il desiderio di dominare. Il potere, la forza di piegare il mondo e la natura. Di dominare l’altro. E per farlo tutto deve essere ridotto a cosa cosificata. Il primato dell’oggettivazione funzionale celebra il possesso alienato del mondo e dell’altro, nell’imposizione di un Io artefatto, di un Io sono narcisistico, che vorrebbe piegare e possedere l’essere del mondo.

Diablo, un personaggio di un fumetto Marvel, grazie a una forte alleanza con Mefisto, essere demoniaco, diventa immortale. Acquisisce poteri e capacità uniche di creare pozioni alchemiche, invenzioni geniali per mutare gli oggetti in oro, dare anima alla materia, controllare e dominare le menti. Sentimenti di potere, di immortalità di un corpo fuori di sé, estraneo al suo stato naturale, esorcismo della caducità, sono suscitati dall’assenza di una percezione rispettosa della vita che vive e che si realizza e nella quale la materia è percepite e intesa, ancora una volta fraintesa, come mera “cosa” senza… anima. E infatti, uno dei poteri di Diablo è proprio quello di dare anima, animare la materia. Che tracotanza! Animare la materia come se essa già non avesse la propria di anima. Come se l’anima non fosse già sua. Nessun animismo oltre datato, ma riconoscimento dell’altro fuori di sé e del suo diritto di esistenza a prescindere.

Ancora una volta il concetto di anima deve essere letto in forma simbolica, l’unica in grado di dare suggerimenti suggestivi di ciò che, pur non essendo del tutto comprensibile, capiamo. In assenza del simbolico, quale passaggio tra il visibile e l’invisibile, il corpo si perde ed è ridotto a carne, l’animale è merce da macello, la natura è sfruttamento, privata di anima. La vita è una “cosa” e si realizza in un accumulo di “cose”. Tutto è silenzio.

Tracey Emin. 5 Hours Long – With you in my mind (det.), 2020. Collection of Michelle Kennedy and Richard Tyler © Tracey Emin. All rights reserved, DACS 2025

Nelle opere di Tracey Emin si tocca con mano il suo irresistibile e irrefrenabile bisogno di porre in essere questa mancanza, questa riduzione a cosa del corpo, della vita e di urlare al mondo la violenza prodotta dall’imporsi di un visibile reificato, privato della sua essenza metafisica. Del suo non visibile. E in un mondo che riduce tutto a “carne da macello”, espressione che proprio nella sua potenza simbolica irrompe nelle tele dell’artista, si sprofonda in quella solitudine che diviene perdimento. L’amore forse potrebbe ridefinirci. Forse. 

Resta che l’assenza del simbolico nello sviluppo dell’individuo, il suo annullamento e la sua mortificazione produce la manipolazione ideativa, affettiva, sessuale, pulsionale e sociale. La sua assenza incita al dominio dell’essere umano sulla natura e sull’altro ridotto a cosa. Lo stesso dominio si rivela essere un impulso presimbolico che produce la cosificazione dell’essere, dove l’oggetto è tale e vissuto nella sua unica funzione reale. Tutto è funzionale e privato del suo rappresentare se stesso e altro da sé. L’assenza di simbolico è il tocco del male. Quel tocco del male rappresentato egregiamente in un movie del 1998, che mette in risalto come il male, inteso come assenza di bene, passi attraverso l’annullamento dell’identità, il possesso dell’altro, del suo corpo ridotto a strumento, a veicolo del non essere. É quella riduzione dell’essere ad un Io asfittico, a un corpo di cui l’altro si appropria.

Credo che non vi sia scultura più potente e in grado di “redimere” il tocco del male della Pietà di Michelangelo. Già la parola pietà apre a un mondo di magia di sentimenti e di sensazioni che portano altrove dall’essere dove sei. Rappresentante di quel potentissimo simbolico che, pur attraversando la morte e la sofferenza, apre alla vita mostrando un corpo inerme abbracciato. Un corpo vivo nel suo non esserlo, perché amato, in grado di dare luce al buio del dolore infinito.

Vi è del resto uno strettissimo rapporto tra il simbolico del mondo, le sue fantastiche creature e la pietas. Lo ripeto. L’amore forse potrebbe ridefinirci. Forse. La possibilità di accedere ad un universo di significati e di significanti, di sentire la vita propria e dell’altro attraverso il non visibile visibilissimo allo sguardo del sentimento dell’essere, consente al simbolico di respirare di vita propria. Tutto ciò ci conduce su un sentiero dell’oltre. Del c’è altro…

Su un sentiero di significazione, di fantasia, di poesia, di arte, di ricerca di senso e del conforto che non è mai abbastanza, e che offre la possibilità di affermare che c’è altro. Che cosa questo sia, poco importa. Le sue declinazioni saranno ciò che saranno. Importante è l’esserci altro. Non c’entra la credenza, la fede, la speranza, ma solo il fatto che c’è altro da qualche parte, dietro l’angolo. E il mondo a Dio piacendo ha sempre un… dietro l’angolo. Pur essendo tondo!

Abbandonate la strada maestra, le grandi strade e prendi i sentieri, diceva Pitagora. Ecco che dunque l’arte, il sogno, la fantasia, la scrittura i colori trasformano i lati oscuri in luce e ti indicano quale sentiero percorrere in compagnia di te stesso incontrando l’Altro. Ciò non significa che il sogno, l’arte o la poesia, il fantasticare, il gioco eliminino il dolore, ma che il dolore, la difficoltà, il pianto, assumono una posizione affatto differente: vengono sottratti al signore del male che tutto reifica e oscura, e consegnati a un mondo di super eroi.

Manuela Barbarossa è psicoanalista. Ha collaborato con la cattedra di Filosofia Morale II dell’Università degli Studi di Milano, con ricerche sul pensiero simbolico in seguito pubblicate. Già docente presso la Scuola Superiore di Formazione di Psicoterapia e Psicosomatica di Cremona, ha fondato PRISMA (l’Accademia di studi filosofici, psicoanalitici, sociali e di teoria critica in memoria del Prof. Luciano Frasconi).

In copertina: Tracey Emin. The Kiss (det.), 2020. Collection by Kenny Schachter © Tracey Emin. All rights reserved, DACS 2025

Ferita ad amore di Annalisa Ambrosio

In italiano si può usare l’espressione “ferito a morte” per intendere che il guasto sarà fatale e che la ferita, appunto, non si rimarginerà. L’arte di Tracey Emin fa pensare a una particolare rivisitazione dell’espressione “ferita a morte”: non più “ferita a morte” ma “ferita ad amore”. Per capire che significa occorre fare un passo indietro.

Se c’è un elemento che pure uno sguardo non particolarmente esperto può notare e che accomuna molte delle opere di Emin, è un’aria di “deposizione”. E la deposizione, nel senso comune, altro non è se non il momento in cui un corpo si arrende alla gravità e alle altre forze che governano il mondo, quelle indipendenti dalla sua volontà, com’è capitato con il corpo di Cristo calato dalla croce, la più nota e iconica delle deposizioni.

In realtà, però, la deposizione è anche un fatto di ordine fisico, che riguarda ogni materia liquida: è la formazione del sedimento nel liquido, la sua trasformazione. Ciò che capita a una ferita quando inizia a chiudersi, al colore quando si aggruma, a una composizione quando dopo molto smontare e rimontare anch’essa si arrende a una forma di fissità e si placa in un codice, lo stesso capita alla lava dei vulcani, persino alle gocce d’acqua, che a un certo momento evaporano lasciando solo un deposito sulla superficie che prima le ospitava. Nella deposizione si può intravedere qualcosa come un grido (forse non a caso uno degli artisti più importanti nel percorso di Tracey Emin è stato Edward Munch), la traccia sonora e materica di quello che di una ferita rimane quando smette di sanguinare.

Degli arti di bronzo, scomposti, che si sa dove iniziano ma non dove finiscono, dei materiali di pittura sparsi per terra, un paesaggio di colore che si è spento andando in cerca degli angoli, corpi con le gambe aperte che respirano dopo essere stati lasciati soli o in attesa di non esserlo più. Ogni volta sembra che questo grande disordine ora immobile sia il frutto di una precedente esplosione di vita, proprio come la solitudine dopo il sesso: la deposizione è il momento subito dopo rispetto alla vita, la zona del suo svuotamento, il frangente in cui ne restano esposti i pezzi all’aria.

Tante delle opere di Emin hanno questo aspetto potentissimo di grandi ferite che si sono appena stabilizzate, e perciò ora sono capaci di dare luogo a un fatto, di raccontare una storia. La storia di ciò che c’è stato un passo prima, quando il sangue pulsava ancora, ma anche la storia della pace che c’è adesso.

Tracey Emin. All I want is you (det.), 2016. Bruxelles, Xavier Hufkens Gallery © Tracey Emin. All rights reserved, DACS 2025

Fra tutte le ferite possibili, com’è fatta quella causata dalla sofferenza amorosa? O dalla solitudine, cioè dell’assenza di amore? Il sentimento di innamoramento e quello di amore possono creare sofferenza per svariate ragioni, alcune di ordine culturale, che è possibile smorzare socialmente rendendo sempre più aperto, flessibile e accogliente il concetto di “amore realizzato”, non riconducendolo quindi a un’unica forma possibile troppo idealizzata ed elevata di relazione amorosa, sulla falsariga della fiaba romantica in cui due persone si incontrano e poi vivono insieme per sempre, innamorati e felici dal primo fino all’ultimo giorno. Oltre alla sofferenza di stampo sociale che si può provare se l’ideale amoroso condiviso non corrisponde alla vita che si vive, però, esiste un genere di sofferenza più metafisica e originaria che è legata al sentimento d’amore in modo ineludibile: l’esposizione continua alla violenza del caso.

L’amore intensifica e rende ancora più visibile una qualità della vita che è la sua instabilità, il fatto che non possiamo controllarla, deciderla, pianificarla, se non entro certi limiti. Non si può amare a comando, non si può essere amati a comando, non si può fare che le persone amate corrispondano all’immagine che ne abbiamo o che ne abbiamo avuto. La solitudine maggiore, più insopportabile, è quella di chi comprensibilmente aspetta di essere amato: l’attesa che l’amore arrivi, o l’attesa di una persona in particolare, di “un” amore. È questa una condizione del tempo in cui ciò che fa impazzire chi attende è la cognizione che: “non c’è niente che si possa fare”. A differenza delle altre faccende del mondo, l’amore nella gran parte dei casi si sottrae del tutto alla regola della buona volontà, per cui la fatica, l’impegno, il lavoro o lo studio praticati con costanza bastano per arrivare a ottenere il risultato. Mentre in amore, spesso, niente che si può fare assicura il risultato. Da questa impossibilità di agire deriva il sentimento di solitudine, che non può essere mascherato da un fare, perché non c’è una corrispondenza tra le iniziative che si mettono in atto e quanto si viene amati.

George Simmel ha definito ogni amore un’“avventura” proprio perché consiste nella maggiore apertura al caso e all’imprevisto che riusciamo a descrivere: naturalmente anche le nostre singole vite sono continuamente esposte al caso, alla possibilità della morte o della ferita, ma siamo spesso immersi in uno scenario di costante rimozione di questa eventualità, della morte in particolare; quando si tratta invece dell’amore la rimozione è più complessa: anziché dimenticare se ne parla, si fa strategia, perché l’amore travolgente, a differenza della morte che non è in discussione, può sempre sorprenderci e arrivare anche se avevamo perso le speranza.

E poi c’è il corpo. Un corpo che la ferita d’amore fa sentire inutile, o sbagliato, un corpo freddo che deve essere conservato per l’amore. È il corpo il grande territorio sul quale si consuma lo spettacolo della sofferenza amorosa, non tanto o non solo per via della solitudine sessuale (dopotutto non è detto che sesso e amore vadano di pari passo), ma soprattutto perché il corpo ci mostra a suo modo lo scorrere del tempo e quindi sa quanto è passato dall’ultima volta che ci siamo sentiti amati.

@traceyeminstudio, foto pubblicata su Instagram il 14 febbraio 2025

C’è un post sul profilo Instagram ufficiale di Tracey Emin, che risale al 14 febbraio: nella foto c’è una rosa rossa su un tavolo che ospita un quaderno di disegni e dei tubetti di pittura nera, in sottofondo un letto bianco e sfatto. L’artista scrive nel testo sotto l’immagine che non sa da chi ha ricevuto quella rosa, ma che l’ha fatta sentire bene. Aggiunge che il giorno di San Valentino è stato spesso stato occasione di pensieri estremamente dolorosi per lei, un giorno speciale alla rovescia in cui si sentiva davvero sola, più precisamente nel contrasto: «So much talk of love and I felt alone». Poi qualcosa è cambiato. Dopo che è stata malata, il senso di gratitudine per la vita ha prevalso rispetto alla percezione della solitudine.

Lo dice in una sola frase perfetta: «I never feel alone now… I feel warm and calmer». Qui c’è il non sentirsi più da soli come l’avvento di un tepore e di una calma maggiore, come la capacità di riuscire a godere del bene che arriva senza commisurarlo ad altri più inaccessibili gradi di amore.

È proprio questo, forse, l’insegnamento che l’arte di amare può dare con il passare degli anni, delle esperienze o delle solitudini: la “ferita ad amore” è quel genere di sofferenza che tutti vivono quando stanno esposti continuativamente alla paura di perdere, di essere delusi o trattati male, di non trovare, di restare soli. Ma a differenza della “ferita a morte”, la “ferita ad amore” non è la fine, perché in fondo a quella paura, a quel dolore, esiste la possibilità dolce di entrare in contatto con un sentimento maggiore, che corrisponde proprio all’amore per sé stessi, o meglio per la forma di vita che continua a scorrere dentro di noi. Proprio il non rimarginare completamente la ferita della nostra fragilità, passionalità, finitezza consente all’amore di manifestarsi ancora e ancora.

Per Erich Fromm, filosofo e psicoanalista, l’autore del famoso L’arte di amare, il fondamento di ogni amore è esattamente l’amore verso la vita. Un simile motore originario consente di dare all’amore più forme, se non tutte le forme a disposizione: «A volte penso alle relazioni umane come a qualcosa di morbido tipo la sabbia o l’acqua, cui diamo forma versandole in un determinato recipiente», scrive Sally Rooney nel romanzo Dove sei, mondo bello, e più avanti: «Magari certe amiche infelici sarebbero state perfettamente appagate come sorelle, o certe coppie sposate come genitori e figli, chissà. Ma come sarebbe costruire una relazione senza alcun tipo di forma prestabilita? Limitarsi a versare l’acqua e lasciarla cadere».

Certamente tra le strade che può prendere l’amore per la vita c’è anche l’arte.

In questo caso, pensando alle opere di Emin, sono le calcificazioni delle ferite a produrre gli oggetti artistici. La sofferenza viene deposta per accedere a quello che resta: amuleti potenti sparpagliati per il mondo, che parlano di sesso e di solitudine, ma non solo, anche di tutte le forme di amore che dal caos sono venute e che ancora devono venire.

Tracey Emin. Everything is moving nothing Feels Safe. You made me Feel like This (det.), 2018. Private collection c/o Xavier Hufkens Gallery © Tracey Emin. All rights reserved, DACS 2025

Annalisa Ambrosio ha studiato Filosofia e dal 2022 dirige Academy, laurea triennale in Scrittura della Scuola Holden di Torino, di cui è stata allieva. Per Zanichelli ha curato l’antologia di italiano La Seconda Luna (2018). Il suo ultimo saggio, L’amore è cambiato, è uscito per Einaudi nel 2025.

In copertina: Tracey Emin. Hurt Heart (det.), 2015. Melbourne, ACAF, Collection by Yashian Schauble, Australia © Tracey Emin. All rights reserved, DACS 2025

Una nuova fase di Arturo Galansino

Nel marzo del 2020, mentre il mondo si trovava sospeso in un tempo incerto, nasceva In Contatto, un ponte virtuale tra Palazzo Strozzi e i suoi pubblici. Il blog del nostro sito web si è trasformato in un luogo di riflessione e condivisione in cui l’arte è diventata una chiave di lettura del presente e uno strumento per immaginare nuovi futuri. Quel primo ciclo di articoli, nato in risposta all’isolamento imposto dalla pandemia, ha dimostrato come il dialogo con le opere, gli artisti e le idee possa trascendere i confini fisici, trasformandosi in esperienza di riflessione collettiva.

Nel tempo, In Contatto ha continuato a evolversi, attraversando nuove fasi e adattandosi alle sfide e alle opportunità del presente. È stato uno spazio di approfondimento e sperimentazione, in cui la voce dell’istituzione si è intrecciata con quella di curatori, ricercatori, professionisti, ma anche di giornalisti, scienziati e artisti, arricchendo il racconto delle mostre e dei progetti di Palazzo Strozzi.

Tomás Saraceno. Aria, Palazzo Strozzi, Firenze, 2020. Foto Ela Bialkowska, OKNOstudio.

Oggi, il blog si rinnova ancora una volta. Dal 19 febbraio 2025, In Contatto inaugura una nuova fase, rafforzando il suo ruolo di piattaforma di connessione tra la nostra istituzione e le persone che lo vivono, lo visitano o semplicemente lo osservano da lontano. Palazzo Strozzi diventa un crocevia di esperienze, un luogo in cui le voci si moltiplicano e i punti di vista si intrecciano.

Questa trasformazione si traduce in un ampliamento delle prospettive e dei contenuti, che continueranno a ruotare attorno alle mostre e ai progetti di Palazzo Strozzi, ma con un respiro ancora più ampio. Gli articoli esploreranno le opere e le poetiche degli artisti, mettendole in relazione con contesti culturali, storici e sociali sempre diversi. Approfondimenti inediti si affiancheranno a racconti personali, interviste e dialoghi con figure del mondo dell’arte e della cultura, in un mosaico di narrazioni che riflettono la complessità del contemporaneo.

Il cuore di In Contatto rimane il suo essere uno spazio aperto e condiviso, capace di accogliere sguardi molteplici e di creare connessioni. Il blog non è solo un archivio di idee, ma un luogo vivo, in cui il pensiero sull’arte si fa esperienza condivisa. Qui troveranno spazio riflessioni critiche, suggestioni poetiche, racconti di esperienze personali e incursioni nei processi creativi, mantenendo sempre saldo il legame tra il Palazzo, i suoi visitatori e il mondo che lo circonda.

Palazzo Strozzi, Firenze. Foto Ela Bialkowska, OKNOstudio.

Con questa nuova fase, In Contatto si propone come un osservatorio in continuo movimento, un laboratorio di idee che si alimenta dell’incontro tra chi crea l’arte, chi la racconta e chi la vive. Perché l’arte è, in primo luogo, relazione: con lo spazio, con il tempo e, soprattutto, con le persone. Ed è proprio attraverso questa rete di connessioni che il blog continua a crescere, fedele alla sua identità originaria ma sempre pronto a esplorare nuove direzioni. Benvenuti in questa nuova fase di In Contatto: uno spazio per pensare, scoprire, confrontarsi. Un luogo per rimanere – sempre di più – in contatto.

In copertina: Palazzo Strozzi, Firenze. Foto Ela Bialkowska, OKNOstudio.

Memorie, ricordi, tradizioni e raccolte Martino Margheri

Negli ultimi anni le mostre di Palazzo Strozzi sono diventate il terreno di confronto per giovani artisti, critici e graphic designer delle principali accademie d’arte della Toscana. Sfruttando il potenziale educativo dell’arte, decine di studenti hanno avuto l’opportunità di mettersi in dialogo con le opere di importanti artisti del passato come Donatello o Verrocchio, e contemporanei come Maurizio Cattelan, Damien Hirst, Barbara Kruger, Yan Pei-Ming. Questi incontri hanno permesso lo sviluppo di ricerche in ambito visivo e critico seguendo precisi percorsi tematici. Tra marzo e giugno 2024 ottanta studenti provenienti dall’Accademia di Belle Arti di Firenze, Accademia di Belle Arti di Carrara, Accademia Italiana, California State University, Fondazione Studio Marangoni, Istituto Marangoni Firenze e LABA – Libera Accademia di Belle Arti, si sono confrontati con il complesso e stratificato rapporto tra Storia e memoria, utilizzando il lavoro di Anselm Kiefer come punto di partenza. Memory Containers è il progetto nato da questo incontro.

Who controls the past now controls the future. Who controls the present now controls the past.

Come si forma la Storia e come l’arte può renderla visibile? Cos’è importante ricordare e cosa far cadere nell’oblio? Quanto la riflessione sul passato può influenzare e incidere sul nostro futuro? Nella nostra epoca coesistono radicali polarizzazioni: da una parte il fenomeno della cancel culture ha avviato un processo di rimozione di immagini, personaggi e simboli scomodi, basato sulla revisione della Storia secondo i valori morali e culturali contemporanei, dall’altra viviamo con l’ossessiva necessità di registrare quello che facciamo e diciamo in ogni momento. Tutto quello che conserviamo – parole, immagini ed esperienze – deve essere archiviato, in modo da garantire una copia del nostro presente, accessibile in un ipotetico futuro. La mole di questa memoria immateriale è tale che si progettano e realizzano immensi data center, le sedi fisiche dei server che contengono tutti i nostri dati digitali.

Queste sono state le prime riflessioni sul tema della memoria condivise con i docenti e gli studenti, il passaggio successivo è stato quello di approfondire il tema dei “contenitori di memoria” attraverso il rapporto con l’arte di epoche diverse, un percorso tra pittura, scultura, video e installazione finalizzato ad approfondire diverse prospettive sul tema. Siamo partiti con l’incisione di Piranesi La colonna Traiana, abbiamo ripercorso la storia dell’iconico dipinto La zattera della Medusa di Théodore Géricault, per passare a osservare il tema della Storia in una dimensione più concettuale e contemporanea tramite le sculture CITTÀDIMILANO e Clessidra di Giorgio Andreotta Calò e Le teste in oggetto di Rossella Biscotti presentate nella mostra al Museion di Bolzano dal significativo titolo L’avvenire non può che appartenere ai fantasmi – ripreso da una citazione del filosofo francese Jaques Derrida. Il video Rich Cat Dies of Heart Attack in Chicago di Fernando Sánchez Castillo è stata l’ideale prosecuzione del percorso, ci siamo poi addentrati in alcune opere particolarmente significative, presentate a Palazzo Strozzi in occasione della mostra Reaching for the Stars (2023), come 9/12 Front Page di Hans Peter Feldmann e Return to the World di Adrián Villar Rojas che proprio nel catalogo della mostra affermava: “E se potessimo vedere e pensare noi stessi – l’umanità – da una prospettiva aliena? Distaccata, senza pregiudizi, persino amorale? E se potessimo vedere e pensare noi stessi dall’estremità del nostro percorso compiuto?” Abbiamo chiuso citando la grande mostra di Damien Hirst Treasures from the Wreck of the Unbelievable a Palazzo Grassi e Punta della Dogana del 2017, in cui erano esposti decine di reperti risalenti a un passato affascinante, ma mai esistito.

Questi approfondimenti si sono arricchiti con i talk degli artisti Aleksandar Ðuravčević e Marco Mazzoni che hanno condiviso alcuni snodi concettuali della loro ricerca perfettamente in linea con il nostro tema, suggerendo ulteriori approcci.

Abbiamo proseguito con letture condivise e con l’immancabile visita alla mostra Anselm Kiefer. Angeli caduti a Palazzo Strozzi. Per incentivare lo scambio tra tutti gli studenti e innalzare la qualità della ricerca, abbiamo fatto un’esperienza di revisione collettiva durante la quale i giovani artisti si sono confrontati con i docenti delle varie accademie coinvolte; suddivisi in tavoli di lavoro i partecipanti hanno condiviso l’avanzamento del proprio lavoro aprendo un dialogo critico con i colleghi e i docenti.

Gli studenti avevano un solo vincolo (oltre, ovviamente, all’aderenza al tema) quello di sviluppare un progetto da presentare nelle pagine del magazine Microcosmo Palazzo Strozzi, la pubblicazione annuale che la Fondazione Palazzo Strozzi dedicata alle attività educative rivolte alle scuole e alle accademie d’arte.

Memory Containers nasce quindi dal confronto con la mostra dedicata ad Anselm Kiefer a Palazzo Strozzi, si articola in vari momenti di approfondimenti e trova la sua restituzione finale in un magazine dove si susseguono progetti artisti e testi critici, il tutto impaginato seguendo le intuizioni di un gruppo di studenti di grafica.


Durante la selezione dei progetti per Microcosmo Palazzo Strozzi ci siamo resi conto di alcuni temi ricorrenti ed elementi di continuità tra le proposte, abbiamo pertanto deciso di creare cinque sezioni in cui raggrupparle: Memorie familiari, Ricordi alterati, Dispositivi di memoria, Tradizioni e simboli e Raccolte. Ogni sezione propone una particolare chiave di lettura del tema e offre una classificazione dei contenuti (visivi e testuali) suggerendo percorsi di senso.  

La versione completa del magazine è scaricabile da qui

Di seguito gli estratti di alcuni progetti delle diverse sezioni

ANNA RATAJCZYK, Memorie di un bosco

Sono cresciuta sulle macerie dei ricordi. La mia infanzia è satura di rimembranze, ne è stata impregnata. Racconti di guerre, rivolte, migrazioni, spostamenti, scomparse: le storie vivevano in me, crescevano, affondavano le radici negli abissi del passato. A volte queste spuntavano timidamente fuori, allora andavano potate, e ciò provocava dolore. […]Nel mio racconto per immagini affronto il tema del tempo sospeso. Parlo di ordini dell’amore spezzati, e della permanenza della memoria come del più potente lenitivo contro il senso di caducità, del ricordare come modo di rimanere cuciti al tessuto della vita.

SOFIA LUNARDI, Memorie di una vita

Immaginate di perdere qualsiasi tipo di memoria, come se milioni di foto e video archiviati in anni finissero poco per volta in un backup involontario e il nome di chi avete amato e amate non avesse più un volto, a quel punto il vostro vissuto non vi apparterrebbe più e la vostra personalità nemmeno; sareste un contorno, un frammento di voi stessi, e anche il vostro volto non esisterebbe più, perché non ne ricordereste la fisionomia.

PIETRO FAZZINI, Camera mentis

La fotografia è come un deposito di memoria così come lo è la nostra mente: per questo penso alla nostra mente come a una camera oscura. Camera mentis comincia da qui, e prende le mosse dalle riflessioni suscitate dalla lettura di alcuni testi. A ispirarmi in particolare è stato il concetto di “Tempo sferico” introdotto dal filosofo italiano Andrea Emo e ripreso dal fisico Carlo Rovelli nel suo libro L’ordine del tempo. Come spiega Rovelli, in una visione sferica il tempo non è una freccia che punta dal passato verso il futuro, ma piuttosto un cerchio, dove ogni istante è equidistante dal centro. In questa sfera temporale, passato, presente e futuro coesistono simultaneamente, intrecciati in un eterno presente…

KEXIN HU, Rinascita

Le pietre bruciate dalle fiamme simboleggiano la rinascita dopo le sofferenze e le difficoltà, mentre le antiche scritture sono portatrici della storia e delle memorie collettive di diverse civiltà, che conservano il loro valore e il loro significato nonostante il passare del tempo. […] Non si tratta solo di un omaggio al passato, ma anche di un monito per il futuro, per ricordare che, nonostante il tempo porti con sé cambiamenti e sfide, la vera essenza della cultura e della memoria storica permane.

MARCO CHIESA, C.d.M.

C.d.M. è la storia del Quartiere 2 di Firenze, oggi. “Qual è la tua storia qui?” è stata la domanda posta a tutti, allo stesso modo, capace di strappare la memoria dal suo contenitore, costringendola a manifestarsi nel flusso dell’inchiostro. Si tratta di una memoria collettiva, di comunità, che ha ragione di esistere tanto nell’insieme quanto nel singolo. La Storia è fatta di storie, e questo progetto vuole esserne un esempio.

Memory Containers è stato realizzato con la collaborazione dei docenti: Giovanna Bianco, Walter Conti, Davide Daninos, Franco Fiesoli, Elmar Giacummo, Matteo Innocenti, Domenico Antonio Mancini, Lucia Minunno, Veronica Montanino, Mara Nerbano, Dario Orlandi, Miriana Pino, Marco Raffaele, Roberto Rocchi, Chiara Ruberti e Marsha Steinberg.

Il progetto, insieme al magazine, sono stati presentazione il 18 luglio 2024 a Palazzo Strozzi nella sala conferenze della Strozzina.

Un nuovo anno di Plurals Martino Margheri

Giugno è un traguardo impegnativo per tutti gli studenti: ultimi giorni di scuola, ultimi compiti, interrogazioni riparatorie e la classica preoccupazione per i risultati di un lungo anno di studio. La scuola è in chiusura e si tirano le somme di quanto è accaduto, di tutte le esperienze fatte e di tutto quello che si è imparato. Nei pensieri di 14 studenti del Liceo Alberti-Dante di Firenze del Liceo Virgilio di Empoli quest’anno c’è un posto riservato anche a Plurals il progetto di PCTO (Percorsi per le Competenze Trasversali e l’Orientamento) organizzato dalla Fondazione Palazzo Strozzi, che hanno appena concluso.

A novembre i nostri “plurals” hanno mosso i primi timorosi passi nelle sale di Palazzo Strozzi, esplorato la mostra dedicata ad Anish Kapoor e settimana dopo settimana familiarizzato con un luogo che conoscevano solo come visitatori. Il progetto Plurals ha permesso loro di scoprire il “dietro le quinte” del mondo dell’arte e di compiere un percorso formativo in un’istituzione culturale di livello internazionale. Guidati da educatori museali professionisti in un percorso di conoscenza del lavoro di Palazzo Strozzi, gli adolescenti sono stati coinvolti nella vita dell’istituzione e hanno contribuito alla programmazione delle attività della Fondazione per i propri coetanei.

Disseminare una metodologia

Ogni anno ci troviamo davanti alla sfida di raccontare cosa rimane di questa esperienza, dei pomeriggi trascorsi insieme ai ragazzi e di tutto il lavoro svolto nelle mostre e nei laboratori di Palazzo Strozzi. Plurals, infatti, si rinnova sempre: cambiano le mostre su cui lavoriamo e cambia il gruppo di studenti e studentesse con cui costruiamo una relazione e sviluppiamo i nostri progetti. Ciò che rimane invariato è il nostro impegno nel rendere Palazzo Strozzi un luogo familiare e stimolante, dove i giovani visitatori possano sentirsi a proprio agio e maturare un’esperienza fuori dal contesto scolastico.

Gli obiettivi sono chiari, ma siamo anche consapevoli che ogni gruppo ha la sua dinamica, le sue resistenze e le sue potenzialità. Questo fa sì che un progetto articolato in 30 appuntamenti settimanali subisca delle variazioni in corso d’opera adattandosi alle necessità del gruppo. Scegliamo approcci diversi con cui condurre gli incontri, cambiamo direzione rispetto a quanto inizialmente immaginato, avviamo collaborazioni con artisti che possano potenziare il nostro lavoro.

L’elemento cardine è l’acquisizione di senso di responsabilità, spirito di squadra e rispetto per il lavoro altrui, mutuato dal nostro modo di lavorare a Palazzo Strozzi.

La novità della settimana

Negli ultimi tre anni i “plurals” hanno condiviso sulle pagine di tre pubblicazioni (Diario Plurals, Microcosmo 2023, Microcosmo 2024) le loro parole e immagini, alternando le proprie voci alla narrazione ufficiale del progetto di PCTO della Fondazione. L’annualità appena trascorsa è stata raccontata prendendo spunto da una modello di lavoro che si è consolidato settimana dopo settimana. Tra novembre 2023 e giugno 2024 abbiamo creato un piccolo rito collettivo settimanale che ci ha aiutato a creare una dinamica di gruppo: prima di iniziare a lavorare ci siamo sempre presi 15 minuti per condividere la novità più significativa della settimana appena trascorsa. Dai primi momenti carichi di imbarazzo siamo passati a dettagliati resoconti di quanto accaduto nelle nostre vite. La “novità della settimana” è diventata un appuntamento fisso che ha permesso di creare rapporti di amicizia e facilitare il lavoro condiviso. Data l’importanza di questo momento è stato suggerito dai ragazzi di strutturare la parte del magazine dedicato a Plurals con la stessa modalità. L’andamento del racconto del progetto all’interno del magazine “Microcosmo 2024” segue infatti due linee del tempo che si muovono in parallelo. La prima sezione racconta quello che è accaduto nella vita di Palazzo Strozzi – il progetto Senza adulti  visite guidate autogestite da ragazzi per ragazzi, la realizzazione del Kit Teenager, la creazione di “Microcosmo 2024”, il workshop con l’artista Matteo Giuntini – la seconda presenta in ordine cronologico gli eventi più significativi nella vita dei ragazzi.

Mentre a Palazzo Strozzi lavoravamo sulle mostre di Anish Kapoor e Anselm Kiefer nelle vite del nostro gruppo di adolescenti accadeva molto altro: c’è chi si iscriveva a scuola guida, chi decideva di tingersi i capelli di rosso, chi festeggiava i diciottesimi degli amici, chi trascorreva una notte in bianco per consegnare un disegno in tempo, chi si tatuava per la prima volta.

Il workshop con l’artista Matteo Giuntini ci ha permesso di trasformare le “novità della settimana” in una costellazione di immagini che restituiscono un diverso andamento del tempo nella vita delle ragazze e dei ragazzi che si somma a quello che stava accadendo a Palazzo Strozzi.

Nella realizzazione del magazine i “plurals” hanno deciso di raccontare alcuni dei momenti più importanti del loro percorso collettivo e personale: di seguito alcuni estratti raccontati direttamente da loro.

29 novembre
Inizia Plurals

È stato il primo incontro del progetto Plurals a Palazzo Strozzi. Le aspettative erano alte e non sono state deluse. Ci siamo incontrati nel laboratorio insieme alle ragazze dell’altra scuola, durante la presentazione abbiamo condiviso qualcosa che ci piace e qualcosa che non ci piace per iniziare a conoscerci. Il pomeriggio è proseguito visitando la mostra Anish Kapoor. Untrue Unreal che è piaciuta molto a tutti, anche se inizialmente non avevamo compreso il significato di alcune opere. È stata una bella giornata, tornata a casa ero soddisfatta e pronta a intraprendere questo nuovo percorso che mi incuriosiva molto.

Sara

13 dicembre
La novità della settimana

Era il nostro terzo incontro e per conoscerci meglio abbiamo introdotto la “novità della settimana”. Allora non sapevo che questo momento si sarebbe trasformato in un piccolo rito settimanale, tanto importante da caratterizzare il nostro percorso nei mesi successivi. Eravamo tutti disposti in cerchio, Azzurra e Martino hanno iniziato a raccontare un momento per loro significativo della settimana appena trascorsa, per poi passare a noi la parola, invitandoci a fare lo stesso. Non sapevo proprio cosa dire, in una settimana accadono tantissime cose, eppure in quel momento mi pareva di non ricordare niente. Alla fine ho barato raccontando un evento che non rientrava in quella settimana, ma che era il più significativo di quel periodo: sono diventata zia!
All’inizio per quasi tutti era difficile e c’era un po’ di tensione. Non mi andava tanto di condividere qualcosa con semi sconosciuti e ogni volta pensavo attentamente a cosa raccontare. Settimana dopo settimana il clima è cambiato e le varie novità divenivano sempre più personali: tutti abbiamo iniziato a parlare di ciò che volevamo sempre più liberamente, senza porci troppi problemi.

Chiara T.

20 dicembre
Il progetto Senza adulti (Anish Kapoor)

Abbiamo iniziato a parlare della serata Senza adulti, un evento durante il quale avremmo raccontato un’opera della mostra alle persone in visita a Palazzo Strozzi. Nonostante l’ansia generale per il grande giorno, c’è stato confronto e collaborazione nella scelta delle sale e nella composizione delle coppie. Io ho scelto di lavorare con Sara e abbiamo deciso di presentare Gathering Clouds, un’opera interessante e piena di significato, nonostante si tratti di un’installazione apparentemente semplice. Abbiamo scritto le cose più interessanti da dire che avevamo scoperto durante gli incontri precedenti, come ad esempio l’illusione visiva che si crea guardando l’opera.

Alice

31 gennaio
Abbiamo visto la mostra di Anselm Kiefer in anteprima

La giornata è stata memorabile grazie alle due attività che hanno segnato l’inizio di una nuova fase creativa. Le opere di Kiefer viste in anteprima mi sono sembrate maestose, nonostante si trattasse solo di una proiezione. Vedere la mostra prima dell’apertura ufficiale ha reso l’esperienza ancora più speciale. Abbiamo anche incontrato l’illustratore Simone Spellucci che ci ha spiegato il processo di creazione dei Kit Teenager, sottolineando l’importanza della ricerca e della sperimentazione. È stato affascinante scoprire le evoluzioni dei vecchi Kit e il lavoro dettagliato dietro il progetto. Il sentimento predominante della giornata è stato un mix di eccitazione, curiosità e meraviglia. L’eccitazione per l’inizio di un nuovo capitolo creativo, la curiosità per le attività future e la meraviglia per le opere di Kiefer e il lavoro di Spellucci.

Lina

13 marzo
La versione finale del Kit Teenager

Siamo finalmente arrivati alla versione finale del Kit Teenager, la guida alla mostra realizzata appositamente per i nostri coetanei! Dopo diversi incontri e revisioni abbiamo raggiunto un risultato che ha soddisfatto tutti. Durante la fase di progettazione abbiamo analizzato gli elementi che compongono i Kit: la copertina, il formato, i contenuti dedicati alle opere, le parole chiave e le domande che avremmo voluto rivolgere ai lettori.
Abbiamo optato per un formato utilizzabile in modo semplice con una scrittura lineare. Nonostante ci fossero idee discordanti, quando Martino ci ha inviato la versione finale eravamo tutti entusiasti!

Anna

Un anno di lavoro

Nell’anno scolastico 2023-2024 hanno partecipato quattordici studenti del Liceo Alberti-Dante di Firenze e del Liceo Virgilio di Empoli. Per otto mesi i ragazzi e le ragazze hanno frequentato settimanalmente Palazzo Strozzi durante le mostre Anish Kapoor. Untrue Unreal (7 ottobre 2023 – 4 febbraio 2023) e Anselm Kiefer. Angeli caduti (22 marzo – 21 luglio 2024). Il programma espositivo di Palazzo Strozzi ha permesso agli studenti di confrontarsi con la varietà dei linguaggi artistici contemporanei e di sperimentare la relazione e alcune tecniche di mediazione con tipologie di opere diverse.

Il progetto Plurals è stato coordinato da Martino Margheri e Azzurra Simoncini
Nell’anno scolastico 2023-2024 hanno partecipato gli studenti del Liceo Alberti-Dante di Firenze e del Liceo Virgilio di Empol:Pietro Apicella, Anna Borrelli, Maria Virginia Giglioli, Sara Fiasconi, Daniela Liu, Luna, Locatelli, Giulia Maestrini, Ginevra Manzi, Chiara Mencaroni, Alice Morelli, Agata Sardelli, Chiara Talini, Sofia Triregno, Li Na Zhang.
Con la collaborazione delle insegnanti Daniela Demichele e Letteria Giuffrè Pagano

L’artista come critico

Nel suo saggio presente nel catalogo della mostra Anselm Kiefer. Angeli caduti edito da Marsilio Arte, il filosofo Maurizio Ferraris, professore ordinario di filosofia teoretica nella facoltà di lettere e filosofia dell’Università di Torino, riflette sul tema del ruolo del critico nell’arte contemporanea, alla luce delle implicazioni filosofiche e letterarie, con particolare attenzione all’opera di Anselm Kiefer.

Il postmoderno ci ha abituati alla figura del critico come artista, che espone in primo piano la propria figura, trasformando l’artista in una figura subalterna e variamente sostituibile. Se l’opera vale, è per le parole del critico che lo introduce nel mondo dell’arte, conferendo senso a ciò che non necessariamente ne aveva, o perché era volutamente superficiale, o perché era ironica, o ancora perché era la citazione di altre opere. Come una guida, ma più ancora come un domatore da circo, mescolando provocazione e sussiego, il critico dava voce all’opera e spiegava perché dovevamo apprezzarla.

Kiefer capovolge questa visione. È l’artista che prende il posto del critico, che spiega se stesso al proprio interlocutore, forte del proprio sapere, anche accademico. Nel corso degli anni gli sono state conferite diverse lauree honoris causa in filosofia e ha alle spalle studi incompiuti di giurisprudenza prima di dedicarsi completamente all’arte, da non disgiungere da una conoscenza eclettica e propriamente faustiana:

« Habe nun, ach! Philosophie, / Juristerei und Medizin, / Und leider auch Theologie / Durchaus studiert, mit hei.em Bemühn. / Da steh ich nun, ich armer Tor!»
«Filosofia ho studiato, / diritto e medicina, / e, purtroppo, teologia, / da capo a fondo, con tutte le mie forze. / Adesso eccomi qui, povero illuso, / e sono intelligente quanto prima».

Johann Wolfgang von Goethe, Faust, 1832
Anselm Kiefer. Angeli caduti, Palazzo Strozzi, Firenze, 2024 © Anselm Kiefer. Foto Ludovica Arcero, SayWho

Dati questi presupposti, Kiefer propone appunto un capovolgimento del postmoderno. Non è il critico che spiega l’opera con un dominio totale e onnisciente, non è lui che conferisce il senso ma, proprio al contrario, il critico diventa un detective che risale il fiume, alla ricerca di un artista che è il massimo critico di se stesso, e di cui il critico si fa tramite e narratore. Attraverso questo capovolgimento, l’opera critica si trasforma in un viaggio iniziatico in cui l’interprete ha il solo ufficio di narratore di un percorso che si spiega da solo.

Kiefer, l’artista, non abbisogna di intermediari, perché si espone e si autocomprende con una maestà wagneriana, nei due siti, Barjac e Croissy, entrambi in Francia, in cui presenta le sue opere: come delle Bayreuth senza spettatori ma attraversati in ambo i casi dallo spirito del colossale. Rispetto all’autore, il critico si presenta appunto come un narratore, impegnato alla scoperta di un uomo e di un’opera. Non è difficile trovare delle risonanze letterarie in questo atteggiamento: dopotutto, il critico è Marlow in Cuore di tenebra, il testimone secondario ma essenziale che si spinge alla scoperta di qualcosa e di qualcuno che ha, nel cuore, un mistero e il ricordo dell’orrore. Gli analoghi letterari di questa postura, di questo avvicinamento per gradi al mistero sono molti, e si spingono molto lontano e vanno da Jonathan Harker in cammino verso il castello di Dracula a Paul Celan in visita alla baita di Martin Heidegger a Todtnauberg. Ma, oltre che testimone e ricercatore, lo spettatore è anche discepolo, e qui l’analogia possibile è il giovane Nietzsche che visita la casa di Wagner a Tribschen, presso Lucerna. Che cosa si trae da questa visita del cosmo di Kiefer trasposto nel Palazzo Strozzi?

Anselm Kiefer a Croissy. © Anselm Kiefer. Foto Davide Corona, SayWho

Prima di tutto un concetto, quello della vertigine della lista. Kiefer accumula oggetti, li classifica, così come classifica le influenze culturali più ricche e disparate. Oggetti, tecniche, edifici, installazioni e, ovviamente, quadri composti in uno stile inconfondibile e caratterizzati, su tutti, dalla forte presenza della scrittura, carica di evocazioni simboliche. Kiefer lo dichiara esplicitamente: non crede nell’arte pura; e, inversamente, proprio come Wagner criticato da Nietzsche, ritiene che l’arte debba sempre andare al di là dell’arte. Le direzioni di questo oltrepassamento sono due, il mistero e la storia.

Anselm Kiefer. Angeli caduti, Palazzo Strozzi, Firenze, 2024 © Anselm Kiefer. Photo Ela Bialkowska, OKNO Studio

Quanto al mistero, è uno degli elementi più presenti e pregnanti nell’opera di Kiefer. Con un anagramma un po’ sghembo, l’atelier diventa l’alethier, il luogo dove, da un fondo di nascondimento, si manifesta la verità, alètheia, nel greco di Heidegger. Il porsi in opera della verità di cui parla Heidegger in una celebre conferenza del 1935 che, tra l’altro, è densa di significati politici, dal momento che si richiama insieme all’antichità classica e alla grande manifestazione nazista di Norimberga del 1935, voluta da un abile regista come Albert Speer, che allora era l’architetto di Hitler ma che negli ultimi anni della guerra ricoprì la carica di ministro per gli armamenti del Terzo Reich. E non è un caso che alle architetture e anche agli interni di Speer Kiefer dedichi un’attenzione speciale. È un modo essenziale per fare i conti con la storia.

Anselm Kiefer. Angeli caduti, Palazzo Strozzi, Firenze, 2024 © Anselm Kiefer. Photo Ela Bialkowska, OKNO Studio

Il terzo elemento è la catastrofe, che forse è il tema più costante e segreto nella vita e nell’opera di Kiefer, cresciuto in una Germania fatta di rovine, che però lui legge retrospettivamente come possibilità: tutto è vago, tutto è friabile, tutto è possibile. Sono queste rovine, con la loro apertura, la loro gigantesca indeterminatezza, che alimentano una parte della poetica di Kiefer che in questo si fa carico di ciò che Karl Jaspers chiamò «la colpa tedesca». Qui trova risonanza un trauma non troppo nascosto, la nascita nel 1945, l’esperienza di città tedesche ridotte a filamenti e rovine: «Per me è la cosa più edificante in assoluto. Non riesco a distogliere lo sguardo. È così meraviglioso perché è l’inizio, dove tutto è possibile». Non la fine ma, appunto, un altro inizio, e le rovine sono per Kiefer «la cosa più bella che ci sia».

Anselm Kiefer. Angeli caduti, Palazzo Strozzi, Firenze, 2024 © Anselm Kiefer. Photo Ela Bialkowska, OKNO Studio

Leggi il saggio completo nel catalogo della mostra Anselm Kiefer. Angeli caduti disponibile al bookshop di Palazzo Strozzi, in libreria oppure negli store online.

In copertina: Anselm Kiefer a Croissy. © Anselm Kiefer. Foto Davide Corona, SayWho.

Il Tour de France passa da Palazzo Strozzi Sabato 29 giugno il Grand Départ passa da via Strozzi

Per la prima volta nella sua storia, il Tour de France partirà dall’Italia con tre giornate speciali dal 27 al 29 giugno 2024 a Firenze. Anche Palazzo Strozzi è incluso nell’itinerario del Grand Départ fissato per sabato 29 giugno 2024: un evento di rilevanza mondiale che vedrà i ciclisti attraversare il cuore della città, coinvolgendo buona parte del centro storico.

La carovana partirà dal Villaggio presso il Parco delle Cascine all’incirca alle ore 12.00 in modalità non competitiva e raggiungerà piazza della Signoria, dove si fermerà per uno avvio istituzionale, prima di iniziare il vero e proprio percorso di gara di 206 km che da Firenze porterà i ciclisti fino a Rimini.

Accesso a Palazzo Strozzi il 29 giugno 2024

Il percorso del Tour de France del 29 giugno 2024 interesserà buona parte del centro di Firenze, inclusa via Strozzi, adiacente a Palazzo Strozzi. Per garantire il passaggio degli atleti e la sicurezza degli spettatori, l’intera via Strozzi e i suoi marciapiedi rimarranno interdetti al passaggio per tutta la durata dell’evento. All’incrocio tra via Strozzi e via Tornabuoni sarà garantito uno dei varchi pedonali di attraversamento del percorso di gara.

Dalla mattina di sabato 29 giugno 2024 e fino alla fine della manifestazione, il portone di via Strozzi rimarrà chiuso. L’accesso a Palazzo Strozzi sarà possibile esclusivamente attraverso i portoni di via Tornabuoni e piazza Strozzi.

La mostra Anselm Kiefer. Angeli caduti rimarrà aperta con il consueto orario dalle 10.00 alle 20.00 (ultimo ingresso un’ora prima della chiusura).

Consigli utili in occasione del Grand Départ

Il Grand Départ del Tour de France è un evento eccezionale che attrae appassionati di ciclismo e curiosi da tutto il mondo. Dal 27 al 30 giugno 2024, la viabilità del centro storico subirà notevoli modifiche e il flusso di persone può essere notevole.

Per visitare la mostra Anselm Kiefer. Angeli caduti consigliamo di:
– utilizzare i mezzi pubblici e prediligere gli spostamenti a piedi
per raggiungere Palazzo Strozzi, poiché il traffico veicolare sarà fortemente limitato;
– considerare maggior tempo di percorrenza per raggiungere la mostra e di arrivare da via Tornabuoni o piazza Strozzi;
– seguire le informazioni sui canali ufficiali del Comune di Firenze e del Grand Départ del Tour de France per ulteriori modifiche e variazioni.

Ci scusiamo per eventuali disagi nei giorni del Grand Départ e vi ringraziamo per la comprensione. Non vediamo l’ora di accogliervi a Palazzo Strozzi e di contribuire allo spettacolo imperdibile della corsa ciclistica più famosa al mondo.

Creazione e caduta

Nel suo saggio presente nel catalogo della mostra Anselm Kiefer. Angeli caduti edito da Marsilio Arte, il teologo, filosofo e sociologo Klaus Dermutz, riflette sul tema degli “angeli caduti” nelle opere della mostra, alla luce delle implicazioni filosofiche, letterarie, con particolare attenzione alla cultura tedesca.

Dio non è mai stanco […] di negarsi.

Andrea Emo

Creazione e caduta degli angeli, entrambe sono avvenute il primo giorno.
Nella Prima Scolastica (circa 800-1200) la concomitanza della creazione di Dio con la caduta degli angeli è una dottrina importante, considerata addirittura il primo atto della creazione. Dante fa propria questa teoria e nella Divina Commedia scrive: «Né giugneriesi, numerando, al venti», contando, non arriveresti a contare fino a venti, che Lucifero, con la sua superbia, ha già istigato una schiera di angeli a ribellarsi.

Anselm Kiefer. Angeli caduti, Palazzo Strozzi, Firenze, 2024 © Anselm Kiefer. Photo Ela Bialkowska, OKNO Studio

La rivolta innesca una violentissima controversia tra Dio e Lucifero. Il “portatore di luce” viene cacciato dal Paradiso e scaraventato sulla Terra, dove diventa il principe delle tenebre. Da una gigantesca collisione è scaturito anche l’elemento chimico utilizzato per il fondo dorato del dipinto di grande formato Engelssturz (Caduta dell’angelo) che, nel cortile di Palazzo Strozzi, apre la mostra Angeli caduti. Lo studio di Ralph Dutli, Das Gold der Träume. Kulturgeschichte eines göttlichen und verteufelten Metalls (L’oro dei sogni, storia culturale di un metallo divino e maledetto, 2020), tratta dell’origine di questo metallo “eterno”:

L’oro è uno straniero sulla Terra. Non è di quaggiù, è un inserto proveniente da corpi celesti lontani. È nato dalla collisione di stelle di neutroni: è un relitto di soli morenti. È penetrato nella crosta terrestre con le meteoriti. L’oro è dunque lo splendente frutto di collisioni catastrofiche. Nel giugno 2013, in una galassia distante 3,9 miliardi di anni luce, gli astronomi hanno osservato un lampo gamma, probabilmente causato dallo scontro tra due stelle di neutroni. Hanno calcolato che ciò potrebbe aver dato luogo fino a dieci masse lunari (735 triliardi di chilogrammi) di oro, che sono state scagliate nell’universo. Anche il nostro oro terrestre è […] nato così.

Anselm Kiefer. Angeli caduti, Palazzo Strozzi, Firenze, 2024 © Anselm Kiefer. Photo Ela Bialkowska, OKNO Studio

Il tema degli “angeli caduti” prosegue nella prima sala con Luzifer (Lucifero, 2023). La domanda che sorge in relazione agli angeli puri e agli angeli ribelli è da dove derivi il loro grande fascino, intatto ancora oggi. Nel suo studio Der Engel in der Moderne. Eine Figur zwischen Exilgegenwart und Zukunftsvision (L’angelo nell’età moderna. Una figura tra presente da esule e visione del futuro, 2022), Lena Zschunke spiega che il loro fascino deriva

dalla tensione esteticamente comunicata tra gerarchia e sovvertimento con cui l’angelologia ha dovuto fare i conti. La modernità specifica degli angeli risiede proprio nella loro incommensurabilità e nella loro posizione ambivalente tra ordine e minaccia dell’ordine, purezza e ibridismo, virtù e sovvertimento, bellezza e mostruosità.

In Engelssturz e Luzifer, Kiefer si avvicina a tali incommensurabilità e modernità adottando un fondo dorato pervaso di punti e particelle nere e scrivendo i nomi di due angeli: Lucifero e il nome in ebraico dell’arcangelo Michele – “Chi è come Dio?”. In Engelssturz, il titolo dell’opera si legge in corrispondenza della punta dell’ala sinistra, mentre sopra l’ala destra è riportato il nome in ebraico dell’angelo Michele. Si rimane sbigottiti quando, nel caos della distruzione nell’angolo in basso a destra, si vede un occhio nel frammento fotografico di un volto che ci guarda. In Luzifer, nel margine superiore del quadro, dopo il nome che dà il titolo all’opera sono stati apposti due punti, seguiti da לֵאָכיִמ (mîḵāʾēl) in maiuscolo. Lo stesso nome si trova anche sul lato inferiore dell’ala rovinata di un aereo precipitato che sporge nella sala.

I lavori presentati a Firenze si concentrano su tre temi fondamentali: la questione dell’inizio, l’esperienza della rottura e la domanda sulla possibilità che la rottura verificatasi all’inizio possa essere riparata alla fine dei tempi.

Anselm Kiefer. Angeli caduti, Palazzo Strozzi, Firenze, 2024 © Anselm Kiefer. Photo Ela Bialkowska, OKNO Studio

Nell’installazione En Sof (L’Infinito, 2016), Kiefer, grazie all’alchimia del vetro, stratifica in una teca i miti della creazione, l’uno nell’altro.

Sul pavimento scuro vi sono dei frammenti che rimandano alla “rottura dei vasi”, alla Shevirat ha-Kelim nella cosmogonia del mistico ebraico Isaak Luria (1534-1572). Dopo lo Tzimtzum, l’autoritrazione di Dio, si produce uno spazio in cui confluiscono le dieci Sephirot: incapace di reggere l’energia emanata, la metà dei vasi si infrange. Su una scala di legno che si regge da sola sono affissi quattro cartelli, che indicano con quattro parole la nascita della creazione dall’En Sof, dalla realtà di Dio al di là delle Sephirot: leggendo dall’alto verso il basso sono: Atziluth (Emanazione), Beriah (Creazione), Yetzirah (Formazione) e Assiah (Azione). La scala potrebbe essere interpretata come quella di Giacobbe, che unisce la trascendenza con la materialità del mondo creato. Su questa semplice scala di legno, tuttavia, non si vedono né angeli né loro rappresentazioni, solo un serpente si inerpica tra i gradini. Nell’Antico Testamento il serpente è l’animale più intelligente e scaltro, porge la mela a Eva e, con il suo aiuto, convince Adamo a mangiare dall’albero della conoscenza.

Anselm Kiefer. Angeli caduti, Palazzo Strozzi, Firenze, 2024 © Anselm Kiefer. Photo Ela Bialkowska, OKNO Studio

Leggi il saggio completo nel catalogo della mostra Anselm Kiefer. Angeli caduti disponibile al bookshop di Palazzo Strozzi, in libreria oppure negli store online.

In copertina: Anselm Kiefer. Angeli caduti, Palazzo Strozzi, Firenze, 2024 © Anselm Kiefer. Photo Ela Bialkowska, OKNO Studio.

Un medium pittorico per la scultura: le superfici riflettenti di Anish Kapoor

Nel suo saggio presente nel catalogo della mostra Anish Kapoor. Untrue Unreal edito da Marsilio ArteDiane H. Bodart, Maître de conférences di Storia dell’arte moderna all’Università di Poitiers, rilegge le opere specchianti di Kapoor all’interno della lunga disputa sul paragone tra le arti, che tanta letteratura ha prodotto in epoca rinascimentale.

Le sculture specchianti di Anish Kapoor, ampliate alla scala urbana, sfidano le proprietà fondamentali dei monumenti pubblici. Per le dimensioni colossali nonché per la durezza e il peso dei materiali di realizzazione, i monumenti pubblici sono in genere destinati a rimanere saldamente ancorati al suolo, imponendo la loro visibile e costante presenza come qualcosa di inamovibile e immutabile. Presunto vettore di eternità, nel corso della storia hanno dato forma ad alcune delle più importanti espressioni di potere, marcando la topografia cittadina come enormi sigilli di dominio. Le gigantesche sculture riflettenti di Kapoor, come il Cloud Gate (2004) al Millennium Park di Chicago o la più recente opera ai piedi della cosiddetta Jenga Tower (2023), il grattacielo di Herzog & de Meuron al 56 di Leonard Street a New York, levitano leggere come grandi bolle appena atterrate su una piazza o intrappolate da un edificio, capaci di rispondere elasticamente alle asperità del terreno, ma sempre sul punto di scoppiare e svanire. Con la loro forma sfuggente e mutevole mettono in discussione la gravità materiale della scultura, mentre le qualità iper-riflettenti delle superfici in acciaio inossidabile, in cui si riverberano non solo i profili fissi degli edifici, ma anche le condizioni meteorologiche e di luce variabili e il quotidiano viavai urbano, interrompono definitivamente il senso di persistenza immutabile.

Anish Kapoor, Cloud Gate, 2004
Photo Peter J. Schluz ©Anish Kapoor. All rights reserved SIAE, 2023
Anish Kapoor, untitled (56 Leonard Street), 2023
Photo Iwan Baan ©Anish Kapoor. All rights reserved SIAE, 2023

Tra gli esperimenti inaugurali del primo Rinascimento italiano nell’ambito della prospettiva, intesa come nuovo strumento per misurare, dominare e rappresentare il mondo, è inclusa una tavoletta dipinta dall’architetto Filippo Brunelleschi, raffigurante l’alzato del battistero di Firenze visto dalla cattedrale. Nella tavola, la parte superiore posta sopra l’orizzonte non era dipinta bensì ricoperta da una foglia d’argento lucida. Se osservata nella giusta posizione, riflessa in uno specchio di fronte al battistero, l’immagine sulla tavoletta si sovrapponeva perfettamente all’edificio reale, mentre il cielo si rifletteva nella lamina argentea. Dimostrando le potenzialità del nuovo strumento nel proiettare lo spazio architettonico tridimensionale su una superficie piana, Brunelleschi ne riconosceva contemporaneamente i limiti: i movimenti della natura, come la variazione della luce e il passaggio delle nuvole, non potevano essere ridotti alla logica geometrica della griglia prospettica. Gli oggetti specchianti che Kapoor colloca in spazi urbani attivano in modo analogo la tensione tra permanente e mutevole, superandola tuttavia simultaneamente. Infatti, sulla superficie riflettente delle sculture, non solo il cielo ma anche l’aspetto dello skyline cambia a seconda del tempo e dell’ora, includendo inoltre il continuo andirivieni di persone che anima la città.

Anish Kapoor. Untrue Unreal, Palazzo Strozzi, Firenze
Photo Ela Bialkowska, OKNOstudio ©Anish Kapoor. All rights reserved SIAE, 2023

Collocando la sua pratica all’intersezione tra scultura e pittura e fondendo la dimensione fisica della prima con la qualità illusoria della seconda, Kapoor ripropone i termini dell’antico dibattito comparativo tra le due arti, comunemente noto come “paragone”, che infiammò il discorso artistico durante il Rinascimento italiano. Nel contesto di questa disputa, la supremazia della scultura veniva rivendicata per la verità della sua sostanza fisica, che poteva essere attestata non solo con la visione dell’occhio ma anche con il tocco della mano, mentre la preminenza della pittura si basava sulla sua capacità di rappresentare l’intero mondo visibile, compresi la luce immateriale e i fenomeni atmosferici come nuvole, folgori e riflessi. Le superfici riflettenti sarebbero effettivamente diventate l’arma assoluta della pittura, sia negli scritti dei letterati sia nelle opere dimostrative dei pittori.

Anish Kapoor. Untrue Unreal, Palazzo Strozzi, Firenze
Photo Ela Bialkowska, OKNOstudio ©Anish Kapoor. All rights reserved SIAE, 2023

In copertina: Anish Kapoor. Untrue Unreal, Palazzo Strozzi, Firenze. Photo Ela Bialkowska, OKNOstudio ©Anish Kapoor. All rights reserved SIAE, 2023

I vuoti della Città ideale

Nel suo saggio presente nel catalogo della mostra Anish Kapoor. Untrue Unreal edito da Marsilio ArteMorgan Ng, Assistant Professor al Dipartimento di Storia dell’Arte della Yale University, si ispira alle sculture che Kapoor fa emergere dal terreno per esplorare il mondo ipogeo come immaginato nel Rinascimento.

In questa città nulla sfugge allo sguardo. Teorie di palazzi si susseguono davanti agli occhi: volumi geometrici nitidi, logge ariose, fulgide incrostazioni di marmo, architetture composte da piani e angoli ben definiti, visibili su ogni lato. Il tempio rotondo al centro della piazza è l’unica forma che sfida l’impietosa logica rettilinea della città, i motivi ripetuti della pavimentazione e la sequenza senza fine di campate. Qui le ombre si fanno evanescenti. Si dissolvono sotto l’inarrestabile luce del sole che inonda le superfici lapidee e si riversa nel reticolo di strade, insinuandosi anche nelle fessure più nascoste.

Pittore dell’Italia centrale, Città ideale, 1480-1490 circa?, Urbino, Galleria Nazionale delle Marche.
Foto Scala, Firenze. Su concessione Ministero Beni e Attività Culturali e del Turismo.

Questa visione urbana, radiosa e inquietante, è il soggetto di un lungo dipinto orizzontale noto come “tavola di Urbino”. L’opera è stata presumibilmente eseguita alla fine del XV secolo da un maestro dell’Italia centrale per la dinastia dei Montefeltro, signori appunto di Urbino, città da cui prende il nome la tavola, ed è oggi esposta nell’antico Palazzo Ducale. La tavola di Urbino ha goduto di uno status leggendario nella storia dell’arte rinascimentale. Generazioni di studiosi hanno visto in esso il manifesto trionfale del senso umanistico della realtà che emerse in quel periodo. A questo soggetto il mondo si sottomette come oggetto di analisi empirica totalizzante, contemplazione razionale e ri-creazione utopica.

Ma la città ideale rivela davvero tutti i suoi segreti? Quali oscure realtà potrebbero celarsi dietro le brillanti superfici di questa fantasia albertiana?

Due pozzi ottagonali identici, posti simmetricamente alle due estremità della piazza, risaltano in primo piano davanti agli occhi dell’osservatore, come a segnare il bordo di un proscenio teatrale. Questi pozzi introducono nell’immagine nuove interferenze ottiche; disturbano la città ideale con vuoti invisibili e insondabili. I pozzi aperti tracciano assi che si immergono verticalmente nelle profondità invisibili del terreno. Dal punto di vista pittorico, producono lo stesso effetto inquietante di strane forme nere sospese in modo incongruente nel vuoto bianco e uniforme di una galleria espositiva modernista. Come tunnel spazio-temporali, queste aperture risucchiano l’immaginazione dell’osservatore da un mondo limpido, reticolare e conoscibile, trascinandola in una realtà alternativa dalle coordinate incerte.

Se potessimo seguire questa pista e scendere nei pozzi, arriveremmo probabilmente a un paesaggio sotterraneo come quello raffigurato da certi artisti e architetti del Quattrocento. Figure come Mariano Taccola da Siena o il suo seguace Francesco di Giorgio Martini, quest’ultimo forse collega del pittore della Città ideale alla corte dei Montefeltro (alcuni hanno addirittura ipotizzato che Francesco stesso possa essere l’autore della tavola). Nei loro disegni e schizzi la visione trascende limiti materiali e corporei. Le viscere della terra rivelano il loro contenuto come in una radiografia. Impenetrabili pareti montuose appaiono come volumi trasparenti che svelano la presenza di gallerie idrauliche e mulini sotterranei.

Macchinario sotterraneo alimentato ad acqua, in Mariano di Jacopo detto Taccola, De ingeneis ac edificiis, libri III-IV (1432-1433), fol. 22r, Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze (Palatino 766)
Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze. Su concessione del Ministero della Cultura

Queste visioni sotterranee trovano una sorprendente controparte nel più ampio immaginario letterario, teologico e artistico del Quattrocento. Si consideri il commento del 1472 alla Divina Commedia dantesca da parte di Antonio di Tuccio Manetti, architetto e intellettuale poliedrico. Manetti si prefisse un’impresa stupefacente: la descrizione topograficamente sistematica di «sito, forma e grandezza dell’Inferno». Con precisione numerica ossessiva, degna di Francesco di Giorgio Martini e delle sue geometrie sotterranee, specificò sia la larghezza dell’apertura sia la profondità di questa «enorme caverna». L’impulso rinascimentale a misurare razionalmente la terra assume qui una forma assurda e grottesca: il progetto di mappare una geografia infernale mai vista.

Mappa di Gerusalemme, del vano infernale e del monte Purgatorio, in Girolamo Benivieni, Dialogo di Antonio Manetti, cittadino fiorentino circa al sito, forma, et misure dello Inferno di Dante Alighieri poeta excellentissimo, Firenze, Filippo di Giunta, 1506, Cornell University
PJ Mode Collection of Persuasive Cartography, Cornell University, Ithaca, New York

In copertina: Anish Kapoor. Untrue Unreal, Palazzo Strozzi, Firenze. Photo Ela Bialkowska, OKNOstudio ©Anish Kapoor. All rights reserved SIAE, 2023