Il cielo sopra Firenze

di Ludovica Sebregondi

Il primo collage per Aria, realizzato da Tomás Saraceno nell’estate del 2019 per l’esposizione di Strozzi, mostra Firenze vista da Monte alle Croci su cui si librano le tre grandi sfere dell’installazione Thermodynamic Constellation destinate al cortile rinascimentale del Palazzo. Fluttuano nell’aria serena, sospese sulla città, insieme ad altri prototipi di sculture aerosolari in grado di volare intorno al mondo, libere da confini e da combustibili fossili, libere di navigare attraverso i fiumi dell’atmosfera. Poi l’acqua alta su Venezia del mese di novembre ha cambiato la visione di Tomás, che per il collage definitivo si è ispirato – con il nero predominante, la diffusa sensazione di inquietudine, il grande ragno nella sua capsula d’aria – agli stravolgimenti causati dai cambiamenti climatici, dall’uso sconsiderato delle risorse naturali da parte dell’uomo. E, nei mesi della pandemia, è stata l’immagine che ha incarnato lo “spirito del tempo”.

Tomás Saraceno, Collage per Aria, 2019.
Courtesy l’artista. © Studio Tomás Saraceno, 2019
Tomás Saraceno, Collage per Aria, 2020.
Courtesy l’artista. © Studio Tomás Saraceno, 2020

Nel primo collage per Aria in alto a destra compare una delle “macchine del volo” di Leonardo, la Vite aerea (Manoscritto B, 1489, Parigi, Institut de France), sollevata da una vela a elica che si avvita nell’aria. Sono numerose le invenzioni leonardesche legate alla volontà di permettere all’uomo di elevarsi da terra: forse il tentativo più famoso è quello in cui coinvolse l’amico e collaboratore Zoroastro da Peretola, avvenuto sul Monte Ceceri, una collina alle porte di Firenze, presso Fiesole.

Parigi, Institut de France, Leonardo da Vinci, Manoscritto B di Francia, Ms B, f. 83v.
Foto Luc Viatour

Un esperimento non riuscito, di cui resta traccia nel Codice sul volo degli uccelli (1505 circa, Torino, Biblioteca Reale), che include schizzi e descrizioni di apparecchi e di principi aerodinamici relativi al volo meccanico, anticipando di circa quattro secoli l’invenzione dell’aeroplano. Scrive Leonardo, e le sue parole sono riportate su una stele in pietra posta sulla sommità del colle: “Piglierà il primo volo il grande uccello sopra del dosso del suo magno Cecero, empiendo l’universo di stupore, empiendo di sua fama tutte le scritture e gloria eterna al nido dove nacque”.

Stele a Monte Ceceri che ricorda l’esperimento di Leonardo e riporta le sue parole.

Altre sperimentazioni, coronate però da successo, si sono susseguite a Firenze, come quella del 1784, quando da un prato nei pressi di ponte alla Carraia Francesco Henrion ripeté, con un “globo aerostatico” pieno di aria riscaldata, quanto riuscito l’anno precedente vicino a Lione a Joseph ed Étienne Montgolfier con una macchina volante che si era sollevata da terra. Il tentativo fiorentino riuscì perfettamente, analogamente a quello compiuto poco dopo da un pallone realizzato da due gesuiti che giunse fino a Santa Sofia, in Romagna. Il primo uomo a volare su Firenze fu, nel 1795, Giovanni Battista Luder che sostituì il pilota designato – impaurito dall’impresa – ed ebbe l’ardire di salire sulla navicella in Piazza del Carmine. Ne scese tranquillamente alla Pieve di Remole, e per il suo gesto di coraggio fu premiato dal granduca con 24 zecchini d’oro e la promozione da semplice “trombaio”, l’idraulico a Firenze, a “fontaniere regio”.

L’articolo il Volo di una mongolfiera, apparso sulla “Gazzetta di Firenze” del 7 agosto 1826, dimostra come ancora dopo decenni un’ascensione venisse trasformata in spettacolo, con piazza Santa Maria Novella convertita in anfiteatro per accogliere gli astanti, tra cui il granduca e la sua famiglia. Francesco Orlandi, l’intrepido “aerobata”, dopo aver porto un sonetto e dei fiori al monarca, si sollevò sulla sua “macchina aerobatica”, un pallone a idrogeno e aria calda costituito da strisce di seta “a forma di fusi”, e dopo un’ora atterrò a circa 7 miglia dalla capitale.

Dettaglio della copertina del volume Firenze. Cinquanta fotografie dell’Ottocento tratte dagli Archivi Alinari, Firenze, 1981

Da fine Ottocento non mancano neppure testimonianze fotografiche, come quella della mongolfiera guidata dal “signor Jules” o “Juhles”, che si innalzò su Firenze il 19 maggio 1884 alla presenza di un folto pubblico arrampicato persino sui tetti. Un’immagine tanto iconica da essere stata scelta per la copertina di una mostra sugli Archivi Alinari.

E, recentemente, una donna, Leticia Marqués, pilota di mongolfiere, ha portato a Firenze, durante l’Aria Talk tenutosi al Cinema Odeon il 22 febbraio 2020, la testimonianza del suo ardito e coraggioso volo avvenuto il 28 gennaio 2020, nelle Salinas Grandes in Argentina nell’ambito del progetto di Tomás Saraceno Fly with AerocenePacha in cui – sollevata da un’enorme scultura aerosolare – ha stabilito sei record mondiali per altezza, distanza e durata di volo effettuato grazie solo al calore del sole e all’aria, senza l’uso di combustibili fossili, pannelli solari, elio o batterie al litio. Grande coraggio, quello dimostrato facendosi sollevare fino a un’altezza di 270 metri, per un’ora e 21 minuti, coprendo una distanza di 2,55 chilometri. Forse, in un utopico futuro, l’impresa di Saraceno e Leticia sarà vista come noi oggi rileggiamo le memorie dei primi pioneristici, e visionari, voli dei secoli scorsi.

Fly with Aerocene Pacha. A project by Tomás Saraceno for Aerocene. 21-28 January 2020, Salinas Grandes, Jujuy, Argentina. Human Solar Free Flight as part of Connect, BTS, curated by DaeHyung Lee. Courtesy the artist and Aerocene Foundation. Photography by Studio Tomás Saraceno, 2020. Licensed under CC BY-SA 4.0 by Aerocene Foundation
Aria Talk, Cinema Odeon, Firenze, 22 febbraio 2020. © Photography by Ela Bialkowska, OKNOstudio

In copertina: Tomás Saraceno, Around the world collage for Aria, 2020 Courtesy l’artista

Dall’arte alla scienza: i ragni nel mondo biologico

Ricercatrice della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, Malayka Picchi è stata coinvolta nella preparazione della mostra Tomás Saraceno. Aria come consulente per comprendere al meglio i ragni e le loro caratteristiche.

Sono rimasta affascinata, lo devo ammettere.
Io, abituata a osservare i ragni all’aperto o allo stereoscopio, ho avuto un immenso piacere nel vedere come queste piccole creature siano state delle muse ispiratrici per un grande artista come Saraceno. La seta finemente intrecciata, tesa e vibrante dei ragni come opera d’arte.
Da entomologa non avevo mai visto la ragnatela con gli occhi di un artista, o meglio – la natura tutta è arte, soprattutto il microcosmo – non avevo mai pensato a come un artista vede la ragnatela e come, volutamente e visionariamente, la spinge a essere qualcosa di più. Tanto reale quanto astratta. Saraceno è riuscito ad andare oltre la mera biologia funzionale della ragnatela. Ha creato qualcosa di unico: ha unito in modo profondo l’aracnologia con l’arte. Con l’arte, il linguaggio scientifico si colora, si abbellisce e raggiunge i cuori anche di coloro che sono terrorizzati dai ragni, svelando il loro reale fascino. Infatti, questi animali generano delle profonde scosse emotive nelle persone. Ignorati dai più, fonte di terrore per molti altri, ma esiste una minoranza che li osserva con occhi curiosi, in cerca di forme e comportamenti che lasciano incantati.
Quello dei ragni è un gruppo antico e vasto. Sono degli artropodi (e non insetti) che appartengono al grande mondo degli aracnidi, lo stesso mondo di cui fanno parte le zecche, gli scorpioni e altre svariate e bizzarre forme, meno conosciute perché difficili – se non impossibili – da incontrare in Italia. Nel mondo esistono più di 48mila specie e ogni giorno se ne scoprono di nuove; l’Italia si difende bene con le sue 1677 specie finora conosciute. Sono animali predatori (a eccezione della sola specie Bagheera kiplingi che integra la propria dieta con pinnule di acacia), in cima alla catena alimentare, che regolano la quantità di insetti. In poche parole, se non ci fossero i ragni saremo completamente invasi dagli insetti: un recente studio ha evidenziato che, nel mondo, annualmente, i ragni mangiano tra i 400 e gli 800 milioni di tonnellate di insetti. Tra questi anche quelli che potrebbero far fuori le nostre scorte di cibo. Sono degli utili alleati in agricoltura, sebbene l’utilizzo di sostanze di sintesi li riduca drasticamente come numero e come specie.

Tomás Saraceno, TREMOR, 2019-in corso, Courtesy l’artista, © Studio Tomás Saraceno
In basso, nella carta, le differenti fasi della costruzione di una ragnatela.

La caratteristica fondamentale dei ragni, che viene ripresa e reinterpretata da Saraceno, riguarda la capacità di generare e usano in modi differenti la seta: una proteina che concilia resistenza ed elasticità, che i ragni utilizzano per catturare le prede, costruire dei ripari o per proteggere la prole. In base alla funzione, possono regolare le qualità della seta secreta per la ragnatela. La spirale di cattura deve trattenere le prede, ma senza rompersi. Quindi dovrà essere capace di dissipare l’energia dell’urto, mentre la cornice e i fili di ancoraggio devono essere forti e resistenti tali da sorreggerne la struttura. La seta viene poi talvolta lavorata e increspata o arricchita di gocce di colla che aumentano la possibilità che la preda rimanga nella ragnatela.
La biodiversità nel mondo dei ragni riguarda anche la ragnatela, non solo per la qualità della seta, ma anche per le forme che questi modellano pazientemente. Ci sono quelli precisi e ordinati come gli Araneidae, che tessono ragnatele regolari e verticali, con il ragno che sovente si trova al centro ad attendere una vibrazione, uno stimolo che indichi la presenza di una preda incappata casualmente nella trappola. Oppure ci sono quelli più estrosi come i Theridiidae, che costruiscono ragnatele irregolari e su più direzioni. Poi, ci sono gli estremisti, come i ragni del genere Mastophora che utilizzano un solo filo di seta con una piccola goccia di colla per catturare al lazo le falene; o ancora i rappresentanti del genere Deinopis che, mentre con le zampe posteriori restano appesi a qualche sostegno, con la seta costruiscono tante cornicette quadrate, una dentro l’altra, che trattengono con le zampe anteriori e scagliano sulla preda quando questa incappa nella rete di fili di avvertimento, diligentemente costruita in prossimità del suolo.
Una biodiversità che permette ai ragni di colonizzare molti ambienti diversi con successo. Un esempio straordinario di adattamento riguarda il ragno palombaro, Argyroneta acquatica, che, come suggerisce il nome, si è adattato a vivere in acqua dolce. Riesce a passare la maggior parte della vita sott’acqua grazie alla capacità di trattenere un piccolo strato di aria sul proprio corpo e a ricaricarlo all’occorrenza.

Tomás Saraceno, Outer Space seems not so Unfamiliar, 2014, Courtesy l’artista

Invece, parlando di guinness dei primati, provate a immagine la più grande ragnatela esistente. Quando può essere grande? Caerostris darwinii, una specie del Madagascar, costruisce una ragnatela che ha un filo di ancoraggio di venticinque metri, con una spirale di cattura ampia ben tre metri quadrati. Questo “lenzuolo” di ragnatela le serve per intercettare gli insetti che sfarfallano dai grandi fiumi, costruendo sopra l’alveo la propria trappola.
Il mondo degli aracnidi è fatto così; sembrano esseri di poco conto, ma in realtà hanno mille peculiari sfumature piene di fascino.
Vi invito a scoprirlo questo mondo, così da vivere la mostra di Saraceno come farebbe un vero aracnofilo.

Tomás Saraceno, Webs of At-tent(s)ion, 2020. Installation view of Aria, Palazzo Strozzi, Florence, 2020. © Photography by Ela Bialkowska, OKNOstudio

In copertina: Tomás Saraceno, Particular Matter(s), 2020. Installation view of Aria, Palazzo Strozzi, Florence, 2020. © Photography by Studio Tomás Saraceno

Buio pesto e caduta massi

Professore Ordinario di Cosmologia alla Scuola Normale Superiore di Pisa e Joint Professor dell’Institute for the Physics and Mathematics of the Universe di Tokyo, Andrea Ferrara è stato coinvolto nella preparazione mostra Tomás Saraceno. Aria come consulente per approfondire e ampliare i riferimenti astrofici presenti nelle opere dell’artista.

Buio pesto, era. Inizia così il racconto del vecchio Qfwfq, un essere senza tempo nato con l’Universo, a cui Calvino fa raccontare la sua esperienza dell’origine e evoluzione del mondo nelle Cosmicomiche. In Sul far del giorno, Qfwfq ci narra la formazione del sistema solare. Prima c’era una nebula buia, fredda e rotante in cui si galleggiava tra particelle di gas e polvere (che davano un prurito fastidioso – aggiunge Qfwfq). Ma ad un certo punto la materia nella nebula comincia a condensarsi: si tocca!, urla il padre di Qfwfq. Un concetto del tutto nuovo, che marca la formazione dei primi detriti solidi. L’agglomerazione dei detriti per gravità procede in maniera rapida fino a formare entità rocciose più grandi. Infine, all’orizzonte appare una specie di ebollizione che altro non è che una sorgente di luce da un corpo incandescente, il Sole. La luce illumina la superficie terrestre gibbosa ed incrostata di ghiaccio sporco che evapora rabbiosamente in immensi geyser. Tutto il resto continuava a ruotare aggrumato in vari pezzi. Era nato il sistema solare.

Il cielo notturno con lo sciame meteoritico delle Perseidi. © ESA

La Natura ci permette ogni anno di avere un assaggio dell’esperienza che Qfwfq deve aver vissuto in quei tempi antichi, circa 4,5 miliardi di anni fa, quando si formò il sistema solare. Intorno al 10 agosto cade quella che comunemente è nota come la notte delle “stelle cadenti”, in cui nel cielo notturno possiamo intravedere le magnifiche scie di oggetti celesti che penetrano l’atmosfera terrestre. Questi oggetti sono degli sciami di detriti lasciati dalla formazione del sistema solare. La Terra incontra diversi sciami lungo la sua orbita nel corso dell’anno. Quello di agosto, detto sciame delle Perseidi, è senz’altro uno dei più famosi. Un altro sciame molto famoso è quello delle Leonidi, che si può osservare nelle notti di novembre. Questi sub-detriti, detti meteoriti, si sono staccati da altri corpi che popolano il sistema solare: le comete. Le Perseidi sono associate alla cometa Swift-Tuttle, passata nelle nostre vicinanze nel 1992; le Leonidi sono invece detriti della cometa Tempel-Tuttle. A questo punto dobbiamo però fare un po’ di ordine e capire l’intera storia della formazione di una stella, del suo sistema planetario e dei corpi minori che le girano intorno.

Immagine artistica della formazione del sistema solare in cui, oltre al Sole ed al disco protostellare, sono visibili i pianeti ed i corpi minori. © NASA

Le stelle si formano dal mezzo interstellare, un gas che in media ha una densità molto bassa (circa 1 atomo di idrogeno per cm3, quasi un vuoto perfetto rispetto all’aria che respiriamo!). Così come nell’atmosfera, a causa di vari processi fisici tuttavia si possono condensare delle nubi 100-1000 volte più dense. Queste immense nubi, di dimensioni pari a decine di anni luce, contengono 1 milione di volte la massa del Sole; pertanto la forza di gravità le costringe a collassare su sé stesse. Durante il collasso il gas cade rapidamente verso il centro ed aumenta la sua densità in maniera costante, arrivando a valori miliardi di volte più alti di quello iniziale.

È anche molto probabile che fin dall’inizio la nube ruoti su sé stessa. In questo caso il gas in collasso non cade direttamente verso il centro, ma forma un disco intorno alla condensazione centrale che rappresenta la protostella, la cui crescita è alimentata dal disco stesso. L’aumento di densità fa aumentare la temperatura della protostella fino a oltre un milione di gradi. A questo punto s’innescano le reazioni nucleari, principalmente la fusione di idrogeno in elio. L’energia sviluppata da questa reazione è esattamente quella necessaria a controbilanciare quella gravitazionale ed il collasso si arresta. La stella si è formata! Nel frattempo, il disco si è frammentato in una serie di sotto-strutture più piccole, che rappresentano i semi del sistema planetario della stella stessa. Il Sole contiene il 99,85% di tutta la materia nel sistema solare; i pianeti solo lo 0,135% della massa del sistema solare. Giove contiene più del doppio della massa di tutti gli altri pianeti messi insieme.

La cometa Neowise osservata dal Libano nel luglio 2020. © Maroun Habib (Moophz)

Tutto il materiale che non entra a far parte della stella o dei pianeti, rimane in orbita intorno alla stella stessa. Questi oggetti solidi, fatti di ghiaccio e roccia, sono i corpi minori del sistema solare. Tra i corpi minori, le comete sono senza dubbio gli oggetti più appariscenti. A luglio 2020 abbiamo appena assistito al passaggio di una di queste comete, Neowise. Le comete sono composte da un nucleo roccioso circondato da strati di ghiaccio misto a polvere. Avvicinandosi al Sole nel corso della loro orbita, il calore della radiazione fa vaporizzare il ghiaccio, liberando così i grani di polvere. Parte di questo materiale crea una specie di nube intorno alla cometa, la “chioma”, mentre la polvere viene spinta in una scia (la “coda”) che si può estendere per milioni di km. Ad ogni passaggio lo strato di ghiaccio diminuisce (di metri) e la cometa diventa meno luminosa fino a scomparire quando non ne rimane che il nucleo.

Ci sono due “magazzini” di comete nel sistema solare: la nube di Oort, una struttura sferica 50000 volte più distante della Terra dal Sole, e l’anello di Kuiper, posto oltre l’orbita di Nettuno. Quest’ultima struttura è stata scoperta solo meno di vent’anni fa ma ha attratto l’attenzione dei planetologi perché le comete al suo interno sembrano essere i corpi più antichi del sistema solare. A partire dalla sonda Giotto, che visitò Halley negli anni ’80 fino a Rosetta/Philae che è recentemente atterrata sulla cometa 67P/Churyumov–Gerasimenko, diverse missioni ci hanno fornito immagini ed analisi del materiale cometario. Grazie a questi dati verificheremo la fondatezza dell’ipotesi che l’acqua (e forse anche componenti della vita) sulla Terra sia stata portata dalle comete.

La superficie dell’asteroide Vesta ripresa dalla sonda Dawn della NASA. © NASA/JPL-Caltech/UCLA/MPS/DLR/IDA

Gli asteroidi sono invece corpi puramente rocciosi di considerevole diametro (centinaia di km) e di varia composizione. Ceres, l’asteroide più grande, scoperto nel 1801, è costituito di materiale carbonaceo; Vesta è basaltico; altri ancora sono metallici. Molti asteroidi si muovono su orbite comprese tra Marte e Giove ma alcuni si trovano nella zona dei pianeti interni e dunque possono costituire un serio pericolo per gli esseri viventi in caso di collisione con la Terra, come probabilmente è avvenuto con la scomparsa dei dinosauri.

I meteoriti, infine, sono piccoli “sassi” o particelle di polvere lasciate dalle scie delle comete che entrando nell’atmosfera si riscaldano per attrito, si illuminano in maniera fantasmagorica come “stelle cadenti”, e vaporizzano. Alcuni di essi sopravvivono a questo processo e raggiungono la superfice terrestre. Se identificati, grazie ad una attenta analisi chimica, ci aiutano a rispondere ai quesiti ancora aperti sulla nascita del sistema solare e degli altri sistemi planetari intorno alle stelle. Osservare le “stelle cadenti”, quindi, non solo rappresenta un’esperienza affascinante, ma anche un importante esperimento scientifico.

In copertina: Tomás Saraceno, Particular Matter(s) (dettaglio), 2020. Installation view of Aria, Palazzo Strozzi, Florence, 2020. © Photography by Ela Bialkowska, OKNOstudio

Tre scienziati, una pilota e un artista

Assistere a un dialogo tra un artista, due curatori, tre scienziati, una politologa, un giornalista e una pilota di mongolfiere può sembrare un evento assai raro e quasi inverosimile. Tuttavia, per celebrare l’apertura della sua mostra a Palazzo Strozzi, Tomás Saraceno è riuscito a far dialogare tra loro queste persone, unendo la propria arte alle più varie forme di sapere. Le sue opere sono per definizione poliedriche e polisemiche. Riferimenti al mondo dell’astronomia, della biologia e delle scienze sociali si uniscono a creare un punto di incontro tra scienze e arti: un intreccio profondo, capace di affascinare anche gli esperti più diversi, che trovano così un’occasione unica per dialogare.

L’Aria Talk, tenutosi al Cinema Odeon di Firenze il 22 febbraio scorso, è stato il grande evento di apertura della mostra Tomás Saraceno. Aria, che ha visto la partecipazione di Tomás Saraceno, Arturo Galansino (direttore generale, Fondazione Palazzo Strozzi), Melisa Argento (politologa e ricercatore), Stavros Katsanevas (direttore, Osservatorio europeo gravitazionale), Stefano Mancuso (direttore, LINV, Laboratorio internazionale di neurobiologia vegetale), Lisa Signorile (biologa e giornalista scientifica) e Marco Filoni (giornalista e ricercatore).

Più che una semplice conversazione aperta al pubblico è stata innanzitutto una vera e propria festa per celebrare i record stabiliti con il progetto Fly with Aerocene Pacha. Il 28 gennaio 2020 infatti, nelle Salinas Grandes di Jujuy, in Argentina, Saraceno e la comunità di Aerocene hanno fatto volare un’enorme scultura simile a una mongolfiera. Per la prima volta nella storia un essere umano ha volato nel cielo con il solo calore del sole e dell’aria che tutti respiriamo, senza l’uso di combustibili fossili, pannelli solari, batterie al litio o elio. La pilota Leticia Marqués è così riuscita a stabilire sei record mondiali nelle categorie generale e femminile per altezza, distanza e durata di volo completamente libero, certificato dalla Fédération Aéronautique Internationale (FAI). La grande avventura, parte del progetto CONNECT, BTS a cura di Daehyung Lee, è stata documentata da punti di vista molteplici, secondo la sensibilità di diversi registi, dando vita al documentario Fly with Aerocene Pacha (2020, 28’).

Il progetto Fly with Aerocene Pacha è, come la stessa arte di Saraceno, fortemente interdisciplinare. L’arte è il collante tra diverse scienze e metodologie che riescono a cooperare per un fine ultimo: immaginare un mondo migliore guidato da una nuova sensibilità nei confronti della natura, delle comunità e degli altri esseri viventi. Per questo motivo l’artista ha chiamato a sé un gruppo di scienziati e ricercatori per poter leggere, con gli occhi dell’arte, il mondo che ci circonda.

Il pensiero di Tomás Saraceno, come quello della politologa Melisa Argento, non poteva non andare alle comunità Kollas e Atacamas che vivono attorno alle saline di Jujuy, dove si è svolto il progetto Aerocene Pacha. Qui, infatti, l’estrazione massiva del litio sta distruggendo il territorio, compromettendo l’integrità di questo luogo. Secondo la testimonianza di Saraceno:

«Le popolazioni che vivono in questo posto hanno un altro modo di relazionarsi con la terra, hanno un’altra ritualità e hanno un’altra memoria. Quindi, quando parliamo degli umani bisogna stare molto attenti, perché ci sono comunità nel mondo che hanno modi diversi di relazionarsi con il territorio. Il lago salato è un luogo sacro per loro, è un luogo diverso e hanno una memoria sul posto che continuano ad ereditare da molto più di 500 anni, quando si crede che l’America sia stata scoperta da qualcuno – quindi con un discorso postcoloniale che deve entrare in quanto stiamo facendo. E dobbiamo tentare di mettere in relazione questa memoria con l’intelligenza e la memoria delle piante, con l’intelligenza e la memoria dei ragni, con l’intelligenza e la memoria del pianeta Terra in relazione al Cosmo. Quindi possiamo parlare dell’intelligenza, come diceva James Lovelock, di Gaia, di un organismo che anche si può organizzare e reagisce».

Le comunità umane non sono le uniche in pericolo. Gli aracnidi e gli insetti sono i primi a vivere la cosiddetta “sesta estinzione di massa”. La biologa Lisa Signorile ha preso più volte le difese dei ragni. Sono infatti esseri antichissimi, sopravvissuti a numerose avversità evolutive, come le precedenti cinque estinzioni di massa.

«Quelli che nel Devoniano, stiamo parlando di 380 milioni anni, sono saliti sulla terra non erano ancora effettivamente i nostri ragni, ma ci somigliavano tantissimo: riuscivano già a fare la tela tra le altre cose. Quindi stiamo parlando di animali che hanno vissuto 380 milioni anni sulla terraferma passando indenni attraverso cinque estinzioni di massa, come se niente fosse. I ragni moderni hanno qualcosa come 200/250 milioni di anni in realtà. La ragnatela più antica di cui abbiamo traccia in Ambra del Sussex dell’Inghilterra ha 110 milioni anni. Noi ciabattiamo questi animali senza nessun ritegno. Noi abbiamo qualche centinaio di migliaia di anni, loro hanno 200 milioni anni, quindi alla fine sul piatto della bilancia dovremmo un attimo pensare a chi siamo noi e chi sono loro».

Il neurobiologo Stefano Mancuso (direttore del LINV, Laboratorio internazionale di neurobiologia vegetale) ha sottolineato come noi esseri umani siamo, in fin dei conti, una specie come tante altre e siamo soggetti anche noi alle leggi della natura. Eppure, il nostro grande vantaggio evolutivo, il cervello, potrebbe rivelarsi uno svantaggio considerando i problemi ambientali che stiamo provocando con le nostre stesse mani.

«Quanto vivono le altre specie in media? In media una specie vive cinque milioni anni. A me basterebbe che l’umanità arrivasse alla media, la media è qualcosa che tutti si aspettano, e noi ne abbiamo 300 mila di anni; il che vuol dire che noi dovremo sopravvivere altri 4.700.000 anni per essere nella media, non meglio, nella media delle specie di questo pianeta. Quanti su questo pianeta davvero ritengono non che potremmo sopravvivere altri 4.700.000 anni, ma quanti ritengono che potremmo sopravvivere altri 10.000 anni? Vi ricordo che negli ultimi 10.000 anni tutto quello che noi consideriamo civiltà, dall’invenzione dell’agricoltura a oggi, è avvenuta negli ultimi, vogliamo essere larghi, 12.000 anni. Questo è il tempo in cui noi abbiamo fatto tutto quello che abbiamo fatto. Come potremmo mai pensare di sopravvivere per arrivare alla media delle specie? Eppure ci toccherebbe, ed è questo quello che dovremmo almeno raggiungere, altrimenti vorrebbe dire che il nostro grande cervello, che è la cosa che ci differenza degli altri esseri viventi, è uno svantaggio in termini evolutivi, non è un vantaggio come abbiamo sempre pensato ma è letteralmente uno svantaggio».

L’astrofisico Stavros Katsanevas (direttore, Osservatorio europeo gravitazionale) lavora ogni giorno con dimensioni ancora più grandi: quelle dell’Universo. La difficoltà nello spiegare elementi infinitamente più grandi di noi è evidente, ma in questo l’arte può aiutarci.

«Mi sono ricordato ancora una volta le cose che Heinz Wismann, filosofo, diceva. Ci sono modi simbolici: il mito, la scienza e l’arte, che è tra queste due. Perché l’arte fa capire la realtà (non il mitico) con un modo affettivo; fa capire dentro di te quello che succede. Il vero artista è chi fa capire il problema scientifico della realtà e lo fa sentire “dentro”. E questo è fantastico».

La registrazione integrale dell‘Aria Talk è disponibile su YouTube.

Guarda il video

In copertina: Aria Talk, Cinema Odeon, Firenze, 22 febbraio 2020. © Photography by Ela Bialkowska, OKNOstudio

Fai volare le tue idee

di Martino Margheri

Chi lavora nei musei e nelle istituzioni culturali conosce bene i lunghi tempi di programmazione e progettazione delle attività espositive. Che si tratti di un’esposizione di Old Masters, oppure della monografica di un grande artista contemporaneo, le riunioni preliminari avvengono anche quattro anni prima della data d’inizio. Per la mostra Tomás Saraceno. Aria le prime discussioni con l’artista e il suo studio sono iniziate nel 2017 e il sopralluogo di Saraceno a Palazzo Strozzi risale all’autunno del 2018.
Definiti i caratteri generali di un progetto, partono le discussioni che coinvolgono tutti i dipartimenti della nostra istituzione culturale. Lo scopo è usare al meglio la mostra in tutte le sue potenzialità, sviluppando attività e strategie che riguardano ogni aspetto del lavoro, dalla comunicazione alla promozione, fino ai progetti educativi.

Lavorare con Tomás Saraceno è stata una grande opportunità poiché nel suo studio sono presenti professionalità diverse: architetti, video maker, designer, allestitori che in maniera corale si interfacciano con l’artista e contribuiscono a dare forma alla sua visione. Nella varietà dei progetti realizzati da Saraceno e dall’Aerocene Foundation, fondato nel 2015, abbiamo individuato delle esperienze che ci avrebbero permesso di sperimentare formati educativi interessanti da indirizzare a studenti di comunicazione e progettazione proprio in occasione della mostra a Palazzo Strozzi.

Si è innescato così un dialogo con IED Firenze (Istituto Europeo di Design) che si è velocemente trasformato in un’importante partnership istituzionale e nel progetto dedicato al Museo Aero Solar con un gruppo selezionato di docenti e studenti. Il Museo Aero Solar è una grande scultura volante assemblata esclusivamente con sacchetti di plastica riutilizzati. Il progetto è nato nel 2007 da un’idea di Saraceno in conversazione con Alberto Pesavento, e da allora è stato realizzato in formati diversi in oltre ventuno Paesi. Il Museo Aero Solar incarna la visione di un futuro senza inquinamento attraverso la crescita di comunità create spontaneamente e geograficamente distanti che vi prendono parte.

Museo Aero Solar, fotografie Studio Tomás Saraceno, courtesy Aerocene Foundation

Con questi presupposti ci siamo dati come obiettivo il coinvolgimento dei visitatori di Palazzo Strozzi nella realizzazione di un grande progetto partecipativo per Firenze, che sarebbe iniziato con la raccolta di sacchetti di plastica e sarebbe poi terminato con un’esperienza di volo nel Parco delle Cascine. Ma come fare? Che strumenti mettere in campo? Quali accorgimenti tecnici per costruire una scultura volante?

Illustrazione tratta da Aerocene Journal

Inizialmente è stato importante analizzare l’identità e le caratteristiche del Museo Aero Solar nell’esperienza artistica di Tomás Saraceno. Una lecture introduttiva con gli studenti di IED ci ha permesso di affrontare l’aspetto concettuale e le necessità tecniche. La discussione ci ha portato velocemente al quesito più importante: come realizzare un Museo Aero Solar in città? Come comunicarlo? Come coinvolgere le persone nelle diverse fasi?
È partita una ricerca che ha portato allo sviluppo di una grafica unitaria declinata in cartoline, flyer e poster da distribuire nelle biblioteche, nelle scuole, nelle università e nelle accademie. La comunicazione doveva veicolare tre aspetti fondamentali: far conoscere il progetto, incentivare la raccolta di sacchetti di plastica e invitare al grande workshop finale di assemblaggio e volo.

Incontro con gli studenti IED Firenze per progettare il raccoglitore e sviluppare la comunicazione

Utilizzando la stessa immagine coordinata abbiamo lavorato al progetto di un grande raccoglitore che i visitatori della mostra avrebbero usato per lasciare i loro sacchetti di plastica usati. Mentre gli studenti lavoravano alla produzione di tutti questi materiali abbiamo sempre mantenuto un filo diretto con lo studio di Tomás Saraceno per rispettare le linee guida della loro comunicazione. Il workshop al Parco delle Cascine sarebbe stato il tassello finale e per arrivare preparati avevamo organizzato un test per assemblare i sacchetti secondo le indicazioni ricevute. Avevamo messo in piedi una fitta rete di attività concatenate tra loro, coordinate dal Dipartimento Educazione in stretta collaborazione con un attento gruppo di docenti e studenti IED.

Raccoglitore dei sacchetti per il Museo Aero Solar collocato in un ambiente di Palazzo Strozzi

Era appena partita la mostra, i primi sacchetti erano apparsi nel raccoglitore, quando Palazzo Strozzi ha chiuso insieme a tutti gli altri luoghi espositivi non solo italiani.
Addio al Museo Aero Solar? Sì, ma solo nel suo formato fisico.
Sono ripartiti gli incontri di progettazione condivisa e abbiamo elaborato una nuova strategia: abbiamo pensato che sarebbe stato interessante trasformare quel senso di appartenenza in un progetto online, adatto ai tempi di distanziamento sociale. Così come i visitatori di Palazzo Strozzi avrebbero contribuito con i loro sacchetti di plastica a formare una comunità, oggi ognuno può prendere parte al progetto con una riflessione o un’immagine attraverso questa pagina.
Tutto parte da qui: quali idee abbiamo per il futuro? Raccogliamo pensieri, discutiamone e facciamoli volare metaforicamente; dall’alto si ha un’altra prospettiva che permette di trovare nuove soluzioni al nostro modo di vivere.

Il progetto è stato possibile grazie alla collaborazione con IED Firenze, l’infaticabile lavoro di Alessandra Foschi coordinatrice del corso Comunicazione pubblicitaria, Cecilia Chiarantini coordinatrice del corso Interior Design, i consigli e l’esperienza dei docenti Marco Innocenti, Luca Parenti e Francesco Toselli e una grande squadra di lavoro formata dagli studenti Edoardo Bartoli, Fiamma Batini, Damiano Boragine, Sara Cabrini, Livia Ceccarelli, Lorenzo D’ Elia, Camilla Giachi, Serena Grazia, Eva Lazzeri, Davide Lichen Lu, Mariasole Monaci, Pietro Niccolini, Liliana Parlato, Alessio Pezzi, Davide Pisoni, Lisa Purini, Martina Oliva, Zössmayr Sebastian, Irene Spalletti, Taeko Shinjo, Eulalia Talamo, Luca Varricchio, Carlotta Zandon.

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Cosa succederebbe se tu fossi felice?

Psicoterapeuta di orientamento gestaltico, Gianmarco Meucci è coinvolto nella mostra Tomás Saraceno. Aria per le letture delle Carte da Aracnomanzia, 33 carte create da Tomás Saraceno per entrare in contatto con se stessi tramite gli oracoli tessuti dai ragni. Ogni mercoledì dalle 18.00 alle 20.00 il dott. Meucci incontra online singole persone per una lettura delle Carte che diviene un appuntamento per scoprire noi stessi.

«La natura sembra preferire i rapporti agli individui, nulla si crea da sé.
Chiedetevi quante moltitudini racchiudete in voi».

Tomás Saraceno

Attraverso un’interpretazione intuitiva delle carte di Tomás Saraceno trasmutiamo la trappola della meccanicità del nostro comportamento abituale in una risorsa, intessendo, come fa il ragno con la ragnatela, nuove connessioni con la nostra natura più autentica e con il mondo che ci circonda. I ragni sono animali che comunicano con il mondo attraverso le trame delle loro ragnatele, ricordandoci come tutto è comunicazione, compreso il silenzio. Il ragno crea unendo gli elementi che lo circondano, mostrandoci come tutto è interdipendente.

In questo periodo di crisi ecologica, in cui la tecnologia finalmente sta rivelando prepotentemente a tutti l’inevitabilità delle interconnessioni, diventa vitale riconoscere la responsabilità delle proprie azioni per il futuro del nostro pianeta. La risonanza creata dalle immagini delle carte produce la poesia, ci mostra l’essenza, la sintesi di quel problema, di quel blocco, di quel dubbio, di quella domanda, di quella questione aperta che continua ad affiorare dal nostro passato e influisce sul nostro presente. La magia è nel movimento dallo spazio interno del pensare/sentire alla sua espressione esterna, dal non detto all’esplicito, offrendoci la possibilità di agire per cambiare il nostro punto di vista. Di magico c’è la connessione che si stabilisce tra chi fa la domanda e chi dà la risposta, tra chi dà e chi riceve, ed è questa la relazione che cura e genera il cambiamento.

Tomás Saraceno, Webs of At-tent(s)ion, 2020. Installation view of Aria, Palazzo Strozzi, Florence, 2020.
© Photography by Ela Bialkowska, OKNOstudio

Lo scopo delle letture è fornire spunti creativi alla propria esistenza, prendendo ispirazione dalle ragnatele dei ragni, splendidamente orchestrate nella mostra di Tomás Saraceno. Alla lettura segue un compito, un’azione da compiere nelle tre settimane successive per sciogliere il problema. Qui entra in gioco la psicoterapia della Gestalt, che porta alla luce un rapporto fondamentale in tutte le cose: il rapporto tra la figura e lo sfondo. Quando guardiamo un quadro è impossibile estrapolare quell’opera dal contesto in cui la guardiamo e, proprio per questo motivo, dove poniamo l’attenzione è l’aspetto più importante. Ciò cambia il senso di quello che guardiamo e così il suo significato.

Più che scoprire qualcosa di nuovo, in genere, gli esseri umani inventano l’altro con le proprie allucinazioni proiettate o anticipazioni catastrofiche: una realtà esistenziale, una realtà cioè assolutamente soggettiva. Usando le carte di Tomás Saraceno come mediatori interculturali, cioè come immagini cariche di significati, la persona che richiede un colloquio può liberamente fantasticare sull’oggettività della figura, e sui particolari del disegno che la colpiscono. Come terapeuta, pongo l’accento sui particolari perché è importante tenere la persona ancorata ai dettagli della carta per entrare nella dinamica funzionale di figura-sfondo e per comprendere compiutamente quale sia la storia del suo mondo.

Risulta evidente che, in qualsiasi tipo di relazione in cui ci apriamo all’altro, quando qualcuno parla dei suoi problemi, per esempio, sta raccontando la sua visione delle cose, la sua storia così come la vede lui e non l’oggettività della stessa. La definizione del suo Sé è una storia, la storia del modo di intendere se stesso. Egli manifesta la sua autopoiesi ovvero il modo di costruire se stesso nell’interazione con l’altro. Questa costruzione relazionale, mediata dall’Aracnomanzia di Saraceno, ci porta prima a interagire con l’effetto emozionale che produce la carta sulla persona e poi sul collegamento tra la proiezione e la realtà.

Tomás Saraceno, Arachnomancy Cards, 2020. Installation view of Aria, Palazzo Strozzi, Florence, 2020.
© Photography by Ela Bialkowska, OKNOstudio

La relazione che si instaura è di natura intersoggettiva e si costruisce all’interno di un rapporto dialogico, esprimendosi secondo una modalità che possiamo definire un circolo ermeneutico o virtuoso: “Io ti dò la mia interpretazione del mondo e tu mi dai la tua”. Entrambi siamo all’interno di una zona “sacra” in cui avviene un contatto dove si sceglie come realizzare i propri desideri. Il consultante si rappresenta come costrutto/metafora nella quale proietta il suo senso di identità attraverso la narrazione di sé all’interno di un continuo processo di cambiamento e mutazione nell’interazione con le carte e con chi le legge.

Il concetto di viabilità di Ernst von Glasersfeld definisce adeguata una metafora quando funziona, cioè quando realizza il proprio obiettivo ed è in grado di raggiungere il suo scopo. Se pertanto l’aspetto più importante di qualsiasi lavoro terapeutico è il suo risultato in termini di modifica del comportamento o quantomeno di miglioramento della qualità della vita, non importa, quindi, quale sia il metodo o approccio psicologico usato per risolvere un certo problema. Il metodo, come hanno sostenuto autori come Charles S. Peirce, è come una chiave per aprire una porta e la verità sta in ciò che funziona, appunto nella sua viabilità. Tale concetto di verità non va quindi più inteso in senso ontologico, ma piuttosto è funzionale nel suo utilizzo concreto.

Tomás Saraceno, Arachnomancy Cards, 2020. Installation view of Aria, Palazzo Strozzi, Florence, 2020.
© Photography by Studio Tomás Saraceno

Ciò che conta nel nostro caso è che la chiave, ovvero l’abilità o metodo terapeutico, apra la porta dei problemi del consultante piuttosto che essere semplicemente una “bella chiave”, o che in altre parole appartenga a un approccio piuttosto che a un altro. La lettura delle carte di Tomás Saraceno diviene una possibile strategia, uno spunto per co-costruire un’alleanza con il consultante. Ogni sessione inizia e si conclude con la domanda più importante per ognuno di noi: cosa è in mio potere per rendere la mia vita e il mio mondo un posto migliore? Tutto è sempre nei fili delle nostre mani. Ad maiora semper.

L’ABC di Tomás Saraceno

di Martino Margheri

Ogni mostra di Palazzo Strozzi è un microcosmo con caratteristiche diverse che permette di approfondire temi e momenti specifici della storia dell’arte, suggerendo sempre nuove opportunità di ricerca e coinvolgimento per progetti educativi e di formazione. Abbiamo riscoperto la storia della bottega di Andrea del Verrocchio con una mostra di impeccabile scientificità, ci siamo commossi davanti alle ri-performance di Marina Abramović in una retrospettiva che ha coinvolto un vastissimo pubblico, abbiamo approfondito il lavoro eclettico di Natalia Goncharova artista sacra e profana, santa e diavola, futurista e passatista. I contenuti delle mostre cambiano, e di conseguenza anche le attività che proponiamo, rimane però un obiettivo costante: sostenere la didattica formale attraverso opportunità di formazione, esperienze sul campo e progettualità condivise.

Da Pausa d’arte al progetto Glossario

Grazie al contributo di Unicoop Firenze e alla collaborazione con l’Università degli Studi di Firenze e l’Accademia di Belle Arti, dal 2017 la Fondazione Palazzo Strozzi ha avviato il progetto Pausa d’arte: un’esperienza di formazione indirizzata agli studenti universitari per favorire lo studio dell’arte e la sua comunicazione. Parallelamente il progetto ha offerto al pubblico di Palazzo Strozzi un’occasione di coinvolgimento attraverso cicli di visite condotte dagli studenti: incontri settimanali di 30 minuti per scoprire nuove connessioni tra le opere esposte.

A causa dell’attuale situazione sanitaria la Pausa d’arte, incentrata sulla mostra Tomás Saraceno. Aria, non ha potuto rispettare le modalità previste: la formazione degli studenti è stata avviata, ma non è stato possibile organizzare le visite come da programma. Il progetto ha assunto una nuova forma online: gli appuntamenti con gli studenti a Palazzo Strozzi sono diventati incontri virtuali settimanali e le esposizioni orali si sono trasformate in un lavoro di scrittura che ha dato vita al progetto Glossario.

Un lavoro di analisi sulle opere e sui testi del catalogo ha permesso di rintracciare alcuni concetti fondamentali e di individuare i vocaboli ricorrenti che necessitavano di un ulteriore approfondimento. Il lavoro di Tomás Saraceno vive infatti nell’interazione tra ricerca artistica e ricerca scientifica ed è facile incontrare nei suoi testi termini specifici come ballooning o connettoma. L’approfondimento e la spiegazione delle parole chiave più frequenti ha restituito con maggiore forza e chiarezza la portata del lavoro artistico di Saraceno.

UN ULTERIORE PASSAGGIO

Il progetto Glossario è stato seguito da un’ulteriore attività che si è integrata al corso di Storia dell’arte contemporanea del professor Giorgio Bacci, Dipartimento SAGAS, Università degli studi di Firenze. Il gruppo di nove studenti, con il supporto del Dipartimento Educazione della Fondazione Palazzo Strozzi, ha sviluppato una presentazione che non fosse un semplice racconto della mostra, ma che permettesse di connettere il lavoro di Tomás Saraceno con altre esperienze artistiche, con il pensiero di filosofi, scienziati e intellettuali. Tra le caratteristiche del lavoro di Saraceno c’è la capacità di mettere in comunicazione le arti visive con altri ambiti disciplinari: architettura, biologia, astronomia e progetti collaborativi. Con la presentazione abbiamo cercato di restituire la ricchezza del suo pensiero attraverso un percorso tra le opere presentate in mostra. Di seguito la registrazione della presentazione che si è tenuta in aula giovedì 4 giugno.

Il percorso che abbiamo fatto ci ha insegnato e rimodulare un progetto consolidato negli anni traendone nuovi stimoli e modalità di lavoro. Prossimamente torneremo a visitare le mostre in gruppo, a sviluppare progetti in presenza, ma tutto ciò che è accaduto in questo periodo non sarà perso, anzi, ci permetterà di osservare sotto una nuova luce l’importanza della condivisione dell’arte e di potenziare ulteriormente il nostro lavoro.

Il progetto Glossario e la presentazione sono il frutto del lavoro di Sara Gavagni, Federica Giglio, Gianpaolo Irtinni, Arianna Laguardia, Marta Lorenzi, Maria Palleschi, Vittoria Rossini, Federica Pascarella, Silvia Villafranca, studenti del corso di Storia dell’arte contemporanea, professor Giorgio Bacci (laurea magistrale in Storia dell’Arte) e del corso di Storia dell’Arte Contemporanea, professoressa Tiziana Serena (laurea triennale in DAMS e Scienze umanistiche per la comunicazione), Dipartimento SAGAS (Storia, Arte, Geografia, Antropologia, Spettacolo), Università degli Studi di Firenze.

We shall overcome

di Arturo Galansino

In programma a Palazzo Strozzi per la primavera 2021, la mostra American Art 1961-2001 racconterà, attraverso più di cento importanti opere provenienti dalle collezioni del Walker Art Center di Minneapolis, quarant’anni di storia americana, dalla guerra in Vietnam fino all’attacco alle Twin Towers.
In questa narrazione verrà dato ampio spazio ai temi della diversità e della lotta per i diritti: valori fondanti e, allo stesso tempo, profondamente contraddittori nella costruzione dell’identità culturale americana. E proprio le opere di alcuni degli artisti presenti in mostra ci appaiono in questi giorni in tutta la loro drammatica attualità.

Kerry James Marshall, “BY ANY MEANS NECESSARY”, 1998.
Minneapolis, Walker Art Center

Ripreso da numerosi video, il tragico evento dell’arresto che lo scorso 25 maggio, a Minneapolis, ha portato alla morte di George Floyd, afroamericano di 46 anni, ha dato il via a una serie di crescenti e sempre più violente proteste in tutte le grandi città americane. Le immagini, ormai virali, diffuse e condivise da tutti i media americani e internazionali, mostrano come siano inascoltate le grida di aiuto di Floyd, schiacciato a terra sul collo dal ginocchio di uno degli agenti fino a non riuscire più a respirare. Si tratta dell’ennesimo abuso di potere da parte della polizia nei confronti di un cittadino di colore, e quello che gli Stati Uniti stanno oggi vivendo riporta alla mente i fatti che si susseguirono a Los Angeles tra il 1991 e il 1992 a partire dalla diffusione del video del pestaggio da parte della polizia di un altro uomo di colore, Rodney King. Il processo agli agenti si era concluso con un verdetto di quasi totale assoluzione e per oltre un mese si sono susseguite numerose azioni di protesta, sanguinosi scontri e violenti saccheggi in tutta la città californiana. Questi fatti e i tanti casi di violenze razziste perpetrate dalle autorità, che nei primi anni Novanta iniziarono a essere documentati e condivisi anche dai principali media, crearono un ampio dibattito pubblico nella società americana, che trovò eco anche nel mondo dell’arte. 

Gary Simmons, Us and Them, 1991
Minneapolis, Walker Art Center

Durante gli anni Novanta impegno civico e sociale entrarono con forza al centro del dibattito artistico grazie a figure provenienti da comunità tradizionalmente emarginate, come quelle LGBTQ, afroamericana e nativa. È in questo contesto che artisti di colore come Glenn Ligon, Gary Simmons o Kara Walker si sono imposti nel panorama artistico americano dimostrando la capacità di poter unire storia dell’arte e attualità in un linguaggio di forte impatto e suggestione. 

Una ampia sezione della mostra American Art 1961-2001 metterà in luce queste figure che hanno dimostrato con le loro opere una forza espressiva senza precedenti, figlia di ingiustizie e tensioni che ancora oggi sono lontane da essere risolte. Uno dei principali interpreti di questo nuovo corso dell’arte americana è Kerry James Marshall, le cui opere saranno tra le protagoniste della mostra di Palazzo Strozzi. 

Kerry James Marshall, “WE SHALL OVERCOME”, 1998
Minneapolis, Walker Art Center

Artista afroamericano nato nel 1955 a Birmingham (Alabama) e cresciuto a Los Angeles, Marshall spazia dall’astrazione al fumetto, tra pittura, installazione, video e fotografia, e si è imposto negli anni Novanta come uno dei più importanti artisti in grado di raccontare la storia (e il presente) dell’identità nera negli Stati Uniti. Tra le sue opere che saranno esposte a Palazzo Strozzi, spiccano le celebri stampe che hanno per soggetto slogan storici del movimento per i diritti civili degli anni Cinquanta e Sessanta, alcuni pacifisti e identitari, altri militanti e di lotta: ‘Black is Beautiful’, ‘Black Power’, ‘We Shall Overcome’, ‘By Any Means Necessary’ e ‘Burn Baby Burn’. L’appropriazione di frasi provenienti da un contesto storico passato come quello della lotta al segregazionismo diviene strumento di attualizzazione di una battaglia mai in realtà vinta e conclusa. E quelle parole, ancora oggi, risuonano come attuali e vibranti nella loro perdurante irrisolutezza.

Kerry James Marshall, “BLACK POWER”, 1998
Minneapolis, Walker Art Center

Gli eventi di questi giorni testimoniano nella loro tragicità le profonde tensioni che animano ancora oggi l’America e, con essa, gran parte del mondo occidentale. Tutto ciò pone le istituzioni culturali di fronte alla possibilità di raccontare l’oggi attraverso l’arte contemporanea, prendere posizione e partecipare al dibattito pubblico. Da sempre Palazzo Strozzi si impegna a parlare ai propri pubblici dei temi più rilevanti e urgenti del nostro presente e mai come in questi ultimi mesi è risultato evidente che il ruolo di un’istituzione che voglia contare nel proprio tempo impone il dovere di assumersi questa responsabilità.

Verso la nostra fase due

di Arturo Galansino, Ludovica Sebregondi, Riccardo Lami e Matthias Favarato

Ottantaquattro: tanti sono i giorni da domenica 8 marzo, inizio del lockdown di Palazzo Strozzi, a lunedì 1° giugno, data della riapertura della mostra Tomás Saraceno. Aria. Inizia anche per Palazzo Strozzi una “fase due” nell’epoca del COVID-19, che parte anche da un bilancio e un ripensamento del nostro progetto online IN CONTATTO verso una sua nuova evoluzione.

IN CONTATTO è nato con immediatezza, spontaneità e un forte senso di urgenza, in un momento di totale incertezza su quello che sarebbe successo nelle settimane successive. Fin da subito abbiamo voluto reagire a questa crisi con un chiaro obiettivo: non perdere il rapporto con i nostri visitatori, con la volontà di sentirli vicini in un momento di profonda insicurezza per tutti noi, disorientati da una situazione nuova e sconosciuta. La mostra di Tomás Saraceno è stata un punto di partenza perfetto, quasi profetica nel suo riflettere sulla fragilità del nostro mondo. E il paragone con la tela di ragno a illustrare l’ambiente in cui siamo inseriti, fortemente collegato alle opere di Saraceno, è il più adeguato per definire la rete di relazioni che in questo periodo ci ha tenuto uniti. Una rete legata al mondo online, attorno a cui sono gravitate necessariamente tutte le nostre attività quotidiane tra cui anche soddisfare il nostro bisogno di cultura e bellezza.

Il videomessaggio di Tomás Saraceno

La nostra scelta per IN CONTATTO è stata quella di unire il sito e i canali social attraverso la creazione di contenuti nuovi e originali con cui rileggere, e non solo rievocare in chiave amarcord, alcuni momenti della storia di Palazzo Strozzi, riscoprendo un loro nuovo valore alla luce dell’attualità del presente. È così che abbiamo trattato temi mai così attuali come l’interconnessione, l’isolamento, il senso di Nazione e comunità, la famiglia, l’inclusività. Per rivolgerci a pubblici differenti, abbiamo dato spazio a punti di vista diversi, come dimostrano gli autori dei contributi – interni ed esterni alla Fondazione Palazzo Strozzi – con cui abbiamo voluto guardare non al passato ma sempre al presente e al futuro. Un impulso fondamentale è stato dato dai videomessaggi degli artisti che hanno voluto testimoniare la propria vicinanza a Palazzo Strozzi, in considerazione del loro forte legame con noi, ma anche all’Italia intera. Marina Abramović, Ai Weiwei, Jeff Koons e Tomás Saraceno hanno fatto sentire il loro sostegno, ottenendo un riscontro straordinario. Tra tutti emerge quello di Marina che ha ottenuto quasi un milione di visualizzazioni.

Il videomessaggio di Marina Abramović

Anche altri numeri possono aiutare a raccontare questo progetto. Sulla piattaforma IN CONTATTO abbiamo pubblicato ventiquattro contributi, letti da quasi 60.000 utenti unici. Sui canali social, tra Facebook e Instagram, abbiamo pubblicato oltre 100 post, raggiungendo oltre un milione e mezzo di persone e facendo crescere la nostra community online del 10% in solo due mesi. L’elevato tempo medio trascorso sulle pagine di IN CONTATTO rappresenta inoltre un dato estremamente interessante, dimostrando che le persone hanno preferito focalizzare la loro attenzione in una fruizione non superficiale, nonostante il momento di frenesia nel consumo dei contenuti online. La “top 5” degli articoli più letti è rappresentata da Siamo tutti sulla stessa barca, Abbracci spezzati, A tavola con Pontormo, Uomini, albicocchi e mucche, Il cielo in una stanza. Non si tratta di una semplice classifica, ma di un vero e proprio specchio della poliedricità del nostro approccio e della varietà di interessi dei nostri lettori. Una menzione speciale la merita il progetto educativo a distanza L’ARTE A CASA dedicato alle famiglie con bambini e ragazzi, che è stato visitato da quasi 6.000 utenti, molti dei quali ci hanno inviato anche i risultati delle varie attività. Inoltre abbiamo apprezzato l’affetto e la stima di chi, da tempo, segue le nostre iniziative: la newsletter è stato infatti lo strumento principale attraverso il quale IN CONTATTO è stato fruito, a dimostrazione della vicinanza del nostro pubblico anche in un momento di distanziamento fisico.

Una selezione degli articoli di IN CONTATTO dal nostro blog.

E adesso, con la riapertura della mostra dal 1° giugno, si apre una nuova fase di IN CONTATTO che diviene una rubrica in uscita ogni due settimane. Palazzo Strozzi, come ogni istituzione culturale che voglia parlare al proprio tempo, si impegna a trattare i temi più rilevanti del presente e ogni nostra mostra e attività diventano così occasioni per indagare il mondo in cui viviamo in chiave sempre contemporanea. Nelle prossime settimane continueremo a portare avanti il progetto IN CONTATTO ispirandoci a quelle che Saraceno definisce “visioni di futuro e di realtà”. Parleremo delle mostre, delle attività e della vita di Palazzo Strozzi con la volontà di mantenere uno spazio di riflessione parallelo, un luogo di contaminazione e condivisione di punti di vista diversi.

Distanziamento fisico, non sociale

di Irene Balzani

Oggi, lunedì 18 maggio 2020, si celebra la Giornata Internazionale dei Musei, quest’anno intitolata “Musei per l’uguaglianza: diversità e inclusione” con l’obiettivo di sottolineare l’importanza cruciale delle istituzioni culturali nel loro servizio alla società e al suo sviluppo. È in questa direzione che da sempre si muove il lavoro di Palazzo Strozzi, anche durante l’emergenza sanitaria di questo periodo che ha stravolto le nostre abitudini e il nostro stile di vita portando anche alla chiusura temporanea dei nostri spazi. E proprio in questi mesi, tra le nostre iniziative, abbiamo lavorato anche per cercare di raggiungere chi è maggiormente colpito dalla situazione attuale e che normalmente partecipa ai nostri progetti di accessibilità, in particolare attraverso una ridefinizione “a distanza” dei nostri progetti dedicati a persone con Alzheimer e con Parkinson. Queste iniziative sono state ripensate per impedire che la necessaria distanza fisica che dobbiamo tenere in questo periodo, non si traduca in isolamento, contro il rischio che il distanziamento di cui parliamo quotidianamente diventi esclusione sociale.

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A più voci, foto Giulia Del Vento

Fin dall’inizio del lockdown, per A più voci, il progetto dedicato e costruito insieme alle persone che vivono con l’Alzheimer e i loro carer, abbiamo coinvolto tutti i partecipanti, sia chi vive in famiglia sia chi abita in Residenze Sanitarie Assistenziali (RSA) o case di riposo. Come per le attività in presenza abbiamo lavorato con gli educatori geriatrici, insieme alle artiste che hanno collaborato negli anni a questo progetto. A tutti abbiamo fatto una proposta: continuare a ispirarsi all’arte e provare a stare in rete attraverso l’uso dell’email e con un gruppo WhatsApp appositamente creato. L’utilizzo di uno schermo, che si tratti di computer o smartphone può costituire una barriera per chi non ha confidenza con i mezzi tecnologici, per questo la scelta è avvenuta dopo riflessioni e confronti, per cercare di non escludere nessuno. I due canali sono stati usati per veicolare alcune proposte legate a progetti artistici. Il primo invito è stato quello di condividere ciò che si osserva dalla propria finestra, diventata, nei giorni di isolamento, il nostro occhio sul mondo. Il secondo è stato raccontarsi attraverso un angolo della propria casa. Il terzo, infine, rivelare i nostri “erbari domestici”. L’ispirazione in questo caso viene dai fiori della Dama dal mazzolino che avevamo avuto modo di ammirare nella mostra dedicata a Verrocchio, il maestro di Leonardo e dal laboratorio che aveva proposto in quell’occasione l’artista Caterina Sbrana.

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Verrocchio, il maestro di Leonardo. Exhibition view.
Foto Alessandro Moggi
Contributi dei partecipanti al progetto A più voci – alla finestra

Abbiamo ricevuto oltre quaranta contributi tra fotografie e testi come: “ho aperto un libro di scuola di mio nonno, classe 1876, ed è apparsa una piccolissima viola, che emozione”, “custodisco con cura il mio orto”, “la bellezza delle piccole cose è ciò che mi fa sentire forte”. Angoli di giardino, vasi sui balconi o fiori secchi tra le pagine dei libri sono state attentamente osservate per diventare esempi di quella che Gilles Clément definisce “arte involontaria”. Quest’arte, scrive l’autore del Manifesto del Terzo Paesaggio, “galleggia sulla superficie delle cose. È un’arte senza statuto, senza discorso, è disarmata, si espone in fretta e subito scompare. È un effimero e sottile stato dell’essere. Talvolta una luce. Prima di tutto, è uno sguardo”. Le immagini e le parole inviate sono poi diventate gli appunti di un erbario comune e condiviso in cui questa dimensione collettiva “ci fa sentire ancora più vicini, ancora meno soli”, scrive una delle partecipanti. Tutti questi contributi, raccolti durante il periodo di lockdown, sono convogliati in un racconto unico, scandito da diversi stimoli proposti di settimana in settimana.

Scarica: A più voci - alla finestra
Contributi dei partecipanti al progetto A più voci – alla finestra

Un’altra proposta “a distanza” è quella di Corpo libero, il progetto dedicato all’inclusione delle persone con il Parkinson che unisce arte, parola e danza. Oltre all’importanza di rimanere in rete in questo caso abbiamo riflettuto sull’esigenza di dare continuità alla pratica della danza che, come numerosi studi confermano, porta benefici soprattutto a chi vive con il morbo di Parkinson. Stimolati da quello che stava facendo il gruppo Dance Well di Bassano del Grappa, abbiamo iniziato a proporre attività da fare a casa, sempre lavorando insieme agli insegnanti di danza che fanno parte del progetto. Anche in questo caso il confronto con i partecipanti è essenziale: riunioni virtuali permettono di incontrarci, valutare nuove idee. Da questo dialogo è nata la volontà di provare a sperimentare partendo dalla mostra di Tomás Saraceno, che gran parte delle persone non ha ancora avuto la possibilità di visitare.

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Riunione dei partecipanti a Corpo libero a distanza

Tutti i giovedì alle 15.00 vengono inviate immagini di un lavoro dell’artista e due file audio collegati tra loro: uno relativo all’opera stessa e l’altro dedicato a una pratica motoria da mettere in atto, una sorta di esercizio fisico di dialogo con l’opera d’arte a distanza. Il progetto non mira a sostituire l’esperienza in mostra con l’arte, che rimane punto di partenza imprescindibile, ma stimola riflessioni e apre a nuove suggestioni. Riprese e amplificate negli esercizi, queste suggestioni sono utilizzate per potenziare il coordinamento e il ritmo. La pratica è pensata per essere svolta individualmente ma tutti nello stesso momento, così che abbia anche una dimensione collettiva.

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Corpo libero, foto Giulia Del Vento

A più voci e Corpo libero nella loro edizione “a distanza” sono due proposte nate come temporanee ma sono percorsi in divenire che potrebbero essere utilizzati anche in futuro per continuare a mantenere un legame con chi, per varie ragioni, non possono partecipare fisicamente alle attività di Palazzo Strozzi. Cruciale nell’identità stessa della nostra istituzione, l’accessibilità è un valore che deve rimane centrale dell’identità dei musei e delle istituzioni culturali. La crisi che stiamo attraversando può forse aiutarci a riflettere per trovare nuove soluzioni, modelli e possibili sviluppi per una sempre più ampia idea di inclusione alla cultura.